Prima parte
CIRCO Marisa
1 luglio 2020
Partiamo con due macchine e a un giorno di distanza: io sono con Lidia e Andrea, Toni e Silvia ci seguono il giorno dopo perché trattenuti da un impegno. Si fa il viaggio con calma, partendo a un’ora molto comoda, perché i miei due amici non amano le levatacce, e la Signora Silvia, nostra ospite a Montorio, è disponibile a qualsiasi ora, è una preside in pensione e abita nella casa che ci ospita ma al pianterreno.
L’accoglienza è perfettamente in accordo con le precauzioni contro il covid19: la signora indossa la mascherina, e anche noi, a disposizione ce ne mostra una scatola, e ci invita a usare il disinfettante per le mani; in più, porge a ciascuno di noi un paio di calzari da ospedale che dovremo usare ogni volta che si entra e si esce (ma noi lo faremo solo le prime volte, e poi trascureremo la precauzione che ci pare un po’ eccessiva).
La villa è ben tenuta e ha un gran giardino con una bella piscina con parecchi lettini, attrezzatura per il barbecue, una piccola cucina, una doccia, servizi e una tettoia che ospita un gran tavolo con sedie sufficienti a una dozzina di persone. L’interno della casa è piuttosto kitsch, sono inquietanti i bagni con sanitari color fegato e piastrelle marrone e ocra a tutta parete, lo scarico wc emette un urlo straziante seguito a distanza di un paio di minuti da un prolungato sferragliare, peggio di un fantasma da castello scozzese.
Consumiamo la prima cena all’agriturismo lo Scoiattolo, consigliato dalla nostra anfitriona, saporito ma troppo abbondante : però lo spettacolo del cielo a occidente che prende tutte le tonalità dall’arancio al rosa al viola e della valle del Vomano all’imbrunire, che, coll’avanzare della notte si trasforma in un presepe di lucine baluginanti e una bellissima luna piena, è impagabile.
Siamo all’aperto, e si avvicinano al nostro tavolo deliziosi cuccioli da caccia bianchi e neri, di cui non conosco la razza, giocherelloni e che ci guardano con occhi imploranti mentre mangiamo. Bello e divertente il micetto adolescente bianco e nero pure lui, che fa gli equilibrismi sulla staccionata.
Per aiutare la digestione facciamo una passeggiata notturna a Montorio, che è un paese con scorci graziosi, dove però si vedono numerosi i segni del terremoto.
A un certo punto della prima notte mi rendo conto che il rumore continuo che si sente non è un condizionatore, peraltro non necessario perché fa abbastanza fresco, o un gruppo elettrogeno, ma lo stormire del vento tra gli alberi, che varia d’intensità, si insinua dentro la casa e fa scricchiolare infissi e sbattere porte. Capisco ora perché la nostra ospite ci ha raccomandato di fissare le imposte se le lasciamo aperte. Il giardino è pieno di cedri, lecci, ulivi, cipressi, e tutt’intorno i pendii sono coperti di alberi, perciò il vento trae musiche diverse dal fogliame delle varie piante.
Tutto il primo piano della villa, costruita per una grande famiglia, è a nostra disposizione. Ora rimangono solo i proprietari, i figli e altri membri sono cresciuti e hanno lasciato il nido, o sono morti.
Le nostre stanze sono ampie, l’arredamento un po’ vecchio e un po’ raffazzonato. Quadri e oggetti kitsch dovunque; abbiamo avuto problemi con il sistema elettrico, perché il frigorifero e il tostapane hanno cessato di funzionare quasi subito, e persino con gli abat-jour e le prese per le ricariche in numero insufficiente. La piscina però è sontuosa.
La mattina, sveglia col canto del gallo, mi faccio una passeggiata nel bel giardino, fa ancora fresco e si sentono solo gli uccelli e il vento.
Montorio non ha un ente turismo o pro-loco e noi percorriamo il paese in lungo e in largo per trovare un certo convento degli Zoccolanti. Quando ci arriviamo è chiuso e decidiamo di soprassedere. Entriamo nella norcineria segnalata come la migliore e ci accoglie la proprietaria, Gabriella, che, interpellata sui suoi prodotti, attacca la spina magnificandone le qualità e i premi ricevuti e mi aspetto quasi che ci dichiari generalità e genealogia dei suoi maiali e la particella catastale dei loro luoghi natii. Mentre procediamo a un cauto acquisto esplorativo assaporando due dei suoi tipi di ventricina spalmati sul buon pane locale, continua parlandoci di Montorio e dei suoi abitanti in termini coloriti e assai poco lusinghieri. Sarà sicuramente un’imprenditrice attiva e capace, ma non mi piace il suo disprezzo dei compaesani.
Tuttavia, sempre favorevoli agli scambi di opinione e curiosi di tutto, accettiamo le sue proposte di aiutarci a visitare il chiostro grazie alle sue conoscenze (ma poi non se ne farà nulla, perché i nostri progetti ci posteranno altrove), e ci stiamo quasi impegnando a una cena di assaggi, ma restiamo piuttosto perplessi quando ci esprime il suo apprezzamento per Bolzonaro.
Esploriamo i dintorni. Castelli è un borgo alto e con antiche case che sembrano fortezze: è famosa per le sue maioliche e non ci perdiamo lo stupendo soffitto della chiesa di San Donato, costituito da circa 800 tavelle di maiolica che rappresentano simboli araldici, animali apotropaici, scritte religiose e motivi floreali. Una parte di quelle più antiche e deteriorate è custodita nel locale Museo della Ceramica, sostituita da ricostruzioni ad opera delle Antiche Fornaci Giorgi. Isolata, la cappella è piccola, all’origine pare fosse una semplice cona, cioè un’edicola dedicata a qualche santo. Nel 1963 Carlo Levi la definì la Cappella Sistina della Maiolica
Molto visibili i segni degli ultimi terremoti a Campotosto (siamo a pochi chilometri da Amatrice). Seguiamo il perimetro del lago e poi facciamo una camminata sul pianoro dove ci sono pochi alberi e prevalgono i cespugli di ginepro, ginestra spinosa e rosa di macchia. Smaglianti i colori dei fiori di montagna: dianthus (garofanini) fucsia, cuscini lilla di timo serpillo, giallo. Ci sono endemismi di flora e fauna e sembra anche farfalle non classificate a proposito, ci diceva la norcinaia Gabriella, per tener lontani i curiosi. Bah!
Non si vedono volare molti uccelli: speravo di vedere rapaci ma nemmeno l’ombra.
Incontriamo qualche raccoglitore di funghi e una bella pastora dalla treccia di rame che, accompagnata dai suoi due border collie, va in cerca dei resti di tre caprette che i lupi le hanno ucciso.
E mi viene in mente un canto delle mie camminate sulle Alpi Marittime dei bei tempi andati:
Salta fuor lupo dal bosco
Con la faccia nera nera
L’ha mangià ‘l pì bel caprin
Che la pastora aveva.
Marisa
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