Mi aprono la porta sorridenti: entrambe hanno i capelli acconciati a caschetto, una li ha grigi, l’altra tinti con un rosso scuro, sembrano sorelle, non saprei distinguere chi sia la madre e chi la figlia se non avessi saputo dall’amica che mi ha presentato che Oriana, la figlia, è nata 49 anni fa con quella che oggi si definisce “diversità”.
Mi accomodo in salotto, Oriana chiede a Loredana, l’amica che ci ha presentato, di accompagnarla in cucina a disegnare e io accendo il mio telefono per registrare le parole di Maria:
Mi sono trasferita dalla Sicilia a Roma per quello che ritengo un atto di coraggio. Sono stata catapultata da un giorno all’altro da un ambiente familiare ristretto, che in qualche modo mi proteggeva, in una città grande ed estranea. Avevo due figlie piccole, la prima con la sua disabilità mi spingeva a cercare nella capitale un posto dove potesse essere seguita meglio. Ho avuto da subito la consapevolezza che in Sicilia non ci fossero servizi adeguati per poter avere la possibilità di darle e fare qualcosa di più nella speranza di potenziare e sviluppare percorsi idonei per la sua autonomia.
L’avevo avuta a 19 anni, mi ero sposata molto giovane, più che per amore, per desiderio di affrancarmi dalla mia famiglia di origine: sognavo una casa mia, la libertà. I miei genitori erano gelosi, il paese ristretto, il matrimonio rappresentava una fuga, in realtà non immaginavo che quella scelta precipitosa, sarebbe stata l’inizio di una grande sfida che mi avrebbe portata a stravolgere la mia vita.
Quando è nata, la sua nascita è stato uno shock in un primo momento: credevo di vivere in un incubo, non sapevo come affrontare questo macigno che mi era piombato addosso. Ero stata spensierata fino ad allora e, di colpo, mi trovavo in una situazione più grande di me. Non avevo aiuti a parte la mia famiglia d’origine, Oriana era difficile da gestire e presentava dei problemi, nessuno sapeva interagire con lei in determinate situazioni. Ho capito che era una responsabilità solo mia e in quanto tale avevo bisogno di fare del mio meglio.
Contrastata da tutti, ho deciso di partire, di tirare fuori le mie bimbe (dopo Oriana era arrivata Lavinia) da quella piccola cittadina del sud dove avvertivo soltanto estraneità. Dapprima sono stata ospitata da alcuni amici poi, con il sostegno del mio ex marito, ho trovato una sistemazione mia. Il padre delle bambine non ha voluto più frequentarle ma per un po’ mi ha sostenuto economicamente.
Inizialmente ero chiusa con Oriana nel mio smarrimento, ma nello stesso tempo attratta da lei. La sensazione più tangibile era sentire potente dentro di me un amore profondo anche se doloroso. Oriana era dentro di me, Oriana ero io, Oriana era Maria… Piano piano mia figlia è divenuta la mia forza, il suo amore mi sostiene nei momenti duri.
Con l’altra mia figlia è stato tutto semplice, Lavinia è stata un grande sostegno, così matura da capire perchè ero costretta a lasciarla indietro. La trascuravo, è vero, ma lei era conscia che era giusto così. Anche se le due sorelle tra loro comunicavano poco perché Oriana viveva in una sorta di isolamento interiore, Lavinia riusciva a capire me e lei.
Dopo, è arrivato un nuovo amore, e con lui, una nuova vita: è nato Marzio, il mio terzo figlio. Con il mio compagno ci siamo lasciati quando il bimbo aveva tre anni, sono rimasta di nuovo sola con le mie responsabilità. Con la nascita di Oriana avevo interrotto i mei studi di Scienze Politiche, non potevo né lavorare né studiare, ho seppellito con lei i miei sogni di bambina ideale che ogni madre si crea durante il periodo di gravidanza.
Non si è mai conosciuta l’esatta sindrome di mia figlia, qualcuno ha parlato di autismo, altri di problemi psicomotori, ritardo cognitivo. Nessuno ha saputo indicarmi una diagnosi, questo mi ha permesso di trattare mia figlia con normalità. Soltanto il Professor Bollea, il noto psichiatra italiano, padre della moderna neuropsichiatria infantile, mi ha consolato dicendo che avevo adottato l’unica strategia utile a mia figlia: l’amore. Ed io ho amato Oriana dal primo istante, non mi è stato difficile. Ho sentito che lei mi era stata donata per vivere e poter esprimere la mia capacità di amare, quella che non avevo avvertito fino ad allora. Non mi sono mai chiesta che cosa avrei fatto se non fosse nata lei, non riesco ad immaginare come sarebbe stata la mia esistenza. Penso di non aver avuto il tempo di pormi tante domande, ho dovuto affrontare ciò che era necessario per il suo benessere senza farmi troppe domande. Non mi sono lasciata affondare dalla situazione, non mi sono sentita punita dalla vita. Oriana l’ho sempre considerata un dono, un regalo speciale che mi permette anche di gioire, che ha dato un senso alla mia esistenza. Anche se in tante situazioni mi sono sentita limitata, ho acquisito grazie a lei la capacità di essere resiliente anche nelle situazioni complesse, capacità che non credevo di possedere. Considero la sua nascita un’opportunità che mette alla prova ogni giorno il mio amore con un compito carico di sfide, un’opportunità di rimanere vigile e non dare nulla per scontato. Se mai mi sono sentita necessaria questo è il momento. Se mai mi sono sentita un’ancora che resta salda in mezzo alla confusione, questo è il momento, adesso il mio compito è chiaro. In un certo senso, tutti gli anni trascorsi cercando di rendere profondamente istintivo il mio modo di essere madre devono essere stati in preparazione del mio compito con Oriana. Sono felice della fiducia che ho nel mio modo di essere con i miei figli, costruito nel tempo, attraverso prove e errori. Sento che questa esperienza e l’orgoglio che provo mi danno un senso di considerazione di me stessa. È sempre prevalsa questa forza: ci sono cose che in certi momenti vengono fuori, si pensa di non riuscire a superare dei momenti ma poi si trova la forza dentro di noi che non si sapeva di possedere. Nei momenti tristi questo amore mi ha fatto sentire grata di averla. Se non ci fosse stata Oriana non sarei la persona che sono. Grazie a lei mi sono impegnata a livello sociale in battaglie che riguardano la disabilità e soprattutto la indispensabile funzione del Caregiver.
Faccio parte di un’associazione, la CONFAD (coordinamento nazionale famiglie con disabilità), siamo andati a Bruxelles per chiedere che vengano riconosciuti i diritti umani dei nostri cari e di noi che ce ne prendiamo cura, specie quelle famiglie mono genitoriali sempre più impoverite dal costo della cura per i propri figli. Io ho patito a lungo per il fatto di non poter dare loro, attraverso un lavoro, una migliore qualità della vita. Non ho avuto pari opportunità; se avessi avuto qualche appoggio avrei potuto lavorare.
Oriana ha frequentato un centro diurno per alcuni anni, perciò io mi sono potuta impegnare per qualche tempo presso la comunità di Capodarco come volontaria. Lì abbiamo messo in piedi una fondazione per il DOPO DI NOI.
Il mio intento futuro è quello di non chiudere Oriana in una casa famiglia, quando non ci sarò più vorrei che rimanesse in questa casa e, con la supervisione dei fratelli, essere seguita qui da operatori domiciliari.
Mentre chiacchieriamo entrano i nipoti di Maria, due vispi ragazzini di 7 e 9 anni; è una casa ridente quella di Maria, anche sua figlia abita nello stesso complesso e si percepisce l’affetto che circola. Dopo aver chiacchierato un po’ con la bambina più piccola e salutato il nipote più grande, Maria sospira:
Non mi sento in colpa con Oriana, le ho dato tutto, ma mi duole non essermi potuta dedicare agli altri due figli con lo stesso impegno. Nonostante ciò sono fortunata perché loro sembra che abbiano compreso il mio sforzo per dividermi fra loro tre, anche se non l’ho fatto in maniera equa.
Maria ha optato per Oriana per una forma di assistenza indiretta: ha un budget con il quale paga degli operatori che lavorano con sua figlia: la accompagnano a fare passeggiate, la assistono, la stimolano. Ha dei cari amici che accettano Oriana.
Alla fatidica domanda che conclude le nostre interviste su cosa porterebbe e cosa lascerebbe in uno zaino ipotetico, Maria risponde:
Nello zaino metterei i libri che mi hanno aiutato tantissimo e poi fanno tanta compagnia, sono stati i miei compagni di viaggio, e poi il coraggio per affrontare le sfide future.
Lascerei le mie paure, le tante incertezze. Ho sempre dovuto contare solo su me stessa e ciò mi ha reso vulnerabile. Tanti mi dicono che sono forte, ma io non mi sento poi così forte. Ho delle fragilità che mi porto dentro e tante insicurezze che nel corso del tempo ho cercato di affrontare ma la scelta di allontanarmi dalla mia terra d’origine e dalla mia famiglia dove non intravedevo nessuna possibilità di cura, mi ha aiutata a crescere e mi ha permesso di dare a mia figlia migliori opportunità.
Oriana richiama la nostra attenzione: è ora di cena e ci invita alla tavola da lei apparecchiata con cura insieme a Loredana. Maria così conclude il nostro incontro:
Ciò che succede nella vita è un’opportunità, all’inizio non siamo consapevoli del perché di tutto questo e quanta forza c’è in noi, dobbiamo accettare la sfida. Molti vengono sopraffatti dal dolore, è il caso di numerose famiglie, tanti si suicidano proprio a causa dell’abbandono istituzionale. Ma questo mio impegno di cura mi ha anche permesso egoisticamente di continuare a prendermi cura di me.
È scontato amare un figlio sano ma amare chi non lo è è complicato. Io non sapevo se Oriana fosse in grado di capire o percepire i suoi bisogni, non avevo la certezza di quello che arrivasse alla sua coscienza.
Adesso so che lei percepisce ogni emozione ed è in grado di esprimersi e amare. Oriana mi ha insegnato ad andare oltre le apparenze.
Maria Polizzi