Da qualche giorno non riesco a non pensare a una piccola grande donna iraniana con slip a righe e reggiseno lilla: Ahou Daryaei. Alcuni giorni fa è stata aggredita perché non indossava il velo e ha reagito con la sola arma che aveva a disposizione: il suo corpo. Le hanno strappato la felpa e lei, in risposta, ha tolto i pantaloni ed ha iniziato a camminare davanti all’ingresso del campus universitario.
Sono più di due settimane che Ahou è stata portata con la forza presso un ospedale psichiatrico perché ritenuta affetta da un “grave disagio psicologico”. Le stanno somministrando farmaci e fiale dal contenuto sconosciuto. È una nota tattica del regime, atta a etichettare come mentalmente instabili le donne che protestano contro le violazioni dei diritti subite quotidianamente.
La ragazza si è contraddistinta per il suo coraggio disarmante ed è stata soprannominata: ‘’La ribelle della libertà’’; le immagini ed i video che la ritraggono hanno fatto il giro del mondo in poche ore. Amnesty International ha subito dichiarato: “Le autorità iraniane devono rilasciare immediatamente e senza condizioni la studentessa universitaria”. Migliaia di persone hanno pubblicato post a sostegno di Ahou, anche per tenere viva l’attenzione su ciò che accade in Iran.
Anche noi ‘donne con lo zaino’ sentiamo l’esigenza di parlare di Ahou e delle tante donne che si impegnano per i diritti delle donne in Iran e nel mondo.
Per il nostro blog ho contattato Shervin, una giovane amica italo-iraniana che ha esordito così:
Chiudere gli occhi, voltare le spalle, restare indifferenti, significa essere complici.
Shervin è nata a Roma da genitori iraniani, emigrati in Italia subito dopo la rivoluzione del ’79, quando il popolo iraniano, da un giorno all’altro, si è ritrovato a sottostare ad un regime teocratico dove tutto è subordinato alla volontà della Guida Suprema, prima Khomeini ed ora Khamenei.
I genitori di Shervin, come tanti altri iraniani, sono emigrati perché non si riconoscevano più nel loro Paese. Hanno scelto l’Italia e, nonostante le difficoltà iniziali di integrazione, oggi possono dire di essere anche cittadini italiani.
Spesso si crede che le proteste in Iran siano iniziate esclusivamente per protestare contro l’obbligo di indossare l’hijab. L’hijab è un simbolo attraverso il quale il regime vuole controllare il corpo delle donne, il loro pensiero.
Prima della rivoluzione del 1979, portare il velo era una scelta personale, e in alcuni Paesi del Medio Oriente molte donne continuano tuttora a indossarlo volontariamente. In Iran, dal 7 marzo 1979, è stato imposto l’uso obbligatorio dell’hijab: si tratta di una legge entrata in vigore oltre 45 anni fa. Le donne iraniane sono state obbligate a coprirsi, a nascondersi e a reprimere la frustrazione per le disuguaglianze di genere.
Tuttavia, il significato delle proteste va ben oltre la questione del velo; si tratta di una rivoluzione culturale che coinvolge tutti i settori della popolazione, una lotta per la libertà e i diritti fondamentali. Ogni giorno cresce il numero di donne che rifiutano di indossare l’hijab e continuano questa battaglia per i diritti, accompagnate da altrettanti uomini che le sostengono e portano avanti la disobbedienza civile.
Così racconta Shervin:
Faccio attivismo da quando ero soltanto una ragazzina, ma negli ultimi due anni, dalla nascita del movimento ‘’Donna, Vita, Libertà’’, ho intensificato l’attività anche con giornate di formazione nelle scuole, interviste ed articoli sull’Iran. È stata una scelta difficile quella di espormi politicamente. Quando lo fai sei consapevole che è una strada di non ritorno. Fino a quando l’Iran non sarà di nuovo libero io e la mia famiglia non potremo tornarci.
Chiedo a Shervin come è nato il suo desidero di battersi contro le ingiustizie:
Le storie di parenti e conoscenti, le ingiustizie da loro subite, mi hanno aperto gli occhi molto presto. Tutto questo mi ha portato a leggere tanto sulla mia terra d’origine ed a documentarmi sempre di più sulle violazioni dei diritti umani subite quotidianamente dagli iraniani. All’esame di maturità scelsi come argomento della tesina ‘’Libertà e censura’’. Si partiva dall’articolo 21, commi 1 e 2 della nostra Costituzione. ‘’Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure’’. Questo articolo è stato una conquista per noi. Il nostro Presidente Mattarella, in uno dei suoi messaggi, ci ha parlato dell’informazione come ‘veicolo di libertà’. Non dobbiamo dimenticarlo. Come l’attività fisica, anche esercitare i diritti è un tipo di allenamento: occorre essere costanti per vivere bene e non dare mai nulla per scontato. Ricordo ancora, come se fosse ieri, che, sul retro della mappa concettuale della mia tesina da diciottenne, avevo fatto stampare la foto di una donna che, con il pugno alzato, gridava per i suoi diritti e quelli del suo popolo. Era una foto del 2009, l’anno dei brogli elettorali che portarono alla riconferma di Ahmadinejad: fu l’anno in cui, per mano del regime, furono uccise circa 1500 persone in 3 giorni. In quell’anno, il governo riuscì a bloccare Internet ed i social, impedendo il proliferarsi delle informazioni.
Tra il 2022 ed il 2023, sono state uccise più di 600 persone. Mahsa era una ragazza di 22 anni proveniente dal Kurdistan iraniano; fu fermata dalla polizia morale il 13 settembre, mentre era in vacanza con la sua famiglia, perché non indossava il velo “correttamente”. Portata al cosiddetto “Centro di rieducazione”, venne aggredita: le percosse ricevute le causarono un trauma cranico, e pochi giorni dopo morì. Mahsa non era un’attivista, ma una cittadina comune. La sua morte ha provocato una forte reazione sui social media, alimentata dall’hashtag #mahsaamini e dall’immagine straziante del padre e della nonna in lacrime in ospedale. La notizia della sua scomparsa, il 16 settembre 2022, è stata vista come un punto di non ritorno: per gli iraniani, la sua perdita è stata vissuta come quella di una sorella, una figlia, una parente.
Il 17 settembre, durante il funerale di Mahsa nella sua città natale, Saqqez, sono scoppiate le prime proteste, che si sono rapidamente diffuse ad altre città. Le piazze hanno cominciato a riecheggiare di slogan come “Morte al dittatore”, mentre sui social circolavano immagini di donne che si toglievano il velo e lo bruciavano. Le proteste si sono estese a macchia d’olio, provocando scontri tra manifestanti e forze di sicurezza, soprattutto in Kurdistan, causando le prime vittime. In risposta, il regime ha organizzato manifestazioni pro-governo e ha limitato l’accesso a Instagram e WhatsApp. Inoltre, il presidente Raisi ha insinuato che i disordini fossero frutto di un complotto straniero. Tuttavia gli iraniani, questa volta più determinati che mai, hanno deciso di non arrendersi. Così è nato il movimento “Donna, Vita, Libertà”. Questo slogan, gridato nelle piazze iraniane e internazionali, ha origine dalla versione curda “Jin, Jian, Azadi”. Tre parole profondamente radicate nella storia del popolo curdo. La rivoluzione, iniziata dalle donne, si è poi estesa in nome della vita e della libertà, non solo per una donna ma per tutta la società. La liberazione delle donne è considerata il fondamento della liberazione di un intero popolo.
Shervin aggiunge:
Qualche mese fa, un attivista mi ha fatto una domanda “Che cos’è la speranza per te?’’. Ci ho pensato qualche minuto, poi gli ho risposto: ‘’È la luce che riesce ad intravedere un occhio attento laddove sembra tutto buio’’.
Il 6 dicembre 2023, Shervin, insieme a una delegazione di attivisti, ha presentato ad alcuni europarlamentari una serie di proposte per sostenere concretamente la rivoluzione in atto in Iran. Dal 16 settembre 2022, ogni attivista, a suo modo, ha amplificato la voce del popolo iraniano, facendo attenzione a selezionare le fonti giuste, diffondere informazioni e spiegare in modo chiaro, soprattutto ai giovani, i metodi di controllo usati dal regime iraniano contro chi lotta per ottenere almeno i diritti fondamentali.
Il movimento di donne e uomini iraniani continua a far sentire la sua presenza, resiste alla pressione del regime: al coraggio collettivo si è affiancato quello individuale, con ciascun iraniano che è diventato un fotoreporter per far arrivare a noi i contenuti che testimoniano le violazioni dei loro diritti. Parallelamente, continua la resistenza dei prigionieri politici nelle carceri. Narges Mohammadi, Premio Nobel per la Pace 2023, nonostante i problemi di salute, fa ancora sentire la sua voce con lo sciopero della fame del martedì contro le esecuzioni e con altre iniziative condivise anche da altri attivisti.
In questo contesto, il ruolo degli attivisti e della diaspora iraniana diventa sempre più cruciale. Documentare le violazioni dei diritti in Iran e inviare rapporti all’Unione Europea, aiutare i nuovi emigrati iraniani a integrarsi in Europa, amplificare la voce degli iraniani: tutto questo è fondamentale. Non bisogna lasciarsi scoraggiare dalle intimidazioni e dalle minacce del regime.
Chiedo a Shervin, per alleggerire la tensione e il dolore per ciò che accade in Iran, di raccontare per le lettrici del blog qualcosa che ci aiuti a capire il suo Paese e lei; sorridendo, mi parla del TAAROOF:
Dicono che L’Iran sia il paese del Taaroof, che potremmo definire come “l’arte del fare complimenti”. Chi ha avuto a che fare con un iraniano avrà compreso quanto la cortesia ed il bon ton facciano parte della nostra cultura. A volte, però, questi atteggiamenti possono indurre (soprattutto gli occidentali) a pensare che siano soltanto frutto di un comportamento “di facciata”, finto o comunque poco naturale.
Io che invece ho avuto a che fare con il Taaroof fin dalla nascita, so bene che non è così e più volte ho dovuto mettere un “freno” ad un istintivo essere gentile e disponibile.
Credete magari che stia esagerando: Vi racconto un aneddoto per rendere l’idea. Mi viene sempre in mente quando ero in Svezia per una vacanza-studio. Ero seduta su una panchina con un’amica a sbucciarmi una mela, e vedendo che mi guardava insistentemente, ovviamente le chiesi se ne voleva un po’. Lei subito mi disse di sì, e ripeté la stessa risposta per tutti e quattro gli spicchi che sbucciai, come se la cosa fosse normale. Quando – ovviamente solo lei – finì di mangiare, provai a spiegarle che nella mia cultura avrebbe dovuto rispondere di no alla mia offerta, magari accettando la mia insistenza la prima volta ma assolutamente negando le altre, a costo di andarsi a prendere un’altra mela sbucciandosela da sé. Tutto questo per lei era inconcepibile, e guardandola dal suo punto di vista un po’ lo risultò anche per me, poiché giustamente lei mi diceva “Se la voglio e tu me lo chiedi, perché devo dirti di no?”, e similmente “Se tu la vuoi e non vorresti darmela, perché me lo chiedi anche più volte?”. Quindi attenti al Taroof quando andate in Iran: rischiate anche di non pagare al tassista. Alla domanda quanto viene, dirà ‘’non si preoccupi’’. Quindi dovrete insistere voi!
Il Taroof l’ho ereditato dai miei, e in particolare da mio padre che è la persona che, specialmente in questo percorso di attivismo, mi sta aiutando molto. Lui fa parte della prima generazione di immigrati venuti qui in Italia.
Mentre parla della sua Terra, avverto in Shervin una nota di rimpianto e le chiedo se ha nostalgia dell’Iran; allora, lei mi racconta di un suo viaggio ad Atene per partecipare al matrimonio di una sua cara cugina:
Vedere dopo tanti anni gli affetti di una vita, i miei cugini di primo grado, quelli che molti di voi hanno la fortuna di avere al piano di sotto, provare quelle emozioni intense. Abbracci forti, occhi profondi, tanto da raccontarsi. Che darei per esser ancora un po’ con loro. Perché io in Iran non posso più tornare.
Eravamo ad Atene, ma quelle musiche, i nostri balli mi hanno riportato per una sera alle feste in Iran, a quei matrimoni nelle ville private di Teheran. Sono tornata indietro nel tempo: quanto era bello ritrovarsi tutti insieme a cantare a squarciagola le canzoni d’amore persiane. Raffiorano subito i ricordi in ordine sparso: fare colazione con la marmellata di amarena, il pane lavash e quel tè sempre del colore giusto (né troppo chiaro né troppo scuro). Ricordo ancora i sorrisi: quello di mia nonna, bella come il sole – aveva una pelle stupenda, sempre con le guanciotte rosse. Mi manchi nonna: lo sai, mamma ha il tuo stesso odore. Ed ogni volta che lo sento, ti penso. Sguardi. Quelli che ho scambiato con mia cugina tra una foto e l’altra – si sa che la sposa è sempre la più impegnata; eppure siamo riuscite a ritagliarci il tempo per scherzare come quando eravamo bambine. Che darei per trascorrere altro tempo insieme, anche soltanto per parlare di come sarà il tempo domani.
Dobare delam tang shode (letteralmente ‘’di nuovo il mio cuore è diventato stretto’’). Irane man, eshghaye man, Iran mio, amori miei mi mancate ancora più di prima. Succede così, quando ti ritrovi dove il tuo cuore ha battuto forte. Non c’è tempo che regga. Passeranno anni, ma basterà tornare in quel posto per sentire di nuovo forte e chiaro quel battito.
Per le donne con lo zaino Shervin descrive il suo zaino ideale:
Porterei con me tanta tenacia e forza di volontà, acqua, sedano, cetrioli e finocchi (amo le verdure), e poi ancora taccuini e penne. Lascerei i pensieri negativi, le piccole preoccupazioni quotidiane e i macigni del cuore.
Shervin conclude la sua chiacchierata ricordando le parole che aveva pubblicato sulla sua pagina Instagram Armita, una studentessa curda con cittadinanza iraniana che ha perso la vita il 28 ottobre, dopo più di 20 giorni di coma. Era stata aggredita nella metropolitana di Teheran dalla polizia morale perché, per scelta, non indossava l’hijab.
‘’Anche la notte più buia finirà e di nuovo il sole splenderà’’.
Shervin Haravi