(en français après les photos) Ho trovato il mio lavoro ideale: quello che unisce il mio amore per la cucina e per la navigazione – dichiara sorridendo Sophie, alsaziana di nascita ma nomade in mare per scelta di vita, in uno dei pochi momenti in cui mette piede a terra. Mi racconta la sua vita dal suo appartamento di Lorient dove si è stabilita da poco quando, rientrando da una missione con il veliero Tara, ha pensato che una città di mare con un porto importante, potesse naturalmente rappresentare lo chez soi migliore quando sbarca sulla terraferma. La maggior parte della sua vita infatti la passa navigando, alternando le mansioni di marinaia e cambusiera. In realtà Sophie è una cuoca sopraffina in grado di soddisfare i palati fini di miliardari proprietari di yacht sui quali si è imbarcata come capocuoca e quindi responsabile di menu elaborati, vari e ricercati. Al contempo è in grado di gestire i viveri e la preparazione dei pasti per le missioni scientifiche in mare dove la pesca è un elemento cruciale per l’apporto di proteine fresche, e le verdure si stipano nel poco spazio disponibile. Sophie, donna franca e diretta, è riuscita a conciliare le sue passioni che vengono da lontano: sua madre e le zie amavano cucinare; ogni pasto in famiglia aveva sapori e odori condivisi, nel piacere del gusto e dello stare insieme. L’amore per la navigazione le viene invece da suo padre il quale, ogni volta che poteva, insegnava a lei ed al fratello a condurre la sua barca a vela lungo il Reno, tra Francia e Germania:
Passavamo i fine settimana e le vacanze sulla barca e quello è stato un vero apprendistato per me e mio fratello anche se, per i miei studi, mi sono orientata inizialmente nel settore dell’audiovisivo. Ho studiato alla scuola d’arte e mi sono specializzata nel trattamento dei suoni e dei video; sono partita in seguito per una formazione come reporter a Pondicherry ed ho viaggiato nell’India del Sud. Sono tornata in lacrime da questa esperienza molto forte. Appena si arriva in India, si può avere la reazione di voler ripartire immediatamente, fuggire dalla miseria che è dappertutto, tra milioni di persone che vivono praticamente fuori e si ammassano per le strade, ovunque. Io sono rimasta, mi sono impregnata di odori e colori, ho incontrato persone poverissime ma di una generosità esemplare. Mi sono in seguito trasferita in Svizzera, poi a Parigi e infine a Strasburgo per diverse missioni per il Consiglio d’Europa e la corte dei Diritti Umani. Alla fine però si trattava di filmare le votazioni nell’emiciclo del Consiglio; ero giovane ed il rapporto media/politica non mi corrispondeva, così, dopo sette anni di questo lavoro, ho smesso per entrare nel mondo della ristorazione. Avevo già in mente di imbarcarmi sulle navi per occuparmi della cucina. Tra formazioni e lavori con mansioni varie, sono arrivata a conoscere il mestiere come le mie tasche: carne, pesce, pasticceria, salse, condimenti e decorazioni, ho acquisito un ‘savoir faire’ in tutti i settori della gastronomia.
Nello stesso tempo, Sophie prende il diploma di CFBS (certificato di formazione di base per la sicurezza e la sopravvivenza in mare) e, successivamente, quello di CMP (Diplôme de matelot) e inizia il suo servizio sugli yacht di lusso. Da Sanremo naviga nel Mediterraneo per sei mesi, da aprile ad ottobre, per garantire quotidianamente i menù gastronomici ai proprietari ed ai loro ospiti che raggiungono le mete desiderate in aereo per poi soggiornare nello yacht tra Costa Azzurra, Croazia, le coste italiane ed altri luoghi ameni.
Sophie passa dalla dolce navigazione nel Mediterraneo estivo alle asprezze invernali del Mar di Norvegia, imbarcandosi come marinaia su una nave destinata ad accompagnare sciatori benestanti e desiderosi di lasciare la loro traccia sulla neve, in posti incontaminati:
Siamo sempre tre i membri dell’equipaggio: il capitano, il secondo e io che devo quindi lavorare sul ponte e assicurare i turni anche di notte. Non è facile quando, a quelle latitudini, in inverno, siamo a meno venti gradi e tutto è ghiacciato: ci si trova facilmente a combattere il vento alle tre di notte ed a dover pilotare la barca in condizioni estreme. In genere partiamo da Tromsø in direzione del Polo Nord per raggiungere le isole norvegesi del nord dove gli ospiti sbarcano per sciare ed ammirare la bellezza straordinaria dei paesaggi.
In seguito, appena terminata la missione al Nord, pronta per la successiva, vengo a sapere che sul veliero Tara, destinato a ricerche scientifiche dalla proprietaria e mecenate, la stilista Agnès B., c’è un posto da cuoca e marinaia. Mi assumono e, in maggio, parto per Tokyo per raggiungere la missione Tara Pacific, ormai agli ultimi sei mesi di navigazione. Riconfermo il mio servizio dopo il primo trimestre e concludo la missione riportando Tara a Lorient: si erano avvicendati due capitani, due capi meccanici e diversi scienziati e ricercatori. Ricordo ancora il grandioso arrivo dove tutta la ‘armada’ ci aspettava per festeggiare la conclusione della spedizione, nel novembre del 2018.
Nel frattempo prendo il diploma ufficiale di marinaio e riparto subito per la solita missione ‘polare’; al mio ritorno vengo nuovamente ingaggiata per una spedizione su Tara. A maggio del 2019 si parte per rilevare le microplastiche in Europa navigando negli estuari di undici fiumi e raccogliendo campioni che gli scienziati hanno poi analizzato per concludere, tra le altre importanti scoperte, che l’80% dell’inquinamento dei mari viene dalla terra. Al ritorno mi imbarco ancora in Norvegia per accompagnare gli sciatori, ma non è una buona stagione: la navigazione è difficile a causa di un incidente: una collisione con una roccia. Sono momenti difficili, imbarchiamo acqua, è notte e tutto è gelato; per fortuna questo incidente non ha comportato pericoli né per i passeggeri né per l’equipaggio, ma ha richiesto lunghe riparazioni.
In seguito è arrivato il covid; alla prospettiva di confinarmi in nave, ho deciso di tornare a casa: dopo essere passata per tre aeroporti, sono rimasta tre settimane in isolamento, come da normativa, per poi raggiungere mia madre e terminare il periodo di confinamento insieme in Alsazia dove, fortunatamente, avevamo un giardino. Nel frattempo, a causa della pandemia, non si erano potuti svolgere gli eventi di divulgazione previsti nel programma della Fondazione Tara a Parigi dove il veliero era ancorato, sulla Senna. Viene allora prolungato il suo ancoraggio per permettere appunto di organizzare visite didattiche, eventi di divulgazione, cocktail, e cercare partner e sponsor. Infine, in giugno, partecipo alla partenza da Parigi; le manovre tecniche sono complesse: bisogna smontare gli alberi per poter passare sotto i vari ponti della Senna fino al mare, poi rimontarli a Le Havre e iniziare la navigazione fino a Lorient.
Chiedo a Sophie come concilia la sua vita marina con quella terrestre ovvero la vita professionale con quella personale. Lei risponde con franchezza che è complicato convivere in queste due dimensioni che si allontanano come due traiettorie senza incroci ma, non avendo né marito né figli, i suoi legami a terra sono meno forti:
Sento di essere in collegamento molto profondo con il mare; per me è naturale vivere vicino all’acqua anche quando sono a terra: da piccola vivevo vicino al fiume.
A bordo si formano legami molto forti; il magnifico equipaggio che ho incontrato nella spedizione da Tokyo a Lorient, per esempio, è come una seconda famiglia per me. Su Tara ho potuto realizzare incontri incredibilmente interessanti: marinai, scienziati, artisti. Tutti siamo molto uniti dalla condivisione continua della navigazione e dall’obiettivo della ricerca, ma anche da relazioni di amicizia; anche nella vita marina, la differenza, come sempre, la fanno le persone. Viviamo in uno spazio ristretto per lungo tempo: quattordici personalità diverse; se una sola persona perde la testa, diventa complicato per tutti. La solidarietà e l’aiuto cementano le relazioni che non sono mai a gerarchia piramidale e questo favorisce un ambiente amichevole. Ho potuto navigare anche con mio fratello, che era secondo del capitano, nel luogo mitico dello Stretto di Magellano, realizzando così il nostro sogno di ragazzi.
Quando sono a terra, sono felice di rivedere la mia famiglia e gli amici, ma dopo qualche tempo comincio a girare in tondo: la vita terrestre mi sembra banale in confronto a tutto quello che ho visto e vissuto in mare. Mi rendo conto che mentre sono fuori a navigare, il tempo è come sospeso mentre le persone a terra evolvono e cambiano ma con ritmi diversi ed in altre direzioni. E così mi viene voglia di ripartire il prima possibile.
A febbraio del 2021, Sophie raggiunge la missione Tara Microbiome per una navigazione da Punta Arenas fino in Patagonia attraversando lo Stretto di Magellano, luogo significativo per i marinai perché solcato da grandi navigatori ed esploratori del passato. Alternandosi con Carole, l’altra marinaia/cuoca che si avvicenda nelle missioni con Sophie, quest’ultima raggiunge poi nuovamente la spedizione in Martinica per risalire verso il Brasile:
Questa missione mi ha particolarmente segnato, forse per il fatto di risalire la foce ed il Rio delle Amazzoni costeggiando villaggi e incontrando tanta gente. Ho pensato che in una precedente vita dovevo essere stata brasiliana: ero attirata dalla musica, dagli odori ed i colori, dalla gente che vive principalmente all’esterno. Vedevamo il loro rapporto con l’acqua, come usano le risorse, la loro cultura, il culto del corpo, il cibo, ma anche la storia della schiavitù e del colonialismo. Più si sale a Nord e più si vede la miseria; siamo stati anche a Rio, a Salvador de Bahia, Belem.
Il momento più emozionante della spedizione è stato quando siamo passati per Macapà perché lì è morto, ucciso dai pirati, Peter Blake, uno dei precedenti capitani di Tara quando si chiamava Seemaster. Ripassare da quel luogo dopo venti anni per il veliero, che noi sosteniamo abbia un’anima, è stato un evento importante. Blake è lo spirito che ci accompagna nelle missioni; quando sentiamo un rumore sospetto su Tara diciamo,’ scherzando: -Ah, ecco Peter che si fa sentire!
Sophie raggiunge poi la stessa missione che, dopo una lunga traversata, naviga sulle coste dell’Africa occidentale, in Namibia per poi tornare ancora a Dakar e riportare Tara a casa, a Lorient per la fine della missione. In primavera infine una nuova lunga spedizione è già prevista: un coast to coast europeo per studiare, dalla Norvegia alla Grecia, l’impatto dell’uomo sulla vita marina costiera.
Per quanto riguarda la cucina, Sophie si divide tra il lavoro di marinaia e quello di cuoca. Normalmente preferisce il turno di guardia dalle quattro alle sei di mattina per poter passare dal ponte direttamente ai fornelli, preparare la colazione ed avviare il pranzo:
Mentre sono sul ponte, la mattina presto, già penso ai menù che posso preparare per la giornata, in base alle riserve, ma tenendo presente anche la varietà nell’alimentazione e la pesca che può essere miracolosa: in quel caso ringrazio l’oceano. Quando dispongo di pesce in quantità mi sbizzarrisco e penso al piacere che posso offrire all’equipaggio preparando sashimi, maki ed altri piatti orientali di cui vado fiera. Quando la durata della navigazione senza approdi è particolarmente lunga, devo davvero fare prova di creatività con pochi ingredienti a disposizione. Mi occupata direttamente degli acquisti ma, durante il Covid, ho dovuto comprare ‘on line’ ed è stato più difficile rendersi conto delle quantità: dovevo scegliere in modo oculato (e anche economico), calcolare i viveri a volte per due mesi di traversata tenendo conto degli spazi a disposizione e della conservazione dei prodotti. Abbiamo infatti tre frigoriferi, una stiva aperta dove ci sono riposti tanti materiali anche scientifici e io devo stiparci grandi quantità di carote, patate, zucche, cavoli; utilizzo anche un po’ di spazio nei laboratori scientifici che sono freschi per melanzane, avocadi e altre verdure.
A volte preparo anche una torta o una merenda che è di conforto; i pasti sono il momento in cui ci si incontra tutti mentre durante il resto del tempo ognuno è occupato nelle proprie mansioni. La cucina si trova nel cuore dell’imbarcazione quindi è il luogo speciale da dove emanano odori e la musica che tengo sempre accesa: questo crea un’atmosfera tutt’intorno. Insomma è la cucina il cuore pulsante che dà colore e sapore alla vita di bordo.
Nel tempo libero, tra un turno di guardia, una manovra e i pasti da preparare, Sophie riprende la sua altra passione per l’immagine e l’arte e si diletta a disegnare, fotografare, incidere con il pirografo su legni trovati in mare o in qualche approdo. Sceglie il suo colore preferito, il verde per decorare e preferisce navigare con una barca a vela, a vento, per restare nel verde ecologico.
Sono curiosa di sapere se, tra i tanti luoghi attraversati, Sophie abbia mai avuto voglia di fermarsi, ma per lei mettere radici non è previsto. Racconta di desiderare di tornare in un luogo che l’ha particolarmente colpita, la Georgia del Sud ovvero le isole Sandwich tra l’America del Sud e l’Africa: un arcipelago al 54° parallelo, ostile, dal clima polare e di difficile accesso. Forse per questo l’hanno tanto colpita: la natura, incontaminata e selvaggia, sembra vivere indipendentemente dagli uomini, lontano migliaia di miglia marine dall’industrializzazione anche se, si sa, la lontananza non è sintomo di salvaguardia dai cambiamenti climatici che incombono su tutto il pianeta, come in un gioco di domino. Rimasta impressionata dalle colonie di pinguini, si è innamorata del luogo semplicemente per la sensazione di sentirsi al posto giusto, in armonia con la natura.
Parliamo del futuro con Sophie che, a trentasette anni, afferma di vedersi sempre in navigazione finché il fisico e la salute glielo permetteranno:
Ho l’anima del marinaio: dopo qualche mese a terra ho bisogno di essere in movimento, di sentire le onde battere il ritmo della mia vita che passerò sempre tra la cambusa, il ponte e i miei disegni. La fatica e la nostalgia le supero quando, di turno sul ponte, la notte, vedo scie di luci che saltano: sono i delfini che accompagnano il veliero, illuminati dalle luminescenze del plancton sotto cieli stellati: uno spettacolo davvero unico da condividere completamente con i miei compagni di navigazione e che mi ripaga di tutto.
P.
Je trouve mon métier parfait: celui qui allie mon amour de la cuisine et celui de la navigation- affirme Sophie souriante, Alsacienne d’origine mais nomade des mers par choix de vie, dans l’un des rares moments où elle pose le pied à terre. Elle raconte sa vie depuis son appartement de Lorient, où elle s’est récemment installée lorsque, de retour d’une mission avec le voilier Tara, elle a pensé qu’une ville maritime dotée d’un grand port pourrait naturellement être le meilleur chez soi lorsqu’elle rentre des ses expéditions. En fait, elle passe la majeure partie de sa vie à naviguer, alternant les tâches de marin et de cuisinière. En réalité, Sophie est une cheffe hors pair capable à la fois de satisfaire les palais raffinés des propriétaires milliardaires des yachts sur lesquels elle s’est embarquée en tant que responsable de menus élaborés, variés et sophistiqués, et de gérer l’alimentation et la préparation des repas pour les missions scientifiques en mer où la pêche est cruciale pour l’approvisionnement en protéines fraîches et où les légumes s’entassent dans le peu d’espace disponible. Sophie a su concilier ses passions qui viennent de loin: sa mère et ses tantes aimaient cuisiner. Chaque repas familial avait des saveurs et des odeurs partagées dans le plaisir du goût et de la convivialité. Son amour de la voile, en revanche, lui vient de son père qui, dès qu’il le pouvait, lui apprenait, ainsi qu’à son frère, à naviguer sur son bateau le long du Rhin, entre la France et l’Allemagne :
Nous passions les week-ends et les vacances sur le voilier et cela a été un véritable apprentissage pour moi et mon frère même si, pour mes études, je me suis d’abord orienté vers l’audiovisuel. J’ai étudié aux Beaux Arts et je me suis spécialisée dans le traitement du son et de la vidéo. Grâce à cela je suis partie en Inde pour une formation pour devenir reporter. J’ai eu l’occasion de voyager de Pondichéry en Inde du Sud; je suis revenue en larmes de cette expérience très forte. Dès qu’on arrive dasn ce pays, on peut avoir envie de partir immédiatement, pour échapper à la misère qui règne partout parmi les millions de personnes qui vivent pratiquement dehors et s’agglutinent partout dans les rues. Je suis restée, je me suis imprégnée des odeurs et des couleurs, j’ai rencontré des gens qui n’avaient rien mais qui étaient d’une générosité exemplaire.
J’ai ensuite déménagé en Suisse, puis à Paris et à Strasbourg pour differentes missions auprès du Conseil de l’Europe, les Droits de l’Homme. Mais en fin de compte, il s’agissait de filmer les votes dans l’hémycicle du Conseil. J’étais jeune et la relation entre les médias et la politique ne me convenait plus, si bien qu’après environ sept ans dans ce métier, j’ai tout quitté pour me lancer dans la restauration. J’envisageais déjà d’embarquer sur des navires pour m’occuper de la cuisine, alors, entre formations et emplois divers, j’ai appris à connaître le métier sur le bout des doigts: viande, poisson, pâtisserie, garniture, j’ai acquis un savoir faire dans tous les domaines de la gastronomie.
En même temps, Sophie passe son CFBS (certificat de formation de base à la sécurité), puis son CMP (Diplôme de matelot), et commence son service sur des yachts de luxe qui, depuis San Remo, naviguent en Méditerranée pendant six mois, d’avril à octobre. Elle prépare des menus gastronomiques aux propriétaires et à leurs invités qui s’envolent vers les destinations souhaitées et séjournent ensuite sur les yacht entre la Côte d’Azur, les côtes italiennes, la Croatie, etc.
Sophie passe de la douce navigation estivale en Méditerranée aux rudesses hivernales de la mer de Norvège, embarquant en matelot sur un bateau destiné à accompagner des skieurs désireux de laisser leurs traces dans la neige dans des lieux préservés.
Nous sommes toujours trois membres d’équipage: le capitaine, le second et moi-même, qui devons donc travailler sur le pont et aussi prendre des tours de quart de navigation. Ce n’est pas facile quand, sous ces latitudes, en hiver, il fait au moins moins vingt et que tout est gelé. On peut facilement se retrouver à lutter contre le vent à trois heures du matin et à devoir piloter le bateau dans des conditions extrêmes. Nous partons de Tromsø en direction du pôle Nord pour rejoindre les îles norvégiennes du nord où les invités débarquent pour skier et admirer l’extraordinaire beauté des paysages.
J’ai ensuite appris que sur le voilier Tara, destiné à la recherche fondamentale par son propriétaire et mécène, la créatrice de mode Agnes B.,le poste de cuisinier était à pourvoir. Je venais de terminer la mission dans le Nord en avril et j’étais prête pour la suivante. Dès que j’ai eu la confirmation que j’étais engagée, je suis partie en mai pour Tokyo afin de rejoindre la mission Tara Pacific qui entrait dans ses six derniers mois. On a donc conclu en ramenant Tara à Lorient. Entre-temps, deux capitaines, deux chefs mécaniciens et plusieurs scientifiques et chercheurs s’étaient relayés. Je me souviens encore de la grande arrivée où toute ‘l’armada’ nous attendait pour célébrer la fin de l’expédition en novembre 2018. Le voilier a ensuite été transporté au chantier naval pour la révision nécessaire à Lorient.
Entre-temps, j’ai passé mon diplôme officiel de marin et je suis partie immédiatement pour la mission polaire habituelle et à mon retour, j’ai été à nouveau engagée pour une nouvelle mission sur Tara: en mai 2019, nous sommes partis pour prélever les microplastiques sur differents fleuves européens en remontant dans les estuaires de onze rivières et en collectant des échantillons que les scientifiques ont ensuite analysés pour conclure, entre autres, que 80 % de la pollution en mer provient de la Terre. J’ai reembarqué au moin de janvier 2020 en Norvège pour accompagner les skieurs mais ce n’était pas une bonne saison : la navigation était difficile à cause d’un incident: une collision avec un rocher. C’était un moment difficile, nous avions une voie d’eau, il faisait nuit et tout était gelé. Heureusement, cela n’a pas mis en danger ni les passagers ni l’équipage, mais cela a nécessité des longs travaux de réparations. Ensuite la Covid est arrivée et à la proposition de me confiner dans le navire, j’ai préferé rentrer chez moi. Ainsi, après trois correpondances dans des aéroports j’ai été obligée de m’isoler pour trois semaine chez moi à Strasbourg selon les dispositions sanitaires, puis j’ai rejoint ma mère et nous avons terminé le confinement ensemble en Alsace, fort heuresement avec un jardin. Entre-temps, en raison de la pandémie, les activités de sensibilisation prévues par la Fondation Tara à Paris, où le voilier était ancré sur la Seine, n’ont pas pu avoir lieu. Son séjour a donc été prolongé pour permettre des visites éducatives, des événements de vulgarisation, des cocktails et des soirées afin d’attirer des partenaires.
Enfin, en juin, je participe au départ de Paris: lesmanœuvres techiniques sont complexes puisqu’il faut démâter pour passer les ponts de la Seine, puis remater au Havre pour regagner Lorient.
Inévitablement, je demande à Sophie comment elle concilie sa vie en mer et sa vie à terre, sa vie professionnelle et sa vie personnelle, et elle me répond franchement qu’il est compliqué de faire coexister ces deux dimensions qui sont aussi éloignées que deux trajectoires divergeantes, mais comme elle n’a ni mari ni enfants, ses liens à terre sont moins forts:
J’ai le sentiment d’avoir une relation très fort avec la mer. Pour moi, il est naturel de vivre près de l’eau même lorsque je suis sur la terre ferme. Enfant, je vivais près de la rivière. Des liens très forts se forment à bord. Le magnifique équipage que j’ai rencontré lors de l’expédition de Tokyo à Lorient, par exemple, est comme une seconde famille pour moi. Sur Tara, j’ai pu faire des rencontres incroyablement intéressantes: des marins, des scientifiques, des artistes. Nous sommes tous très unis par le partage continu de la navigation et l’objectif de la recherche, mais aussi par l’amitié. La richesse dans la vie maritime, comme toujours, est faite par l’humain. Nous vivons longtemps dans un espace confiné avec quatorze personnalités différentes. Il suffit qu’une membre de l’équipage perde la tête pour que tout se complique pour tous. Au contraire, la solidarité et l’entre-aide cimentent des relations qui ne sont jamais hyerachique ni pyramidales, ce qui favorise un environnement convivial. J’ai également pu naviguer avec mon frère, qui était second capitaine, dans ce lieu mythique qu’est le détroit de Magellan, réalisant ainsi notre rêve d’enfant.
Lorsque je suis à terre, je suis heureuse de revoir ma famille et mes amis, mais au bout de quelque temps, je commence à tourner en rond. Ma vie à terre me semble moins riche par rapport à tout ce que j’ai vu et vécu en mer. Je me rends compte que pendant que je navigue, le temps est comme suspendu tandis que les gens à terre évoluent et changent avec un autre rythme et d’autres directions et l’ envie de repartir me reprend assez rapidement.
En février 2021, Sophie rejoint la mission Tara Microbiome pour un voyage de Punta Arenas en Patagonie, en traversant le détroit de Magellan, lieu très emblématique pour les marins car il a été emprunté par de grands navigateurs et explorateurs. En alternance avec Carole, l’autre marin/cuisinière des missions avec Sophie, cette dernière a ensuite rejoint la mission en août depuis la Martinique pour repartir vers le Brésil:
Cette mission m’a particulièrement marqueé. Peut-être le fait de remonter l’embouchure et le fleuve Amazone en passant devant des villages et en rencontrant tant de gens.J’ai pensé que dans une vie antérieure, j’avais dû être brésilienne. J’étais attirée par la musique, les odeurs et les couleurs, les gens qui vivaient dehors. Nous avons vu leur relation avec l’eau, la façon dont ils utilisent les ressources, leur culture, le culte du corps, la nourriture, mais aussi l’histoire de l’esclavage et du colonialisme. Plus on va vers le Nord, plus on voit de misère. Nous sommes aussi allés à Rio, Salvador de Baia, Belem.
Le moment le plus émouvant de l’expédition a été lorsque nous sommes passés par Macapà, car c’est là que Peter Blake, un des anciens capitaine du navire lorsqu’il s’appelait ‘Seemaster’ est mort, tué par des pirates. Revenir de cet endroit après vingt ans pour le voilier, qui, selon nous, a une âme, était un événement important. Blake est l’esprit qui nous accompagne dans nos missions. Lorsque nous entendons un bruit suspect dans le bateau, nous disons, pour plaisanter, ‘-Ah, voilà Peter!’
Sophie rejoint la même mission qui, après un long voyage, longe la côte de l’Afrique de l’Ouest, jusqu’en Namibie, puis revient à Dakar pour la fin de l’expedition quand Tara rentrera à Lorient, en décembre.
En mars une nouvelle longue expédition est déjà prévue pour Tara : un coast-to-coast européen pour étudier, de la Norvège à la Grèce, l’impact de l’homme sur la vie marine côtière. En ce qui concerne la cuisine, sur Tara, Sophie se partage entre son travail de marin et celui de cuisinière. Elle préfère normalement le quart de quatre à six heures le matin afin de pouvoir aller directement du pont à la cuisine pour préparer le petit-déjeuner et le déjeuner:
Lorsque je commence la journée, je pense déjà aux differents menus que je peux préparer en fonction des stocks, mais aussi en gardant à l’esprit la variété de la nourriture et la pêche qui peut être miraculeuse et dans ce cas, je remercie l’océan. Lorsque j’ai du poisson en quantité, j’aime régaler l’équipage en le preparant de différentes manières tel que des sashimis, des makis, des tatakis et d’autres préparations orientales dont je suis fière. En fonction des differentes durées des missions je dois faire preuve de créativité avec les quelques ingrédients à disposition. Lorsque je m’occupais des achats directement (pendant le Covid, il était plus difficile de calculer les quantités en ligne), je devais faire des choix judicieux (et aussi économiques), anticiper les vivres parfois pour deux mois de traversée en tenant compte de l’espace disponible et du stockage des produits. En fait, nous avons trois réfrigérateurs, une cale avant où sont stockés non seulement l’accastillage y compris le matériel scientiphique mais aussi une grande quantité de carottes, de pommes de terre, de potimarrons, de choux… J’utilise également certains espaces frais dans les laboratoires scientifiques pour les aubergines, les avocats et d’autres légumes. Il m’arrive aussi de préparer un gâteau ou un goûter réconfortant. Les repas sont les moments où nous nous retrouvons tous ensemble alors que le reste du temps, chacun vaque à ses occupations. La cuisine est située au cœur du bateau entre les différentes cales et les laboratoires, c’est donc un carrefour et l’endroit névralgique où les odeurs et la musique que j’ai en permanence se propagent et créent une belle ambiance: en bref, la cuisine donne de la couleur et de la saveur à la vie à bord.
Pendant son temps libre, entre les manœuvres et la cuisine, Sophie reprend sa passion d’origine pour les images et l’art et se délecte à dessiner, photographier et pyrograver sur du bois trouvé en mer ou dans un lieu de débarquement. Elle choisit sa couleur préférée, le vert pour décorer et préfère naviguer sur un bateau, alimenté par le vent, pour rester dans le vert écologique.
Je suis curieuse de savoir si, parmi les nombreux endroits qu’elle a traversés, Sophie a eu envie de s’arrêter parfois, mais s’enraciner n’est pas une option pour elle. Cependant, elle dit qu’elle aimerait retourner dans un endroit qui l’a particulièrement impressionnée: la Géorgie du Sud, ou plutôt les îles Sandwich entre l’Amérique du Sud et l’Afrique: un archipel au 54e parallèle, hostile, au climat polaire et difficile d’accès. C’est peut-être pour cela qu’ils l’ont tant impressionnée. La nature, intacte et sauvage, semble vivre indépendamment des hommes, à des milliers de milles marins de l’industrialisation même si, comme on le sait, l’éloignement n’est pas un symptôme de protection contre les changements climatiques qui menacent la planète entière comme un jeux des dominos. Impressionnée par les colonies de manchots, elle dit être tombée amoureuse du lieu parce qu’elle avait simplement le sentiment d’être au bon endroit, en harmonie avec la nature.
Nous parlons de son avenir. À trente-sept ans, Sophie dit qu’elle se voit toujours naviguer tant que son corps et sa santé le lui permettront:
J’ai l’âme d’un marin: après quelques mois à terre, j’ai besoin d’être en mouvement, de sentir les vagues battre le rythme de ma vie,toujours entre la cuisine, le pont et le dessin. La fatigue et la nostalgie je les surmonte lorsque, sur le pont, la nuit, j’aperçois des traînées de lumières sautantes : ce sont les dauphins qui accompagnent le voilier, éclairés par la luminescence du plancton sous un ciel étoilé. Un spectacle vraiment unique à partager sans moderation avec l’équipage et qui me récompense de tout.