Fiambalà 2

seconda parte

Don Beto ha una decina di gatti di tutti i colori e dimensioni, che amano stare nel portico e appisolarsi sul bucato (già lavato?) ammassato su un tavolo; e un paio di cani che invece si vedono abbastanza poco.

Appena arrivata vado in centro e cerco un’agenzia turistica per organizzarmi il soggiorno: ce n’è solo una, e mi accordo per il trasporto su e giù dalle terme, ma anche per alcune escursioni. Poi faccio il primo assaggio termale; il luogo è delizioso, con le sue vasche scavate nella roccia, l’acqua che si riversa dall’una all’altra in cascatelle che ti procurano un piacevole massaggio. La temperatura è naturalmente maggiore (altissima!) nelle vasche più in alto, e si abbassa man mano che si scende verso valle. Il cielo è di un blu accecante, e tutt’intorno ci sono picchi rocciosi. Sono così incombenti, che il sole arriva alle vasche solo alle 11.30, e “tramonta” intorno alle 14.30. Naturalmente il buio arriva solo al tramonto effettivo, ma si può restare a godersi l’acqua calda e il massaggio delle cascate anche tutta la notte, se si è ospiti delle terme, o fino a mezzanotte se si soggiorna in paese.  Solo che fa parecchio freddo, e l’uscita dalle piscine è piuttosto traumatica, bisogna avere l’accappatoio a portata di mano. Meglio sarebbe venire in primavera o autunno, quando fa meno freddo ma non troppo caldo, per goderne pienamente.

Anche se Pavarotti è davvero venuto fin quassù, il luogo è assolutamente spartano, l’unico lusso è l’acqua, e i tanti uccellini variopinti (comesebo) che svolazzano qua e là nella speranza di ottenere qualche briciola degli spuntini dei termaioli.

Il clou del mio soggiorno a Fiambalá è stato quando, unica passeggera, sono partita sulla 4×4 di una guida, Manuel – per l’occasione accompagnato da un navigatore, Willy – per il Campo de Piedra Pómex. Siamo partiti alle 6.30, col buio; durante la prima parte del tragitto abbiamo percorso un’infilata di valli insinuate   tra strette gole piuttosto cupe: a ogni svolta del fiume – che abbiamo guadato almeno una trentina di volte – le rocce mutavano di forma e colore – finché abbiamo raggiunto un villaggio poverissimo di poche casupole, Las Papas (le patate), dove ho visto per la prima volte indios con la classica palla di coca in bocca: si mettono una trentina di foglie mescolate a bicarbonato nella guancia, e ce le tengono finché non ne hanno estratto tutto il succo.

Da Las Papas è cominciata l’ascesa su una strada sterrata costruita da pochi anni, tutta tornanti; siamo partiti da quota 2000 per arrivare ai 3700. Naturalmente il paesaggio cambiava man mano che si saliva verso il passo, e il mare di roccia che si poteva vedere guardandosi indietro era davvero impressionante.

(continua…)

Marisa

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

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