Juana: dalla Patagonia a Ischia di Castro

Juana- Tucuman, Buenos Aires, Lima, Santiago del Cile, Pomezia, Ischia di Castro

 Juana ci scrive una mail dopo aver assistito ad una presentazione: vorrebbe raccontarsi per le donne con lo zaino.

La contatto per telefono e mi avverte che è molto indaffarata: sta partecipando ad una maratona letteraria in lingua spagnola che la impegna moltissimo. Mi telefona da Ischia di Castro, un paesino vicino Viterbo dove vive da maggio a dicembre. Ogni tanto torna a Pomezia, città in cui abita il resto dell’anno, sempre occupata tra scrittura e stoffe, infatti, mi comunica, tra un po’ comincerà un workshop di tessitura.

Ciò che la fa andare in fibrillazione è il fatto che partirà a breve per un viaggio di venti giorni con suo figlio. È un viaggio sognato e rimandato per via della pandemia. Si esalta dicendomi che lo considera davvero il viaggio della vita. Juana non torna da più di venti anni nella terra che le ha dato i natali. Partirà per incontrare delle persone a lei molto care. Suo figlio, fotografo, la accompagnerà per documentare con foto e video il ritorno della madre al suo paese e perché ha bisogno di ritrovare la metà delle sue radici. Era già stato in Argentina altre due volte; la prima era molto piccolo, la seconda, un adolescente distratto da altre cose.

Gireremo da nord a sud, ci dirigeremo a San Martin de los Andes dove ho una parte della mia famiglia, la mia famiglia adottiva.

Mi racconta del suo viaggio del ’76, quando ha lasciato l’Argentina:

Sono partita con due amiche. Il progetto era di girare insieme per l’America del Sud fino in Messico e io, in seguito, da sola o con loro sarei partita per la Spagna dove mi sarei stabilita per poter realizzare altri due sogni: viaggiare nella Transiberiana e camminare sulla Muraglia cinese.

Partimmo da Mendoza per giungere dopo poche ore a Santiago del Cile con il Transandino, treno che da qualche anno non c’è più. Arrivate in territorio cileno, ci fecero svuotare le valigie e requisirono ogni pezzo di carta stampata che trovarono nei bagagli. Arrivammo sul filo del coprifuoco, da tre anni c’era al governo Pinochet. Per fortuna, un ragazzo, che tornava per il matrimonio della sorella più piccola e un suo amico, si offrirono di ospitarci presso le loro famiglie per non farci passare la notte all’addiaccio.  Queste persone meravigliose ci offrirono un alloggio senza chiederci nulla in cambio. Il capo famiglia era un pescatore. Il giorno dopo, a colazione, c’era quasi tutta la famiglia composta da quattordici figli.

I più grandi erano sposati, alcuni si trovavano al lavoro fuori città. La sposa era giovanissima e il padre, toccando la pancia della figlia ci disse -Ecco perché si sposa. Ma io, prima del grande passo le ho chiesto: Ma tu vuoi bene al tuo ragazzo?  -Se non lo vuoi sposare non farlo, dove mangiano in quattordici mangiano anche in quindici. Erano cileni umili, ma molto fieri e coraggiosi; le feste erano vietate in quel periodo, ma loro festeggiarono lo stesso, dicendo che “per lo meno, saremo morti contenti”.

Dopo qualche giorno, il nostro ospite ci condusse a visitare la miniera dove lavorava uno dei fratelli. Una volta scoccata la mezzanotte, il coprifuoco prescriveva che ci si dovesse fermare in qualsiasi posto ci trovassimo fino alle cinque di mattina. Perciò trascorremmo la notte nella taverna dei minatori a chiacchierare e bere birra. Non credo, da allora, di aver più parlato di così tanti argomenti, dalla politica, all’etica, a come crescere i figli… Erano persone che sicuramente avevano appena fatto le scuole elementari, ma con delle idee  chiare ed esposte come se fossero dei grandi intellettuali.

Juana sorride al ricordo di quelle fitte conversazioni, poi prosegue:

Dopo un mese di sosta in Cile, siamo partite per il Perù, la famiglia ci aveva quasi adottato e ci ha salutato come se fossimo le loro figlie.

Io sono quella in mezzo, nel 1976, in viaggio verso Lima, Perù

Ci volevano quattro giorni di pullman per giungere a Lima, mentre stavamo attraversando la frontiera con il Perù abbiamo saputo del colpo di stato.

A Lima cominciarono presto ad arrivare dall’Argentina dei ragazzi, la città era la prima tappa per poter chiedere asilo politico per poter poi raggiungere la Francia o la Svezia, Paesi dove l’accoglienza per gli esuli era maggiore.  Ci siamo fermate a Lima per un anno, alla fine del quale una delle amiche, che aveva la madre sola e anziana, è tornata in Argentina.  L’altra ha trovato lavoro in Perù e ha deciso di fermarsi. Io, sfumato per il momento il mio viaggio in Europa, ho avuto un’offerta di lavoro come bambinaia negli USA. Il lavoro mi avrebbe permesso di mettere dei soldi da parte per il mio progetto: Spagna-Transiberiana-Muraglia cinese. Sono partita per gli Stati Uniti dove sono rimasta per due anni in attesa di partire per l’Europa.

Intanto un’amica peruviana, con cui ero rimasta in contatto, mi ha scritto: -Passa da Roma, ti fermi una settimana e conosci la città! –  Una volta in Italia, mi ha proposto di sostituirla nel suo lavoro di baby sitter per tre mesi. Come al solito, mi sono fatta trascinare dagli eventi e ho accettato.

– Male che vada, imparerò l’italiano- mi sono detta. L’ amica che mi aveva offerto il posto di baby sitter, mi ha lasciato in eredità un’amica peruviana che, sapendo che amavo scattare foto, mi ha presentato il suo compagno, un italiano che frequentava un gruppo fotografico. La prima volta che siamo usciti in gruppo, ho conosciuto un ragazzo che, come me, voleva fare il fotografo, sarebbe diventato di lì a poco mio marito.

Dopo più di un anno di convivenza, ci siamo sposati nell’ ‘80, nell’82 è nato nostro figlio che ha ereditato da noi genitori l’amore per le arti e le nostre macchine fotografiche, diventando un bravo fotografo.

Vivevamo a Roma, e quando mio marito, che fa l’architetto, è stato trasferito a Pomezia, ci siamo spostati lì.

Da sempre mi sono dedicata alla scrittura, è sempre stato per me un atto fondamentale fin da quando ero piccola. Inoltre leggo di tutto, saggi, narrativa, anche romanzi rosa. Adesso ho prodotto una raccolta di racconti che un’amica sta editando.

Nel tempo libero dalla scrittura lavoro con la stoffa, quando ero negli USA avevo fatto un corso di patchwork, ma finora, l’unico ‘quilt’ finito è stato una coperta per un letto in miniatura. In seguito, ho trovato molto più divertente e rilassante usare i pezzettini di stoffa per fare dei tappeti.

Chiedo a Juana di parlarmi degli anni che hanno preceduto la sua partenza:

Ho studiato fino al terzo superiore.  A 17 anni  ho tagliato i ponti con mia madre e sono andata a lavorare come bambinaia in una casa con otto figli, dai tredici anni agli otto mesi. Sono rimasta con loro cinque anni, ma persiste tra noi  un legame da più di cinquant’anni, non abbiamo mai perso il contatto, loro sono diventati  la mia famiglia. Io aiutavo ad allevare i loro figli e loro finivano di crescere me. Le due ragazze più grandi sono diventate le mie sorelle, i più piccoli sono come miei figli.

 Con un curriculum di governante vera a propria e un buon inglese, sono andata  a lavorare presso  una famiglia con quattro bambini con cui ho viaggiato per mezzo mondo, realizzando il sogno che avevo da quando ero piccola.

Il mio datore di lavoro tutti i sabati organizzava una grigliata, a casa sua arrivavano persone molto importanti che governavano in Argentina. Io ascoltavo e venivo a sapere molte cose, anche ciò che si stava preparando nel Paese. Una mia amica, non so come, mi riferì che era venuta a conoscenza del fatto che il padrone di casa mi faceva seguire. Io non militavo, ma avevo degli amici che lo facevano e a volte partecipavo a qualche incontro.

Nel frattempo stavo risparmiando per comprare un appartamento nel banco ipotecario. Qui in Europa è difficile capire come galoppa l’inflazione, faccio un esempio: un chilo di patate che la mattina costa 1 peso, il pomeriggio ne costa 10. È ciò che è successo allora, quando i miei averi consistevano in un piano di 3 anni di risparmio e avevo bisogno di entrare in possesso della mia quota. Mi sono recata in banca e la catastrofe era già arrivata. Rimasta con pochi soldi ho dovuto rinunciare al mio progetto e, considerato il clima buio che regnava nel Paese, ho detto alle mie amiche: – Io me ne vado. E così siamo partite.

Sono tornata in Argentina solo nell’86.

Juana passa poi a parlarmi della sua famiglia d’origine.

Mia madre era stata data in sposa da mia nonna a 15 anni con un uomo molto più vecchio di lei. Quando avevo 5 anni, se ne andò da casa con noi tre figli. La famiglia si era divisa, non stavo più con i miei fratelli. Io andai da una cugina dove restai 5 anni, mia sorella dai compari, mio fratello, ancora molto piccolo, restò con mia madre. Paradossalmente sono stati gli anni più belli della mia vita. Mia cugina non aveva un uomo accanto, ma aveva una figlia, sposata giovanissima, che viveva insieme alla suocera e ai cognati, che avevano due figli della mia età con cui passavo molto tempo. Il contesto sociale era comunitario, ci si aiutava come si poteva. Mia madre una volta al mese mi invitava a casa sua. Arrivava il suo compagno con la bici e mi conduceva da lei. Andavamo tutti da mia nonna che abitava in campagna in un paese a 80 km da Tucuman, verso sud. La mia infanzia era felice, non ho mai colpevolizzato mia madre, a un certo punto ero divenuta quasi io la mamma, in fondo aveva solo 16 anni più di me. Il contesto sociale di quell’epoca  accettava quelle situazioni, io non mi rendevo conto di essere stata abbandonata.

Ogni tanto faccio delle esperienze di scrittura. Una volta, dovevamo scrivere l’inizio di un romanzo, io ho cominciato parlando del giorno in cui mia madre è andata via.

Era il racconto in cui descrivevo il mio viaggio di 7 km verso casa di mia cugina.  Scrivo:” Mia madre non mi dà spiegazioni, mi mette dentro il treno, io scendo, mia cugina mi prende in braccio e lei va via”.

Nessun pathos, solo gesti che a ripensarli adesso non provocano nessun dolore.

Ho imparato a leggere prestissimo. Era la fiera di santa Rosa (di Lima), credo fosse agosto, periodo in cui nell’emisfero sud fioriscono le rose. Mentre mia cugina lavorava, sono andata a fare un giro, volevo andare alle giostre e  ho trovato un biglietto, rifiutato dal bigliettaio della giostra, che mi  ha mandato a “chiedere dei soldi ai miei genitori per il biglietto” Io non  avevo idea di  cosa fossero i soldi, ma mi sono resa conto di essermi persa; non trovavo  più mia cugina, ad un certo punto ho visto un cartello,  ho pensato ingenuamente  che mi avrebbe indicato dov’era mia cugina, ma poco dopo, rendendomi conto che non riuscivo a leggere sono scoppiata a piangere.

A 10 anni mia madre mi ha ripreso con sé. Il cambiamento da una vita all’aria aperta alla città mi ha  sconvolto, mi sono ammalata di anemia.  Dapprima mi hanno curato, poi  hanno deciso di portarmi in campagna da altri parenti lontani, una coppia grande con dei figli. Lì’ c’era un cavallo vecchio con cui ho imparato a cavalcare. Giocavo e andavo a scuola, una specie di casa della prateria con due classi, terza e quarta e la lavagna divisa in due. La maestra arrivava a cavallo. Dopo un anno sono tornata da mia madre, mancavano due anni alla fine delle elementari, ma lei era una madre giovanissima alle prese con un’adolescente irrequieta, si prospettava un’altro anno scolastico perso. Perciò mi ha messo in collegio, ma dopo una settimana mi  sono presentata alla sua porta. – “Veramente, sarei rimasta, le monache erano carine…ma era una noia mortale” le ho detto candidamente.

A quel punto lei è andata  da un’insegnante che si è offerta di ospitarmi fino alla fine dell’anno scolastico in cambio di aiuto con le faccende domestiche.

A 14 anni, finita la scuola elementare, mia madre ha deciso di andare a Buenos Aires, dove sono rimasta fino al 1976.

Juana passa a parlare dell’oggi:

Sono felice qui in Italia. Dopo più di quarant’anni insieme, mio marito ed io, con tutti i problemi che ci possono essere in una coppia, abbiamo trovato un equilibrio. Nostro figlio già da più di dodici anni vive fuori dall’Italia, io ho preso la sua stanza, quindi, abbiamo una camera per uno; lui scrive, collabora con diverse associazioni, io ho le mie “pezze” e la mia scrittura, ma mi piace recarmi a scrivere i miei racconti al bar sotto casa, un’abitudine che mi sono portata da Buenos Aires. Da donna con lo zaino sono diventata donna con lo zainetto, dove entra solo il mio tablet.

 Juana conclude la sua intervista dedicando alle donne con lo zaino un suo elaborato:

Primavera italiana. Argentario. Porto Ercole.

“Mi sembra di essere in un film” dice Viky; e all’improvviso, anche a me sembra di star vedendo un prequel, come si dice, di un film iniziato 51 anni fa e mentre Viky, al volante della Panda nera targata 666 sogna come allora, mi rendo conto che lo faccio anch’io, come facevamo più di mezzo secolo fa, quando leggevamo i romanzi rosa di Corin Tellado (la Liala spagnola). Pato, al suo fianco, sorride e Celi, la mia Bionda preferita da quando aveva sette anni, lancia frecciatine ironiche, come al solito. Ma non c’è niente da fare, la Toscana vestita di primavera ti invita a sognare. Maggio ci regala un tripudio di colori, le verdi colline, il rosso dei papaveri che ondeggiano al vento, le ginestre in fiore e i cipressi che delineano sinuosi il paesaggio.

La voce nasale di Eros Ramazzotti ci accompagna con “La cosa più bella” È forse dedicata al suo perduto amore? Mentre arriviamo a Porto Ercole, il Mediterraneo ci appare, blu e placido, fra cale e rocce, un angolo di paradiso lillipuziano per noi, abituate agli Oceani immensi e alle Cordigliere che toccano il cielo.

Ci arrampichiamo per il sentiero che, secoli fa percorse il Caravaggio alla fine della sua tormentata esistenza. Al ritorno, un albero di nespole ci riporta all’infanzia, quando nelle scorribande, si rubava un frutto qua e là. Il piacere di condividere un ricordo, il sapore agrodolce, il seme tondo e liscio che gira nella bocca e la ricerca di quell’ultima nespola; la più dolce, che ci accompagnerà nella discesa. Mentre il Mediterraneo ci abbaglia di blu e sole, pensiamo che questo non può essere altro che un regalo degli dei.

   

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

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