Tinna, Reykjavík
Ho incontrato Tinna nella casa di rue Lepic, dove mi reco ogni volta che vado a Parigi. Lì ritrovo le amiche di sempre e gente di passaggio che, come me, frequenta quella cucina con la finestra che dà sul cortile della sartoria del Moulin Rouge da cui si intravede la casa dove viveva Boris Vian. A pranzo, insieme a me, era stata invitata una simpatica coppia, un uomo dallo sguardo attento e una giovane donna bionda dagli occhi azzurri. Dopo le presentazioni, mi sono rivolta a lei, curiosa di conoscere qualcosa del suo mondo tra i ghiacci, mi avevano già informato che era islandese.
-Come ti chiami?
-Mi chiamo Tinna
-Tina come Tina Modotti ?- le rispondo io e le mostro il catalogo appena preso all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi dove qualche tempo fa era stata allestita una mostra sulla fotografa.
Lei sfoglia il libro, annuisce, indica le foto che già le erano note, si sofferma su qualche particolare, poi risponde:
-Mi chiamo proprio Tinna, ma con due enne, forse possiedo qualcosa in più? e sorride in modo aperto, da bambina, poi, mi racconta di sè:
Tinna:
Sono nata in Islanda, negli anni ’70 i miei genitori sono partiti per il Belgio per lavorare, poi mio padre, che prestava servizio su un aereo cargo, ci ha portato in Lussemburgo, molti islandesi erano già andati a lavorare lì. Eravamo tre ragazze, divenute quattro quando mia madre ha adottato mia cugina. Nei periodi in cui mio padre lavorava su un aereo e doveva lasciarci, noi amavamo stare insieme tra donne. I miei genitori erano attaccatati alla loro terra, ma partivamo spesso, e io mi sentivo come una gitana, sempre in giro, sempre in cammino verso qualche altro luogo: dal Belgio al Lussemburgo, poi sei mesi in Germania e quattro anni nei nei Paesi Bassi.
Sono cresciuta in un contesto prevalentemente femminile, ed è stato importante per me vedere come un gruppo di donne possa lavorare serenamente insieme. Mia madre ha allevato ciascuna di noi con un suo distinto carattere: eravamo tutte differenti, una esperta dal punto di vista medico, infermiera, l’altra abile a pianificare, io con un animo artistico… Siamo sempre state molto unite, un gruppo di sostegno eccezionale le une per le altre. Anche quando siamo lontane, ci sentiamo tutti i giorni, raccontandoci anche le cose più intime, è bello sapere di avere degli angeli che vegliano sempre su di te.
Ad un certo punto della mia vita, nel 2003, sono rientrata in Islanda, per tutta la mia adolescenza avevo sognato di rientrare a casa mia, nell’isola, mia madre era già tornata lì e mi mancava. Il mio primo lavoro in Islanda è stato in un asilo, non conoscevo ancora bene la lingua e interagivo con i piccoli cantando le canzoni della mia infanzia. Quando il mio islandese è migliorato, ho cominciato a frequentare una scuola professionale , ho imparato a fare piccole opere, lavori manuali, cartamodelli. Ho frequentato la scuola per quattro anni, poi ho comprato una piccola macchina da cucire e ho cominciato a lavorare con le stoffe.
Nel 2006, mentre lavoravo all’asilo, ho conosciuto la Direttrice del dipartimento costumi in Islanda che, sapendo che amavo l’Opera, mi ha proposto di lavorare come aiutante costumista. Ho accettato e sono diventata abile nel nuovo lavoro, mi apprezzavano perché sapevo comunicare agevolmente con gli artisti, ogni performance in Islanda si fa in un luogo diverso, ho conosciuto tutti i coristi del Paese. Nel frattempo, continuavo a tessere e imparare . Dopo l’Opera ho lavorato al Teatro Nazionale, al Teatro della città, dove mi chiamavano quando c’era molto da fare, era molto stressante, io ero sofferente. A quel tempo infatti ho cominciato ad avere problemi gravi di salute, soffrivo di endometriosi, avevo sempre molti dolori e ho dovuto subire sei operazioni, con tante complicazioni, tra le quali quella di non poter avere dei figli. L’endometriosi è un male difficile da debellare, non è una malattia mortale e viene sottovalutata dai medici, che fino a poco tempo fa la ritenevano addirittura una malattia figlia dell’isteria. Ora le cose stanno cambiando un po’, ma si continua ancora a non dare troppa importanza ai dolori delle donne.
Nella cultura a Reykjavík non c’erano molti soldi da stanziare, perciò, nel 2012, ho accettato un lavoro al sud dell’Islanda, in un museo di storia, cultura e folclore, un posto lontano ed isolato dove arrivavano molti visitatori di tante nazionalità, incuriositi tutti sul come si possa sopravvivere in condizioni atmosferiche così avverse. Parlo sei lingue e ciò mi permetteva di illustrare agevolmente la storia della mia Terra. Il Museo era lo Slogar museum:
https://www.skogasafn.is/
Lì ho vissuto tre anni di solitudine, finchè, nel 2015 ho incontrato Brook, americano, anche lui uno zingaro come me, aveva viaggiato infatti tutta la vita, dal Giappone all’Asia, all’Italia, poi a Parigi e a Londra. Abbiamo lavorato insieme per un anno, lui per me all’inizio era solo un fratello con cui condividevo emozioni, conosceva tanto del mondo, e mi piaceva correre al Museo per parlare con lui anche quando non era il mio turno. Quando mi ha avvertito che era in procinto di trasferirsi a Reykjavik, mi ha visto desolata e mi ha proposto su due piedi di partire con lui, io mi sono scoperta innamorata della sua vitalità e della sua sete di sapere e l’ho seguito.
Nel 2019 ci siamo sposati, non volevo semplicemente dire di sì in Comune come se il giorno del matrimonio fosse un giorno qualsiasi, allora ho organizzato una vera festa pagana in uno splendido caffè, il Lunaflorense. Era un freddo 28 febbraio ma il posto era magicamente pieno di piante e fiori,ci assistevano i nostri dei Thor e Odino.
L’Islanda è la mia Terra, mi è stata sempre d’ispirazione, ma adesso mi piacerebbe vivere in un paese più caldo. Con Brooks mi trovo benissimo, siamo molto compatibili, viaggiamo insieme dovunque, a Toronto, nel Vermont, in Scozia, spesso a Parigi, un luogo che mi fa venire sempre nuove idee. Ho vissuto per un mese anch’io a rue Lepic per studiare inglese come seconda lingua. Soffro ancora per l’endometriosi e per la sopravvenuta fibromialgia, ma ho imparato a convivere con la malattia. Faccio sempre progetti, adesso lavoro con delle incisioni su linoleum e compongo delle carte divinatorie, ho sempre bisogno di creare e non c’è niente come Parigi per ispirarmi, insieme a Brook fotografiamo e registriamo: anche un piccolo oggetto ci fa sognare, abbiamo lo stesso sguardo sul mondo.
R.