Mestre, agosto 2020
Ho visto un ennesimo film tratto da un romanzo di Jane Austen, Emma. Mi è piaciuto, veloce nel ritmo, sintetico (molti i tagli, anche nei calembours tra i personaggi, oggi poco comprensibili) e plausibile: c’è qualche caricatura, ma anche Austen ne tratteggia, sebbene non con il gusto di Dickens per il grottesco. Bellissima la fotografia – la regista, l’americana Autumn de Wilde – è alla sua prima pellicola, ma una carriera di fotografa alle spalle.
Il film è diviso per stagioni (tentazione irresistibile, visto il nome della regista!), come se fossero atti di una pièce teatrale. Splendidi i paesaggi molto vasti, e i colori chiari e brillanti anche per gli interni che rappresentano bene lo stile Regency che compare nei quadri di Gainsborough e gli abiti e le pettinature (queste ultime in special modo ispirate dalle acconciature di Füssli); bella la colonna sonora, che contiene anche canti popolari. Il film è attraversato letteralmente di tanto in tanto da file di collegiali in mantellina rossa che camminano veloci attraverso il tenerissimo verde della campagna o le stradine del villaggio. Ben scelti gli attori (unico a me noto, Bill Neighy, il papà di Emma). In alcuni casi i costumi sono un po’ caricati, ma per sottolineate i personaggi. Geniale l’uso dei paraventi.
Ahimè, qualche giorno più tardi, tutti i cinema di Mestre che erano stati chiusi fino a poco tempo prima, hanno richiuso per ferie.
Fortunatamente dopo Ferragosto, la multisala Candiani ha riaperto, e ho scoperto che programmerà TUTTI i film del Festival (quest’anno in edizione ridotta) perché le sale del Lido non hanno spazio sufficiente. E allora, credo che mi regalerò parecchie leccornie cinematografiche, ormai mancano pochi giorni!
Le letture di luglio e agosto non sono state molte, anche perché quando si è in compagnia, la lettura si riduce a qualche pagina prima di dormire. Comunque, prima di partire per l’Abruzzo, ho letto Il veliero sul tetto di Paolo Rumiz, una specie di diario del lockdown. E’ un autore che amo molto, anche se non condivido tutte le sue considerazioni (forse troppo pessimiste) sull’argomento. Ma mi piace citare una sua affermazione che mi pare molto vera: “È un problema avere amici meravigliosi. Sopravvaluti l’umanità.” (pag. 35)
Sollecitata dalla presentazione durante la trasmissione Fahrenheit ho letto con piacere il Trattato delle piccole virtù Dodici stazioni per divenire un po’ più uomini di Carlo Ossola, che ho apprezzato molto per la sua asciuttezza ma anche per aver usato “uomini” anziché “uomini e donne”, come pretenderebbe il politically correct, che comunque non credo riesca a diminuire i femminicidi nel nostro paese.
A questo proposito, continuo a sentire autore, lavoratore, conduttore, ecc, anziché le corrispondenti forme in -trice, negando, a mio avviso, la femminilità di chi tali attività svolge.
Propongo una rivoluzione nella morfologia della nostra lingua, per rendere giustizia a uomini e donne: tutti i sostantivi in -ore, -tore, diventino -oro e -toro (plurale -ori e -tori), per il maschile, e -ora e -tora (plurale -ore e -tore), per il femminile. Oppure, in modo più drastico, -oru e -toru, invariabile al plurale. Dopo un periodo di rodaggio in cui sarebbero possibili delle confusioni, presto ci si abituerebbe e giustizia, almeno per questi termini, sarebbe fatta. Poi, e credo di averlo già suggerito, procederei a cambiare le parole come atleta, poeta, facendole terminare per -o nel caso di persone di genere maschile. In ogni caso, la terminazione in -a potrebbe far pensare che non sia dovuta all’etimo greco, ma al fatto che all’origine tali attività erano precipuamente femminili. Dovrei proporre un progettino a Michela Murgia (che potrebbe apprezzare la terminazione in -u)!
L’estate porta a Zelarino il caldo umido con conseguente attacco di zanzare pappataci persino di prima mattina. In particolare, quando scendo a prendermi la bici nel cortiletto interno, di mattina in ombra, devo togliere i catenacci e uscire al sole il più rapidamente possibile, ma non ne esco mai indenne, almeno quattro o cinque invisibili vampiri mi lasciano ponfetti fastidiosissimi.
Se di notte piove – sperando che non grandini e non entri acqua in casa se c’è moto vento – la mattina è fresca e sembrano davvero gemme le scintillanti gocce che indugiano ancora sulle foglie dei miei iris. È un’immagine trita, lo so, ma mi rallegra e mi fa iniziare la giornata con speciale ottimismo.
Ritorno per la prima volta a Cuneo dopo il lockdown: per strada ancora tantissime mascherine, specie i giorni di mercato. E allora ti sembra di riconoscere qualcuno dagli occhi, ma senza bocca, naso e mento, come si fa?
La gente è la stessa di sempre, qualche tipo stravagante (la nonagenaria scheletrica con vestitino a mezza coscia color turchese e sandali con tacco piuttosto alto assortiti; vari tipi esotici di tutte le etnie, dalle persone alte e sottili a quelle con rotondità ben pronunciate) …
Quasi spariti i questuanti su tutto il territorio nazionale.
Vicino a Contrada Mondovì, dove abita mio fratello a Cuneo, ci sono quattro chiese: dai quattro campanili si sentono i rintocchi che battono le ore. Sono sfasati, dal primo all’ultimo ci sono ben quattro minuti. Di notte, l’assiolo con il suo chiù scandisce il tempo, come in Abruzzo.
Peccato che non siano solo questi i suoni della notte a casa di mio fratello: Contrada Mondovì, che è pedonale viene invasa dagli avventori dei bar e ristoranti che rimangono a chiacchierare ben oltre l’orario di chiusura, senza abbassare la voce. I suoni vengono amplificati. Una notte, quasi alle 3, sono stata svegliata da voci avvinazzate che intonavano Vecchio scarpone, una canzone che dubito entri nel repertorio dei giovani, i tre coristi dovevano avere almeno sessant’anni. Mi sono affacciata suggerendo a questi artisti di andare a cantare a casa loro, e quelli di sono scusati e se la sono filata, confermando la mia idea che non fossero molto giovani.
Facciamo una scappata a Torino per cenare con mio nipote e la sua ragazza: adesso lui si è trasferito da lei, e con mio fratello possiamo approfittare della mansarda di Vittorio. Ci fermeremmo volentieri qualche giorno, ma fa talmente caldo che il piccolo appartamento è un forno, e decidiamo di limitarci a una notte: Cuneo è certamente più fresca. Ma la cena insieme è stata molto piacevole, specie per me che ho ben poche occasioni di vedere mio nipote. Ho finalmente visitato la Galleria Sabauda, che contiene una quantità di quadri importanti; il giro include anche uno scorcio sulla cappella del Guarini in restauro, Palazzo Reale e l’armeria, dove ci si potrebbe fermare per delle ore.
Attraversando Carmagnola verso e di ritorno da Torino mi è venuta in mente La Carmagnole, il canto dei sanculotti durante la Rivoluzione francese, e non mi passava più dalla testa, così me ne sono ascoltata più versioni su youtube, e anche Ça ira per soprannumero. Una versione molto aggressiva di Edith Piaf, una di Milva. Mio fratello ha detto che non mi porterà più dalle parti di Carmagnola, e che con me bisogna fare molta attenzione ai toponimi. Ed è vero, visto che mi è presa la mania dei limerick.
Giorgio aveva appena conosciuto Jean e Annie circa 25 anni fa; i quattro giorni passati insieme sono stati un bel modo di conoscersi, i due maschi hanno fatto delle belle partite di pingpong e, come dice
Annie, la maionese ha tenuto, ci siamo tutto sentiti distesi e soddisfatti, collaborando in cucina e essendo facilmente d’accordo su che fare di giorno in giorno. In verità, i miei amici sono sempre pieni di idee, ed è difficile non apprezzare le loro proposte.
Il primo giorno siamo stati a pranzo dalla loro amica Catherine a Piégon, che ci ha deliziati con una tapenade e un coulis di pomodoro spalmati su crostini, un delizioso gigot d’agnello con patate e un saporito tian, con verdure coltivate nel suo orto.
Per dessert, un crumble di uva e pere preparato da Gérard, l’altro ospite di Annie e Jean, che suona il clarinetto e si esercitava su motivi popolari.
In quattro giorni, se non si ha l’ansia del turista che deve riempire tutte le caselle, non si possono fare troppe cose, specie se si è in Provenza nei giorni della canicola. Siamo andati al museo Fabre che io avevo già visto, ma era chiuso. Però abbiamo potuto visitare il giardino, piacevolissimo! E poi alcuni piccoli borghi, come Lagarde Pareole che ha un belvedere che domina la pianura e una graziosa cappella nella piazzetta; Saint Paul Trois Chateaux (che prende il nome per errata etimologia dalla popolazione locale ai tempi dei romani, i Tricastini), più grande, piena di vita, che ha una cattedrale molto bella; Pont Saint Esprit dove l’anno scorso ho visitato il Museo Laico di Arte Sacra, e la fabbrica di scourtins vicino al pont roman a Nyons. Purtroppo, a causa del virus maledetto, non è stato possibile visitare il laboratorio dove vengono prodotti i filtri rotondi che si usano nei frantoi per la produzione dell’olio: sono fatti di fibra vegetale. Oggi, con la stessa tecnica, fanno stuoie, tappeti, borse e una quantità di cose, tutte coloratissime, e che abbiamo visto nel negozio della fabbrica. Il ponte non è “romanico”, dato che la sua costruzione iniziò nel 1341, ma prende il nome dal costruttore che veniva dalla cittadina di Romans. E’ comunque spettacolare, a una sola arcata, lungo più di 40 metri, e permette di superare il letto scavato dall’Eygues 19 metri più in basso.
E’ bello girare in macchina per quella regione: le strade di campagna sono ben tenute, non troppo strette, e il paesaggio è vario: ci sono, ovviamente, molti vigneti, alcuni raso terra per via del Mistral, oliveti e anche mandorli. Il grano era stato dovunque mietuto, ma anche i campi di stoppie sono belli con il loro color ocra; all’orizzonte, sempre i profili ondulati e verdeggianti delle colline o, in lontananza, l’azzurro di rilievi più elevati; lecci e cipressi dovunque, e qualche campo di lavanda, ormai raccolta. E, siccome la raccolta meccanica trascura gli steli in capo ai filari, ci siamo fermati a spigolare, e poi la macchina è rimasta per giorni profumata di lavanda!
Per non essere solo dei commensali a tavola, abbiamo dato il nostro contributo: Giorgio ha fatto un buon risotto alle melanzane, l’ultima sera io dei fusilloni con ricotta, pomodori ciliegini e olive nere di Nyons. Sono riuscita a trovare la rucola ruspante che ho usato al posto del basilico. Per procurarmela si è mobilitata tutta la compagnia: siamo andati su e giù per la campagna e nella boscaglia, lungo vigneti, invano: lecci, corbezzoli, rosmarino, cisto, altre erbe e cespugli della garriga, ma zero roquette. E poi invece ce n’erano piantine vicinissimo a casa, anzi, ne ho trapiantato un paio nel giardino di Annie (e dalle foto, sembra che se la stia cavando egregiamente!). E come non ricordare lo strepitoso tian di verdure di Annie, che è anche una meravigliosa opera d’arte astratta, per il modo in cui le diverse verdure sono disposte nella teglia.
Siamo stati sulla terrazza in cima alla casa tutte le sere, dopo che il Mistral era cessato, sperando di vedere stelle cadenti, essendo il periodo giusto (e in omaggio a una nostra vecchia tradizione), ma inutilmente. Però abbiamo visto sorgere una stupenda luna rossa appena calante, l’ultima sera proprio dietro il Mont Ventoux, e ascoltato l’assiolo.
Mio fratello è ordinatissimo, precisissimo e maniaco della pulizia. Mi sono quindi stupita che abbia accettato di tenere per un paio di settimane i due gatti della ragazza di Vittorio, Biba, mentre loro due erano in vacanza. Per amore del figlio è stato disposto a trovarsi una lettiera da pulire nel bagno piccolo, la puzza relativa, probabilmente peli dovunque e magari altri disastri.
All’inizio Marsh e Mallow erano spaventati e non volevano uscire dal trasportino. Marsh ne è stata estratta e la sua prima azione è stata di mangiarsi un pezzo di radice di orchidea. Sono splendide le orchidee di Giorgio, continuano a fiorire, al momento quattro su cinque hanno fiori, e quanti! Mi chiedevo se sarebbero sopravvissute a due settimane con i mici in giro.
Ritorno a casa mia: Forse questa è stata la mia ultima volta nella casa di Contrada Mondovì, comunque, perché probabilmente Giorgio sta cercando qualcosa che gli permetta di fare sonni più tranquilli, magari con un fazzoletto di orto per coltivarsi qualche verdura. Questo non significa che io non andrò più a Cuneo, dove ci sono sempre persone care e amiche, e anche una parte della mia vita di cui ho ricordi molto belli.
Ho viaggiato, come sempre, se posso, il giorno di Ferragosto: traffico scarso e molto scorrevole, tranne nei lunghi tratti con lavori tra Asti e Cremona; macchina stracarica di cose provenzali, piemontesi e delle marmellate – di ramassin (prugne damascene), albicocche di Costigliole e regine claudie. A Mestre, impatto col caldo umido, e relative zanzare e pappataci, mentre a Cuneo e anche in Provenza (il caldo mitigato dal Mistral) il clima era ben più sopportabile.
Riprendo la solita vita, ma ho tantissime cose da fare: sistemare tutta la mercanzia che mi sono caricata in macchina, fare i bucati, mettere in ordine i miei appunti; e poi, molti degli amici sono già o ancora qui, ci ripromettiamo di vederci. E, a proposito di appunti, ho scritto altri limerick, oltre a quelli abruzzesi: anche i nomi dei paesi intorno a Cuneo e a Rochegude mi sembravano fatti apposta. Eccone un paio:
Il camionista di Pianfei /Le barbier de Rochegude
C’era un cinico camionista di Pianfei /Il y avait un barbier à Rochegude
Che ogni dì ne investiva tre su sei / Qui s’comportait d’une façon bien rude:
Li lasciava sull’asfalto /Il arrachait les dents
Rimirandoli dall’alto / De tout nouveau client
Che sadico quel camionista di Pianfei /Ce farouche barbier de Rochegude.
Come sempre, la casa era in ordine, le piante in buona salute, tranne le orchidee che avevo lasciato già sofferenti: Damiana, la mia vicina, ha curato tutti con premura, nonostante abbia problemi a una gamba. Ma ho capito perché le orchidee sono così abbacchiate: già prima di partire avevo cominciato a bagnarle, scioccamente, meno, proprio mentre, col gran caldo, avevano bisogno di più acqua, e avevo dato a Damiana le stesse indicazioni. Ma ora sto rimediando, e mi pare che la situazione migliori.
La passiflora del giardino del mio vicino sconfina nel nostro cortile: molti dei fiori si sono trasformati in graziosi ovetti di un bell’arancione. Li raccolgo e mi gusto la sorpresa, un tesoretto di grani color rubino, succosi, dolci e ricchi di vitamine e sali minerali.
Credo che tutti gli italiani con sale in zucca abbiano salutato con un gran sospiro di sollievo i risultati delle trattative a Bruxelles. Ormai però è passato un mese, e la questione è: riusciremo a gestire saggiamente quel po’ po’ di soldi, senza distribuire doni a pioggia, facendo progetti accettabili e che dimostrino un po’ di visione politica e pratica? Se finalmente diventassimo adulti e responsabili?
Muoiono le persone comuni: se ne sono andati il papà di Sandro e la mamma di Damiana, un po’ troppo presto e troppo in fretta; e a cent’anni ci ha lasciato Franca Valeri, grande attrice e non solo, e grande lottatrice.
Marisa
Marisa sempre bravissima nel tuo raccontare! Brava!