Quando eravamo giovani maestre entusiaste discutevamo con passione nuovi percorsi didattici e metodi attivi. Da allora le nostre strade professionali ci hanno portato lontano: lei ha acquisito una notevole conoscenza ed esperienza in Senegal, dove sto per partire, tanti anni dopo la pianificazione di un viaggio. Più di venti anni fa, infatti, avevo adottato a distanza Mbegue, una bimbetta dell’età dei miei figli che iniziavano allora la scuola primaria. Lei non poteva andare a scuola e questo pensiero mi rattristava ogni volta che compravo un quaderno o dei colori per i miei bambini. Viveva in un villaggio dove si progettava di costruire un pozzo per migliorare la vita degli abitanti. Anche le bambine e i bambini lavoravano e trasportavano l’acqua da molto lontano per far crescere il miglio e le verdure necessarie per sopravvivere. Scambiavamo foto e lettere e, per un periodo, ho fatto la traduttrice volontaria di francese per l’associazione internazionale che si occupava di queste adozioni. Persone locali traducevano poi dal francese al wolof o ai dialetti locali: si costruiva così un legame affettivo che ha fatto crescere il desiderio di partire per andare a conoscere Mbegue, la sua famiglia e il suo villaggio. Presi dalle nostre peregrinazioni familiari tra Belgio, Italia e Francia non riuscimmo mai ad organizzare questo viaggio che mi è rimasto nel cuore. Ho saputo poi che il Senegal è il Paese eletto di Nuccia che racconta come è nata la relazione così speciale che intrattiene con questo territorio vasto e variegato:
Il Senegal è un Paese a cui sono legata da amicizie profonde. Mi sento ‘adottata’ dai molti amici e persone con i quali sono riuscita, in più di dieci anni, a tessere legami forti e costruttivi occupandomi di scuola ed educazione. Tutto è nato da quando ho accettato la sfida di passare ad insegnare agli adulti, prima nel Centro di Istruzione degli Adulti in carcere e poi sul territorio. Nella scuola carceraria utilizzavo moltissimo le cronache di giornale dei Paesi di provenienza dei miei allievi e dunque anche del Senegal. Le pagine tradotte in italiano erano oggetto di discussione e di apprendimento linguistico. Emergevano così scambi di idee sul senso della religiosità, sulla politica e sulla cultura. Entravo così anch’io in contatto con culture che imparavo a conoscere. Mi mancavano le immagini, i colori, gli odori, i suoni, forse avevo abbastanza conoscenze ma non ancora le chiavi interpretative per leggere ‘il territorio’. Sono quindi partita da sola, per due mesi, per viaggiare in Senegal, una necessità legata alla mia professione. Gli insegnanti sono chiamati ad interagire con le culture e i modi di pensare di persone che arrivano da mondi diversi. Vivere sulla propria pelle ‘lo spiazzamento di contesto’, mi ha permesso una maggiore empatia nei confronti di allievi provenienti da luoghi differenti e mi ha aiutata a trovare parole e azioni più coerenti per costruire percorsi più efficaci. Negli scambi con i miei studenti avevo imparato molto e queste conoscenze mi permettevano di parlare con la gente del posto, di politica o di sport, del recente mandato presidenziale o del risultato dell’ultimo match di lotta. Mi interessava la vita vera della gente; sono stata ospitata da colleghi poi diventati amici o ho soggiornato in alberghi alla mia portata ora diventati quasi la mia seconda casa.
Da questo primo viaggio, circa dieci anni fa, infatti, ne sono susseguiti tanti altri; ora Nuccia mette a disposizione la sua conoscenza del Senegal per la ONG modenese Bambini nel deserto; segue come responsabile un progetto di orti collettivi a Toubacouta al confine con il Gambia e contribuisce alla progettazione di azioni umanitarie.
Per Nuccia è necessario porsi in una posizione di ascolto ed osservazione se si vuole davvero entrare in contatto con le persone. Parliamo di interventi possibili nelle scuole anche in vista del centenario della nascita di Alberto Manzi, il Maestro degli italiani partito nella foresta amazzonica per studiare una rara specie di formiche. Dopo aver visto il trattamento riservato ai nativi da parte delle compagnie minerarie e della raccolta della gomma ed essere entrato in contatto con le comunità locali, restò a lungo in America Latina per insegnare a leggere e scrivere, e non solo. Nuccia sottolinea che per costruire qualsiasi intervento infatti è importante la conoscenza pregressa della realtà:
Non si possono proporre azioni se non sono co-costruite con i soggetti interessati: insegnanti, allievi e famiglie di quelle realtà, altrimenti si ritorna ad una concezione coloniale che non abbiamo estirpato completamente dalle nostre mentalità: ‘Io vengo e ti faccio vedere come si fa’. Durante il mio primo viaggio ho incontrato i miei colleghi del MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) senegalese ASEM. Da allora si è tessuta una fitta rete di lunghe collaborazioni che si sono concretizzate in vari progetti.
Fin dal primo viaggio è iniziato l’impegno per Nuccia nel tessere relazioni costruttive: ha realizzato per anni scambi e gemellaggi attraverso la corrispondenza tra le classi senegalesi e italiane, visite di docenti senegalesi nelle loro scuole, infine, con la rete torinese, è riuscita a supportare una colonia estiva per bambini provenienti dalla scuola di Stato in cui lavorano gli insegnanti Asem. Le colonie estive sono, in genere, appannaggio di famiglie con alto reddito:
Mi piacerebbe portare avanti il lavoro di supporto per questa rete anche nella professionalizzazione degli insegnanti. La mia idea è che gli studenti di scienze della formazione dovrebbero vivere l’esperienza dello spaesamento culturale e sociale; incontrare le famiglie, parlare con la gente e vedere come funzionano le scuole. Questo aiuterebbe a costruire la capacità di interagire in un cammino reciproco di scambio. Bisogna conoscere la realtà per immaginare le domande che ha senso porre o che si ricevono durante l’accoglienza.
Nuccia continua a parlare dei suoi soggiorni in Senegal ma anche del viaggio in Burkina Fasou, a Ouagadougou, dove Bambini nel Deserto ha creato, con l’aiuto di volontari e sponsor, una scuola per meccanici di moto. Ha continuato l’esperienza incontrando Bruna Montorsi nella scuola dell’infanzia da lei sostenuta e accompagnata negli anni, in un territorio di campagna, vicino alla capitale. Il suo lavoro, insieme a quello degli amici del ‘Movimento Freinet Burkinabé’, hanno permesso di coinvolgere le giovani donne del luogo in un lungo processo formativo per diventare insegnanti.
Nuccia porta avanti, con l’associazione, anche il progetto di riforestazione per piantare alberi in sinergia con l’attività ortofrutticola. L’obiettivo è quello di dare un impulso allo sviluppo economico e sociale per gruppi vulnerabili, donne e giovani a rischio immigratorio. Autosostentamento e empowerment sono le parole chiave per garantire, con sistemi moderni, l’attività agro-forestale e sostenibile dal punto di vista energetico, nel Comune di Toubacouta:
Scegliamo gli alberi da piantare con uno sguardo sistemico: studiamo dove c’è acqua per mantenerli, per integrare le culture degli orti e dare azoto al terreno in modo che arboricoltura e orticultura si supportino a vicenda, nel rispetto dell’ambiente. Abbiamo scelto di lavorare con la FENAB (Fédération National d’Agriculture Biologique) che sta portando avanti campagne di sensibilizzazione alla coltivazione biologica. La rete idrica e l’elettricità sono a pagamento ed irrorare le piante non è alla portata di tutti. Cerchiamo dunque di scavare pozzi a pompe solari che possano funzionare tra le otto e le diciotto.
Nuccia mi invita a scoprire sul terreno questi progetti mentre li seguirà e si occuperà della rendicontazione; l’associazione infatti si regge su fondi di privati e donazioni dell’8 per mille. Intanto l’ONG pensa di avviare una attività di ‘périmètre marechaire’ anche vicino Thiès, luogo di origine del suo caro amico Aboubacar. Come molti immigrati già integrati nel nostro Paese, Aboubacar ha potuto assicurare un sostegno alla sua famiglia allargata rimasta in Senegal. Molti, come lui, si sentono combattuti tra il desiderio di stare vicino a mogli e figli ed il timore che il sostegno alla famiglia, garantito dal lavoro all’estero, venga a mancare tornando a casa, come nel film di Philippe Faucon “Amin” che ho rivisto recentemente. L’attore e musicista senegalese Mustapha Kharmoudi recita il ruolo di un lavoratore immigrato in Francia preso dalla difficoltà di conciliare la necessità di essere con la famiglia nel suo villaggio natale ed il bisogno di sostenerla economicamente e, nello stesso tempo, di vivere pienamente la sua nuova esistenza superando la solitudine: una storia come tante che fa pensare alle vite vere di tanti immigrati.
P.
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