Marisa ci regala dai suoi ricordi di viaggio un affresco di una bella zona dell’Argentina.
prima parte
Fiambalá è un villaggio nel nordovest dell’Argentina, nella provincia di Catamarca, addossata alle Ande e non lontana dal confine con il Cile. Il paese in sé somiglia a tanti altri di quella regione, ma solo le sue terme sono veramente straordinarie, così straordinarie che sembra ci sia stato anche Pavarotti.
Mi avevano consigliato di alloggiare alle terme, ma purtroppo non c’era più posto, così ho dovuto rassegnarmi all’hospedaje di Don Beto, scelto alla cieca.
Dopo una notte di viaggio in pullman da Córdoba arrivo a Fiambalá, dove mi aspetta il proprietario, con una macchina sgangherata, grande e grosso e un po’ claudicante. Scopro che il paese, di 5000 abitanti, si estende per 10 chilometri su di una strada principale. Le sparse casette lungo la strada non asfaltata, quasi tutte a un piano, e costruite in adobe, hanno il retro rivolto alla campagna, dove i proprietari coltivano vite e olivo. L’Hospedaje Don Beto è a un paio di chilometri dal centro; la strada è piena di sabbia, portata dal vento zonda che soffia spesso in questo periodo. Per andare in centro, se non si prende un taxi (ma sembra impossibile, se ne saranno un paio in paese), c’è una camminata di quasi mezz’ora. Fa abbastanza freddo, anche se in pieno giorno, col sole, vien voglia di mettersi in maniche corte.
Le terme però sono a una quindicina di chilometri, e il taxi costa quanto il pernottamento da Don Beto …. l’hospedaje è umilissimo, tra l’altro scopro che è costruito in adobe, e che nelle case di adobe si annida la temibile vinchuca, una specie di scarafaggio che morde gli animali a sangue caldo trasmettendo un parassita che causa il mal di Chagas, quello, per intenderci, di cui sarebbe morto Darwin. Per cui dormo con la macchinetta antizanzare, una bella spalmata di autan e una rigorosa controllata delle lenzuola prima di infilarmici. Non c’è riscaldamento, e fa un freddo bischero, ma posso rompere il gelo con una provvidenziale stufetta elettrica – che però spengo prima di uscire e prima di dormire. Dato il vento zonda – e, sospetto, non solo – ogni tanto c’è interruzione di elettricità, per cui l’hospedaje è dotato di lampade al neon ricaricabili. In più di un’occasione mi tocca fare colazione o prepararmi nella penombra. Il bagno si inonda a ogni doccia, e bisogna arginare l’acqua con una spatolona evidentemente lasciata lì appositamente.
Marisa
(continua…)