Care lettrici, vi invitiamo a mandarci i vostri racconti sui Paesi e sulle città dove avete vissuto o che avete visitato; le pubblicheremo via via per formare un puzzle di luoghi e storie di vita dove intrecciare i nostri sguardi sul mondo e sulle nostre esperienze. Cominciamo da Grazia che ci ha già scritto della sua amata città d’adozione: Buenos Aires.
In questo articolo sintetizza la sua storia e il suo rapporto con la capitale argentina…
Nel 1998 il Ministero degli Affari esteri Italiano mi mandò a lavorare come docente e promotrice culturale a Buenos Aires, una città per me in quel momento sconosciuta e lontana. Non avrei mai immaginato che sarebbe diventata ben presto la mia città dell’anima.
Vi rimasi fino al 2005 e quelli furono gli anni più belli della mia vita.
Buenos Aires nunca duerme. Buenos Aires non dorme mai, mi hanno detto quando sono sbarcata per la prima volta dall’aereo, anni fa. Ho vissuto in questa città per sette anni. Ho cominciato a percorrere la città con passi da straniera, mai da turista, un esule di lusso in un universo dove “essere italiana” dava la sensazione di essere a casa e insieme di esserti perduta. La città conserva memoria forte dell’emigrazione italiana dall’Ottocento fino agli anni cinquanta. L’Italia sta scritta nel tessuto di questa città, nei suoi palazzi, nelle sue chiese, nella sua tradizione e nella sua musica.
Nel quartiere borghese di Belgrano, il mio quartiere, a nord della cittá, con parchi, case lussuose, teatri, cinema, locali, sulla Barranca di Belgrano si affacciava la mia casa circondata dagli alberi di una delle rare colline della città.
A Buenos Aires, nel 2000, ho vissuto gli anni duri del crollo dell’economia, l’assedio alle banche ma anche le mense istituite da semplici cittadini per i bambini delle villas, i quartieri della povertà senza apparente riscatto, ho visto la gente rinunciare alle scarpe, ai vestiti, a qualsiasi lusso, ma non rinunciare ai libri, al teatro, alla musica. Sugli autobus di Buenos Aires si vedono molti passeggeri che leggono giornali ma soprattutto libri. Le librerie di Buenos Aires sono luoghi mitici, come l’Ateneo, dove si legge, si conversa, si ascolta musica, si beve e si mangia. In questo tempio della lettura ho trascorso pomeriggi indimenticabili, cosi come nel Teatro Colón, il grande tempio della lirica e della danza, ho visto spettacoli di eccezionale bellezza.
E soprattutto ho camminato per le sue strade dove a primavera ti raggiunge il profumo e il viola intenso dei jajarandà e in ogni stagione il suono di un bandoneón ti accompagna con il suo sensuale malinconico ritmo di tango. Il tango che ti trapassa l’anima l’ho visto ballare per strada, vecchie coppie o giovani dal viso indio nel mercato di San Telmo la domenica mattina, un canto struggente alla vita, all’amore, alla città. Il tango è nato dai suburbi di questa città e ha percorso le strade del mondo nei suoi sensuali compás. Il tango è Gardel, la musica tradizionale dei quartieri poveri e poi il tango di Piazzolla, sentirlo è come sentire la città che respira, sedersi al vecchio caffé Tortoni, laddove gli intellettuali discutevano e sognavano, passeggiare a ridosso del ponte di ferro de La Boca via via fino a Caminito, visitare la casa di Gardel al Abasto, muoversi a La Recoleta tra il cimitero, la chiesa, i giganteschi alberi della piazza, il mercato degli artigiani, entrare in un conventillo restaurato, scivolare in barca tra i meandri del delta del Tigre nel silenzio di un tramonto. In ogni luogo Buenos Aires mi seduceva e mi entrava dentro. A pochi giorni dal mio arrivo amici mi hanno portato a un concerto della negra Sosa, esule a Parigi durante la dittatura, tornata in patria per trasformarsi nel cantore delle memorie e delle speranze di un popolo. La voce di Mercedes Sosa mi ha trasmesso l’indicibile emozione dei canti di libertà che avevano appassionato la mia giovinezza.
Poi un giovedì pomeriggio in Plaza de Mayo ho visto sfilare le Madri, con i loro fazzoletti bianchi e la bellezza di una lotta che l’amore sostiene.
Buenos Aires mi ha regalato il piacere dei grandi spazi aperti, i boschi del quartiere di Palermo in piena città; le piazze, le strade come autostrade dove il traffico scorre quasi sempre ordinato e veloce e gli autobus li aspetti solo qualche minuto, mettendoti in fila. Ho camminato per la sua 9 (Nueve) de julio, la strada più larga del mondo, ho ammirato l’obelisco simbolo della città che ne segna l’incrocio nevralgico in pieno centro. Qui si viene a manifestare il proprio dissenso o la propria allegria. Qui si festeggiano le glorie nazionali e si criticano i propri fallimenti. Qui si fanno i caroselli quando finisce una dittatura o si cacciano i cattivi governanti, qui si piange e si ride, qui la notte di Capodanno si stappano centinaia di bottiglie di champagne e dai palazzi intorno scende una pioggia di piccoli coriandoli, qui si festeggia una vittoria ai mondiali di calcio.
Buenos Aires sa costruire i miti, esaltare le fragilità, coniugare il dolore e la gioia nella stessa storia umana, che sia Evita, o Gardel o Maradona o Borges, il grande cieco della sua letteratura. Buenos Aires è come una delle città invisibili di Calvino, un caleidoscopio di racconti fondato sull’immaginario di tutti.
In questa città amatissima orizzonti insperati mi si sono aperti davanti. Ho insegnato a studenti argentini la bellezza della nostra lingua e cultura, ho organizzato eventi culturali, fatto teatro, mi sono di nuovo innamorata, ho studiato percorsi nuovi di conoscenza che la mia razionalità tutta europea mi aveva fino ad allora precluso. Sono cambiata e sono stata FELICE!
Grazia Fresu
Di seguito uno degli articoli che abbiamo già pubblicato: