La chiesa dell’Abbazia San Giovanni in Venere è in restauro. Se ne vedono solo parti. La struttura (romanica) esterna è imponente e molto bella, l’abside, che affaccia sul mare, ha due belle bifore con eleganti colonnine. Dall’interno si può andare nel chiostro, molto bello e elegante. Fuori, un delirio di cicale.
Bello il paesaggio, soprattutto per chi non guida: dalle strette strade non proprio rettilinee vediamo molti vigneti con le viti a pergola, un mare dai colori strappa core, di tutte le sfumature tra l’acquamarina, il turchese e lo smeraldo, con spiagge poco affollate.
Vasto ci accoglie sotto un cielo azzurrissimo smagliante e ci sciorina i suoi palazzi storici, le fortificazioni, le chiese. Lussureggianti oleandri spuntano dovunque. I mattoni e la pietra risplendono dorati al sole.
Abbiamo noleggiato delle bici e abbiamo fatto una ventina di chilometri di pista ciclabile lungo la Costa dei Trabocchi. Tre ore quasi sempre vista di un mare dai colori impossibili, dove si protendono i trabocchi, strane costruzioni in legno, grandi capanni su palafitte, irti di pennoni e alberi, ai quali si accede per mezzo di passerelle anch’esse su palafitte. Antiche postazioni di pesca, molti si sono oggi trasformati in ristoranti di pesce dove gustare prima di tutto il brodetto, la zuppa di pesce locale. Tuttavia, se si mangia in un trabocco bisogna prepararsi a un pasto pantagruelico con antipasti caldi e freddi, un primo, due secondi e il dolce, menù fisso obbligatorio, e noi non abbiamo avuto, pavidamente, lo stomaco di affrontarlo!
La ciclabile segue il percorso della Indian Mail , ma a Fossacesia è interrotta sia verso nord, per alcune gallerie non transitabili, che a sud, a causa di una frana: chi vuole continuare nell’uno o nell’altro senso deve lasciare la ciclabile e percorrere alcuni chilometri sulla statale. Noi ci siamo limitati ai 6 km. dall’una e dall’altra parte, andata e ritorno.
Essendo estate ci perdiamo i cif e ciaf con i ferfelloni, specialità dell’agriturismo Caniloro (fattoria didattica). Ma possiamo assaporare gli antipasti caldi e freddi, tra cui le mazzarelle, e naturalmente gli arrosticini. E anche molti tipi di dolci, tra cui i boconotti, paste frolle ripiene.
Seguendo saggi consigli, saliamo fino a Pescocostanzo: piccola città che ebbe alcuni secoli fa notevole importanza, dimostrata dalle dimensioni e l’eleganza dei palazzetti, ornati di stemmi, e del duomo; ci appare ordinata, elegante, e fiorita, con un’architettura tutta speciale dovuta alle scalette esterne e il lastricato in pietre bianche e nere che compongono disegni geometrici nelle viuzze a saliscendi e le graziose piazzette. Sempre seguendo suggerimenti, ci riforniamo dei gustosi dolcetti locali, e finiamo la visita con una passeggiata nel Bosco di Sant’Antonio, una bellissima faggeta.
Segue Guardiagrele, patria di Nicola da Guardiagrele, orafo, pittore e scultore, uno dei maggiori artisti del ‘400, di cui abbiamo visto opere in varie chiese. E’ una cittadina elegante, con bei negozi e da cui, vista la posizione, si godono bei panorami.
Concludiamo l’ultima escursione con una sosta a Fara San Martino, dove vorremmo visitare qualche pastificio: sembra non sia possibile, e ci accontentiamo quindi di un gustoso piatto di pasta locale (io suggerisco la chitarrina del pastore, con ricotta e melanzane) alla Villetta, ristorante semplice ma consigliabile.
Sono soddisfatta di aver potuto partecipare a tutte le escursioni – tranne quella sul Gran Sasso, senza che le mie ginocchia abbiano protestato.
Per non essere sempre in macchina, e perché il mare ha un aspetto molto invitante, quando il vento cala e le mareggiate si calmano, ci concediamo un paio di giorni in spiaggia, gradevolissimi.

L’ultimo giorno, per non affannarci troppo in giri in macchina, scegliamo di andare a Atessa, dove abbiamo prenotato una visita al Museo Aligi Sassu. Ci accompagna in una volontaria dalla risata argentina, appassionata di Sassu ma anche delle altre due parti del museo: una piccola mostra di merletti della tradizione locale, fatti all’uncinetto o ai ferri e persino al chiacchierino: alcuni veramente bellissimi e sicuramente preziosi, altri, più semplici e modesti, e un’interessantissima esibizione di documenti, foto e oggetti relativi alla enorme emigrazione abruzzese, specialmente nelle Americhe. Moltissime le opere di Sassu, a partire dal periodo futurista, un piacere per occhi e mente suscitato dalle forme, i colori, la visionarietà dell’artista.
Esiste una leggenda sulle origini della città: all’inizio erano due, Ate e Tixia, separate da una palude dove viveva un feroce drago che, come tutti i draghi, esigeva che gli si offrissero fanciulli e fanciulle di cui era ghiotto. Gli abitanti dei due borghi non potevano incontrarsi mai, perché la palude era invalicabile. Poi, un bel giorno, da Brindisi arrivò il vescovo Leucio che la sapeva lunga sui draghi. Secondo una versione, il santo rimpinzò il mostro di carne per tre giorni. Evidentemente, dopo quella scorpacciata il lucertolone si sentiva un po’ appesantito, sicché all’astuto Leucio fu facile incatenarlo. Dopo sette giorni lo uccise (anche se non si spiega tanto indugio); secondo altri, a Leucio bastò guardare l’animale negli occhi perché questi si ammansisse e si inginocchiasse (il che non gli risparmiò la vita); per altri invece il vescovo ferì immediatamente a morte la fiera (forse con una spada prestatagli dall’arcangelo Michele). In ogni caso, parte del nero sangue del drago venne raccolto e conservato per uso medicamentoso o apotropaico, mentre quello che cadde al suolo fu inghiottito dalla terra e generò gustosi tartufi. Su quella che era stata la caverna del mostro venne eretta una chiesa (il duomo), al cui interno è conservato un osso che sarebbe una costola dell’animale.
Storicamente esistettero effettivamente due castelli di fondazione longobarda che si fusero in un’unica città quando il fosso paludoso del rio Falco venne bonificata.
Indispensabile la visita al duomo, dove ammiriamo la “costola” del drago nella stessa vetrina in cui splende il prezioso ostensorio di Nicola da Guardiagrele.
Ceniamo l’ultima sera a Lanciano, al Pastore Abruzzese, dove si gusta sapiente cucina tipica.
E l’indomani si riparte: ultimo gusto del viaggio, il pranzo a Fano, dalla Peppa. Inizialmente, un pastificio artigianale, ora offre anche piatti locali. A fine pasto, soddisfatti di quanto ci è stato proposto, facciamo qualche acquisto nel negozio: le pastaie hanno un accento molto slavo, evidentemente le nuove leve marchigiane preferiscono altre occupazioni (ma le troveranno?).
Spigolature sulla parlata locale: comune anche a Napoli l’uso di doppio per spesso: “è più doppio”; e anche “Vieni qui, mamma.” (al bambino). Nel parlare, la preposizione a scompare; e quest’uso si trova anche in America Latina. Ma il dialetto locale è molto stretto, difficile da capire all’orecchio inesperto.
A conclusione del viaggio, dopo aver visitato tanti luoghi dai nomi suggestivi, mi è venuto spontaneo scrivere qualche limerick , eccone alcuni:
Una saggia geologa di Atessa
Si trovava sovente perplessa;
scrutava le rocce
contando le gocce
quella fine geologa di Atessa.
Una sagace contadinella di Atri
Non voleva più saperne di aratri:
“Regalami un trattore
A prova del tuo amore”,
Pretendeva la saggia donzella di Atri.
Un’astutissima norcinaia di Montorio
Affettava lardo sul tavolo operatorio
In fettine sottili e preziose
Facendole molto graziose,
Quell’assai geniale norcinaia di Montorio.
C’era un’allegra preside a Montorio
Che desiderava un aureo ciborio
Per arredare il suo barbecue
Presso le cascate di Iguassù
Quella ambiziosa preside di Montorio.
Un’avvenente vasaia di Castelli
Non mollava mai i fornelli:
Ci cuoceva arrosticini
Per nutrire i suoi micini
Quella solerte vasaia di Castelli.
Un’aitante pastora a Campotosto
Prediligeva le caprette arrosto;
Cerca, cerca, non le trova
Perché il lupo le divora,
Oh, meschina pastora di Campotosto!
Per la prossima puntata, ci spostiamo a Nord-Ovest.
Un abbraccio a tutti
Marisa
22 luglio 2020
Lanciano, museo Sassu, Atessa, Pescocostanzo
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