Cronache londinesi 2: V&A, Donatello

Saturday è una bella giornata a Londra, tenuto conto della stagione. A sprazzi il sole sbuca dalle nuvole e incoraggia le passeggiate per poi diventare improvvisamente ventoso e accennare ad una pioggerellina che incita ad entrare in uno dei tanti musei gratuiti della città: British weather insomma. Decidiamo di assecondare il clima mutevole e adattiamo i nostri piani in funzione di quanto accade sopra di noi. Iniziamo quindi con una bella camminata a Kengsinton Garden ma quando arriviamo vicino al laghetto si alza una tempesta di vento che fa spruzzare l’acqua su chi si era avvicinato a nutrire o fotografare cigni ed anatre. Quando poi arrivano i gabbiani attirati dal cibo, sembra quasi di essere in riva ad un mare impetuoso.

Ci rifugiamo allora nella vicina chiesa Saint Mary Abbots del XIII secolo che si rivela una scoperta davvero interessante. Le parti più antiche, risalenti al 1242, sono state sostituite dall’edificio attuale nel 1872 da George Gilbert Scott nello stile neogotico ispirato al gotico inglese dell’epoca medievale e lo si avverte ammirando le navate e i rosoni all’interno ma anche dall’architettura esterna e la sua torre alta 84 metri, la più elevata di Londra. La domenica suonano le campane del 1772 e si prevede un concerto del coro della chiesa -che è stata convertita in chiesa anglicana- accompagnato dall’organo formato da quattro tastiere e 3345 canne. Passiamo tra i banchi per i fedeli e notiamo su alcuni di essi le tracce di bruciature dovute ai bombardamenti di Londra del ’44. Visitiamo il giardino e il porticato annesso sui cui muri ci sono più di 250 iscrizioni commemorative: la più antica è del 1653. Il foglietto informativo afferma che tra le persone celebri che hanno frequentato la chiesa nel passato c’era anche Isaac Newton.

Il cielo si rischiara e riprendiamo a camminare verso Exhibition street e la zona dei musei per andare a visitare l’Albert & Victoria Museum ma, appena arrivati all’entrata, di nuovo il sole si affaccia dalle nuvole e decidiamo di andare a percorrere un cammino di ricordi verso l’Imperial College. Mentre cerchiamo l’ingresso, passiamo davanti al Royal College of Music che non conoscevamo. Siamo attratte dalla locandina affissa all’esterno che invita a visitare la mostra Music, Migration & Mobility sulla storia dei musicisti ‘émigré’ dall’Europa nazista in Gran Bretagna, aperta (e gratuita) fino al 16 aprile. Prima di salire nello spazio espositivo però un’inattesa meraviglia ci aspetta: una piccola ma densa collezione di strumenti musicali antichi.

Grazie ad un’audioguida che fa attivare il suono di ciascun strumento passando davanti alla vetrina relativa, ci godiamo un’immersione nella musica mano mano che scopriamo la storia di essi come per la chitarra più antica del mondo (Belchior Dios, 1581), una dieci corde dal corpo più piccolo delle chitarre moderne e dal suono più acuto che ispirò nuove musiche di accompagnamento di canti e danze o anche strumentali. Più avanti scopriamo l’organo Barrel, strumento che poteva essere ‘suonato’ anche senza un musicista, un precursore della musica registrata. L’inventore, Benjamin Flight, veniva da una famiglia di costruttori di organi e creò, nel 1820, il ‘micrometro’, con musiche prefissate, azionabile con una manovella. Proseguendo ammiro l’arpicordo, del veneziano Alessandro 1531, suonato nei palazzi veneziani dell’epoca  e magnificamente decorato con un nudo di donna ispirata a scene mitologiche di Tiziano. Passiamo a visitare infine la mostra ricca di foto, oggetti, documenti che tracciano la storia di diversi musicisti che riuscirono a emigrare sfuggendo alle persecuzioni naziste. Tra questi Gerald Hoffnung (1925-1959), artista berlinese di genitori ebrei, famoso per le sue vignette e libri umoristici sulla musica. Dopo essere emigrato, sviluppò una carriera nel broadcasting per la BBC. Nella vetrina si può vedere il suo Euphonium, un tuba da dove spillare birra ispirato da una sua vignetta umoristica e costruito dalla Yamaha Corporation of Japan. Mi viene in mente lo strumento inventato da Boris Vian nel suo L’écume de jours dove si trattava di creare dei nuovi cocktails a partire da musiche originali composte secondo l’estro al pianoforte collegato a bottiglie di varie bevande alcooliche. A fianco c’è una vetrina con la foto e un vestito della soprano Irene Eisinger (1908-1994) con documenti che percorrono le sue esibizioni e la sua storia di emigrata ebrea, da Berlino a Vienna, Praga e poi in Inghilterra.

Lungo le scale infine una serie di tavole di fumetti attirano la mia attenzione: What a life!,  progetto ispirato allo spettacolo musicale omonimo prodotto e realizzato dagli internati del Central Camp a Douglas nell’Isle of Man con la musica di Hans Gàl. Grazie alla collaborazione tra la cartonist e ricercatrice dell’Università di Padova, Giada Peterle, autrice dei testi e dei disegni, ed il progetto Music, Migration and Mobility, si possono leggere alcuni estratti dei diari del compositore (in marrone nei fumetti) e dei testi delle canzoni di What a life! Parole che colpiscono e che ci aiutano a ricostruire la vita nei campi di internamento britannici. La musica che permise agli internati di uscire anche per una sola sera dal campo e che ci fa ricordare quei tempi come si può leggere nel pannello esplicativo: “Music moved, at that time, when it resonated from behind the barbed wore, across the Isle of Man. It allowed internees to exil the camp, and to enter the theatre for just one night. Music moves us, today, a sit reminds us of that time”.

 

Siamo davvero colpiti da questo luogo che non conoscevamo, a due passi dai musei più famosi dove ci siamo recate tante e tante volte, ma Londra è questo: una sorpresa ad ogni angolo.

Visto il peggioramento del tempo decidiamo di seguire il consiglio di Giorgio, il nostro amico esperto d’arte che vive a Londra, e ci dirigiamo verso la mostra di Donatello al Victoria & Albert Museum. Un’esposizione che vuole dare conto del lavoro polivalente del grande artista, del suo percorso verso l’innovazione e della sua influenza attraverso diverse opere: dalla statua di marmo Davide e Golia a quella in bronzo, dalla terracotta alla pittura. La mostra si completa con opere di altri artisti: Masaccio, della Robbia ed altri collegati a Donatello.

Osservando le diverse opere sul tema della Vergine e il Bambino, le Deposizioni e Crocefissioni di Cristo ed altri temi religiosi rifletto sul potere della religione nel lavoro degli artisti. La maggior parte dei monumenti e delle opere d’arte che ancora ammiriamo, anche di varie culture, sono infatti legate alla forza delle religioni, al loro potere economico e immaginifico. Mi pongo la questione della libertà dell’artista dal mercato e dalle costrizioni dei committenti di fronte ad una meravigliosa Madonna con Bambino che Donatello ha scolpito sul marmo ispirandosi chiaramente ai canoni di bellezza greci, fatto innovativo rispetto alla tradizione gotico – medievale e anticipatore del gusto rinascimentale. Ma oltre alla questione stilistica, credo che la libertà dell’artista si sia espressa, in questa opera, nella capacità di trascendere la rappresentazione evangelica, contesto entro il quale doveva obbligatoriamente operare, per realizzare l’universalità di una relazione d’amore tra una madre e un neonato. Credo di non aver infatti mai visto in un’opera di quel periodo, una Madonna che appoggia in modo così marcato il suo naso contro quello del bambino fondendo il suo sguardo in quello del piccolo. La postura ed il gesto sono così realisti e naturali che dissacrano la tradizionale icona ascetica di Maria e Gesù per lasciare posto alla tenerezza autentica di un abbraccio di una qualsiasi mamma e figlioletto. Si percepisce tutta la fiducia di un neonato, la gioia del contatto fisico con la madre e la complicità di una relazione speciale. Forse per aver provato la stessa sensazione fisica dell’amore assoluto verso il proprio neonato, forse perché questa immagine mi ricorda una foto moderna, o ancora perché il naso greco rimanda ad un altro genere di iconografica piuttosto che quella sacra, questo bassorilievo evoca in me l’universalità dell’amore materno andando oltre la realizzazione del racconto specifico della Natività.

Al V&A avevamo anche un’altra missione, più personale: andare alla scoperta del medaglione di un’antenata della mia amica Marta. Fortunatamente avevamo i riferimenti e quindi la ricerca, tra i vari piani e gli infiniti corridoi, sale, passaggi e padiglioni di questo vasto e ricchissimo museo, è stata relativamente facile. In un’improvvisata caccia al tesoro cerchiamo, nell’ala Sculpture, Room 111 The Gilbert Bayes Gallery , case DR13, la cassettiera dove, al n.4, ci appare il medaglione di Isotta degli Atti realizzato da Matteo dé Pasti presumibilmente tra il 1449 e il 1452. Era artista e consigliere di Sigismondo Pandolfo Malatesta che gli commissionò il medaglione per commemorare la sua terza moglie, la bella e virtuosa Isotta da Rimini, come recita il foglio descrittivo che continua: Il medaglione mostra l’acconciatura con una specie di velo sui capelli secondo lo stile francese o fiammingo del tardo gotico mentre la delicatezza e l’equilibrio del disegno mostra l’influenza di Pisanello. Isotta è stata la bellissima amante e terza moglie di Sigismondo Malatesta. nel retro del medaglione è inciso un elefante, simbolo della casata di cui simboleggiava la forza. È inoltre inciso l’anno 1446, importante per Malatesta per il consolidamento del suo potere e a sancire probabilmente quando Isotta divenne sua amante. Fece incidere molte di queste monete secondo la tradizione classica Romana.

È sempre un enorme piacere visitare questo museo che si è saputo rinnovare e rendersi interattivo con angoli in cui bambini e gruppi scolastici (parola di maestra che l’ha realizzato!) possono approfondire diversi temi legati al costume, alla storia, all’arte in modo ludico e didattico. Nel frattempo si è fatta l’ora dell’immancabile tè che prendiamo nell’elegante caffetteria del museo (il bellissimo giardino non è praticabile d’inverno ma fortemente consigliato in estate) insieme allo scone che mettiamo al top della nostra classifica Best scone in London.

Vediamo infine il sole uscire dalle nuvole e pensiamo di approfittare per passeggiare ancora all’aria aperta nel vicino Hyde Park. Arrivati a Chelsea, abbiamo bisogno di posarci un’oretta e sedimentare le sorprese e scoperte di oggi prima di incamminarci per un Family British Dinner, al Maggie Jones. Gustiamo ottimi piatti tipici: Roast pork belly, apple juice, Shepherd’s pie, Steak and kidney pie, Fish&chips e un’ottima birra. Una piacevolissima conclusione di una giornata intensa….

To be continued

P.

 

 

Author: Patrizia D'Antonio

Blogger, writer, teacher, traveller...what more? I love to meet and share with people. In my spare time I like reading, swimmming, cycling, listening and playing music . I was born in Rome but I live in Paris  

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