Nel cuore dell’Estremadura, a Càceres, cittadina patrimonio dell’Unesco con il suo casco antiguo pieno di chiese e palazzi antichi, c’è un centro di arte contemporanea tra i più grandi d’Europa, il Museo Helga de Alvear. Il museo è sostenuto dalla Fondazione Helga de Alvear, istituzione autonoma creata nel 2006 per rispondere al desiderio della gallerista e collezionista tedesca di condividere la sua ricchezza con un territorio un pò ai margini della penisola iberica, l’Estremadura, privo di un centro per la diffusione della creazione artistica contemporanea. Il museo si trova all’interno delle mura antiche, nella calle Pizarro: già varcando la soglia per entrare nell’atrio di questo luogo di esposizione, il contrasto tra l’antico e il moderno è davvero sorprendente. Con il mio gruppo di colleghi italiani e spagnoli abbiamo usufruito di una guida davvero brava che ci ha spiegato molte delle opere esposte, rivelandone il messaggio non sempre evidente soprattutto agli occhi profani di chi come me, apprezza l’arte contemporanea senza esserne esperta. Quando Jesùs, il nostro collega tra i fondatori di Aupex, il centro di formazione digitale che ci ospitava, ci ha proposto di concludere la settimana di job shadowing con una visita al Museo, ci eravamo chiesti se fosse più sensato rinunciare per andare alla scoperta di altre bellezze della città. Già nella prima sala antistante la grande hall, all’entrata, ci siamo ricreduti di fronte all’impressionante opera “Descending lights” dell’artista cinese Hai Wei Wei: apparentemente una gigantesco lampione rosso di 7/8 metri di altezza pieno di luci, a rappresentare la caduta del potere dell’establishement e dei fasti cinesi.
La collezione del museo raccoglie circa tremile opere e ospita mostre temporanee, conferenze, laboratori. Proseguiamo la visita scoprendo quadri, sculture e installazioni che colpiscono l’immaginazione ed il pensiero come l’opera “Power tools” di Thomas Hirschhorn che occupa una sala intera con le sue installazioni varie, i cartelli con scritte che portano un messaggio di pace e di resistenza alla spersonalizzazione ed al conformismo del mondo ultratecnologico. Mi soffermo di fronte ai manichini, alle composizioni di chiodi, alle gigantesche asce ed ai cartelli sparsi come Be the best you can, Keep in culture, Love, Resistence: l’idea è di un work in progress pieno di contraddizioni, come le nostre società che evolvono (o involvono!) giustapponendo valori, drammi, speranze, guerre, ideali, invenzioni… Certamente sostando in quella sala si prova la strana impressione di far parte di un meccanismo complesso e di quanto la tecnologia sia potente, nel bene e nel male.
Mentre visitavamo le sale sempre più curiosi ed affascinati, Jesùs ci fa notare una signora in sedia a rotelle accompagnata da un gruppo di persone: si tratta di Helga, la fondatrice. Questa tedesca ottantaseienne giunse in Spagna giovanissima per imparare la lingua e a Madrid conobbe il futuro marito, Jaime de Alvear, un architetto di Cordoba che si dedicò a costruire case popolari per gli emigrati spagnoli di ritorno dopo la caduta del franchismo. L’amicizia con la socia Juana Mordò fu importante per la sua carriera così come l’incontro casuale con il presidente della giunta di Càceres, conosciuto tramite il proprietario del ristorante dove si era fermata a mangiare durante un viaggio in auto verso Lisbona. Al ristoratore aveva raccontato il suo sogno di donare la sua collezione ad un centro da istituire e lui la mise in contatto con le autorità locali. Fu così che le si aprirono le porte dell’Estremadura e lei si innamorò di questa cittadina medievale ed austera. Nel 2010 si inaugurò il centro, uno spazio architettonicamente interessante compreso il suo ampliamento, inaugurato nel 2021. Helga afferma: A mí me interesa el arte contemporáneo porque nos habla de nuestro tiempo y de nosotros mismos, porque crea y desarrolla lenguajes que pueden explicarnos, de manera nueva, el mundo que nos ha tocado vivir y del que a menudo sólo rozamos la superficie” (A me interessa l’arte contemporanea perché ci parla del nostro tempo e di noi stessi, perché crea e sviluppa linguaggi che ci possono spiegare, in modo nuovo, il mondo che ci è toccato vivere e di cui spesso sfioriamo solo la superficie).
di Richard Long (Land Art)
Continuamo la nostra visita in un turbinio di emozioni e riflessioni passando dal turbamento alla curiosità, dal divertimento alla contemplazione come nell’opera New Blood di Ingar Dragset e Michael Elmgreen davvero inquietante nel suo contrasto tra l’ispirazione ad una statua classica e la flebo collegata per una trafusione sanguigna.
Al termine della visita ci fermiamo di fronte all’impressionante opera di Katharina Grosse, Faux Rocks che occupa l’ultima sala e non resistiamo a scattare una foto di gruppo insieme alla guida che ci ha condotto in questo viaggio nell’arte contemporanea riuscendo a spiegarci con semplicità e passione il senso di questa collezione. Ci ritroviamo fuori, nei vicoli di Càceres per una cerveza e un’esplorazione notturna di questa cittadina che non finisce mai di stupirci.
P.