Festeggiamo le mitiche atlete delle Olimpiadi 2024 pubblicando la storia di una velista speciale, oro per ben due volte, pubblicata un anno fa :
Caterina B., Roma, Cagliari, Marina di Ragusa, Siracusa, lago di Garda….i venti, i mari
“È una figlia del vento. Lo sente e ascolta. Lo asseconda e accompagna. Lo incoraggia ed esorta. Lo guida e spinge. Lo esalta e sublima. Lo trasforma in oro. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2021, vela, Nacra 17. La prima medaglia d’oro conquistata dall’Italia in una disciplina mista. Lei, Caterina Banti, prodiera, con Ruggero Tita, timoniere. Romana, 1987. La prima volta, sul lago di Bracciano, aveva tredici anni. Conquistatissima, innamoratissima. Figlia del vento, Caterina non ha mai smesso di seguirlo. Titoli italiani, europei, mondiali. Nel 2021 quello olimpico. Già in pista, e la pista è uno specchio d’acqua, per la nuova edizione dei Giochi, Parigi 2024. A suon di due allenamenti al giorno, fra vela e palestra, yoga e psicologia, perché testa e anima devono essere preparati come bicipiti e polpacci, come addominali e dorsali. Otto chili di peso in più, muscoli, sia chiaro, per poter reggere e governare quei 160 chili di scafo gonfiati dalle raffiche, per ritardare fatica e stanchezza, per guadagnare stabilità e velocità. Allenarsi ma anche mangiare e bere, dormire e riposare, recuperare e preparare, tutto teso a quell’obiettivo, tutto sospeso tra acqua e cielo. Ci sarebbe anche la vita. Lei, Caterina, laureata in Studi islamici, 110 e lode. Non si dà delle arie, di aria le basta quella che le passa il vento. «Cerco di tenere i piedi per terra» dice di sé. Che detto da una velista suona come un meraviglioso paradosso.”
Così scrive il giornalista sportivo Marco Pastonesi di Caterina Banti, la prodiera che ha vinto l’oro alle ultime Olimpiadi insieme a Ruggero Tita. Determinata e volitiva, Caterina è una donna solida e schietta, investita dalla passione per lo sport in generale e quello della vela in particolare. Coltiva quotidianamente la forza fisica e mentale che le permettono di affrontare con successo l’agonismo, pronta a pagare il
prezzo di una vita dai ritmi intensi e un po’ nomade. Socievole ma schiva, preferisce partire in barca che far fronte alla popolarità dovuta alla vittoria con il carosello di interviste che questo comporta: “Quando ho vinto l’Olimpiade ho provato una gioia rofonda e allo stesso tempo una grande liberazione dalla tensione prolungata. Mi ci è voluto un po’ per realizzare che avevo raggiunto l’obiettivo: ce l’avevo fatta! Mentre incalzavano le interviste, ho subito chiamato il mio primo allenatore, colui che ha creduto in me, oltre alla mia famiglia e al mio fidanzato. Mi sentivo un po’ persa per la tournée di interviste: dover parlare in pubblico, rispondere alle tante persone che mi avevano contattato dopo anni in cui non si erano mai fatte vive… Desideravo solo tornare in barca dove davvero mi sento libera, concentrandomi sul mio lavoro. In acqua riesco a staccare e liberare il cervello da altri pensieri che produco continuamente quando sono a terra. Penso solo a ciò che sto facendo; il mare non si può dominare ma si può navigare controllando la barca a seconda delle condizioni degli elementi. Allora mi trovo a giocare con i flutti, il vento. Io e Ruggero procediamo con il nostro Nacra 17 volante sfruttando al meglio le onde. Ci sono condizioni
climatiche in cui mi diverto di più perché mi sembra di danzare: mi muovo facendo il mio lavoro di prodiera ed è un grande piacere. Ruggero, il timoniere, guida l’imbarcazione mentre io regolo le vele e mi sposto avanti e indietro lungo lo scafo per gestire l’altezza della barca sull’acqua. Il ruolo del prodiere è faticoso e impegnativo perché si sta continuamente in movimento e in allerta ma mi dà molta soddisfazione. Nell’agonismo e nello sport in genere penso che sia importante provare piacere in quello che si sta facendo; anche se il lavoro di allenamento è duro mi diverto e questo compensa tutto. Mi sento realizzata dall’allenamento portato avanti bene quando si esce in barca, dal sapere che ho dato il massimo, e questo vale anche negli altri campi della vita. Ogni giorno sento la concretezza di stare costruendo qualcosa: nulla come lo sport insegna quanto la costanza del lavoro sia importante. Nello sport non si bluffa, non ci sono scorciatoie: se non sei preparato e allenato non ce la fai. La pratica sportiva mi ha inquadrato dandomi regole precise e mi ha insegnato a conoscere meglio il mio corpo, a saperlo ascoltare. Anche attraverso il mio percorso di studi ho imparato un metodo e un rigore che ho riportato nel mondo dello sport. Sapevo che per vincere l’Olimpiade dovevo allenarmi in palestra e in acqua ma anche imparare a gestire emozioni e insicurezze. Lo sport mi ha insegnato a sentirmi più sicura, a guardarmi dentro, ad affrontare e superare le mie paure, a migliorare globalmente come persona. Oltre all’allenatore è importante anche lo psicologo sportivo perché aiuta a cercare una progressione mentale oltre che fisica. In questi anni ho messo da parte un bagaglio di esperienze che mi serviranno per tutta la vita.” A proposito di bagaglio chiedo a Caterina cosa mette nel suo zaino che usa anche negli spostamenti in città al posto della classica borsetta. Che sia uno zaino grande per i viaggi o uno più piccolo per la città, lo zaino contiene comunque gli accessori indispensabili che le permettono di sentirsi pronta a partire come se fosse una piccola casa ambulante: il gel per le mani, le medicine e gli integratori, la borraccia, la pallina antistress, il nastro, oltre naturalmente ai documenti e alle chiavi: “Nel mio zaino c’è anche la capacità di adattarmi alle diverse situazioni, a cercare il meglio, sempre, ad aprirmi agli altri. Sono tollerante e cordiale anche con gli sconosciuti e questo facilita le mie relazioni; sono stata abituata fin da piccola a viaggiare e, per la mia formazione, a conoscere ed entrare in contatto con persone di altre culture di cui apprezzo la diversità. Quello che porto nello zaino metaforico della mia vita è soprattutto una grande determinazione e la coscienza che il successo nel raggiungere
i propri obiettivi non è mai scontato né facile. Si impara ad andare avanti e a superare gli ostacoli grazie alla consapevolezza di cosa si vuole raggiungere e a una chiara visione del proprio scopo.”
Caterina si sente fortunata di essere cresciuta in una famiglia che l’ha sostenuta e spinta verso lo sport e non solo. Ha avuto infatti un percorso un po’ atipico rispetto a quello dei colleghi velisti: ha attraversato diverse strade, e non solo metaforicamente. Con il padre professore universitario, esperto di lingue del Corno d’Africa, ha viaggiato fin da piccola in Somalia, poi in Etiopia dove è tornata durante il liceo. Anche per questo ha deciso di studiare l’arabo e il francese e dopo la maturità è partita per un anno in Tunisia. Intanto praticava
la vela per piacere e per lungo tempo è riuscita a conciliare lo studio con gli allenamenti viaggiando da Napoli – dove studiava all’università Lingue orientali – per tornare il fine settimana e allenarsi in barca: “Nel mio immaginario mi sono sempre vista con la valigia in mano e in viaggio; da mio padre ho ereditato l’intercultura e la tendenza a non stare mai ferma in un posto. Lo sport ora mi porta a viaggiare continuamente; anche se convivo con il mio fidanzato, in casa rimango solamente per una decina di giorni al mese. Il resto del tempo mi divido fra Cagliari, Marina di Ragusa, il lago di Garda e dovunque mi portino le regate.”
Fin da piccola Caterina pratica lo scoutismo e vari sport quali la scherma, l’atletica leggera e l’equitazione, ma la passione per la vela ha vinto su tutto. Il fratello, già velista, le propone un giorno di accompagnarlo come prodiera così le trasmette molte conoscenze mentre lei impara e fa pratica. Il suo primo allenatore, Matteo Nicolucci, la prepara da subito con obiettivi importanti perseguendo il sogno di costruire, per il circuito olimpico, una squadra di sportivi che crescessero tecnicamente e che condividessero valori quali la sana competizione, la costanza e la passione. “Mi sono dovuta preparare duramente perché mi stavo formando in tutt’altro ambito: ho studiato libri di navigazione, meteorologia, strategia, funzionamento delle vele. Intanto il catamarano, dopo essere stato escluso come classe olimpica a Londra 2012, era stato reinserito per il quadriennio di Rio 2016 con la novità dell’equipaggio misto. Stavo terminando gli esami all’università mentre mi allenavo tantissimo; ricordo giornate che iniziavano alle cinque di mattina per finire alle ventidue tra studio e allenamenti di 4-5 ore in palestra e in acqua. Allo stesso tempo lavoravo dando corsi di lingua araba e facendo traduzioni. Riuscimmo a entrare nella nazionale e
ci preparammo per i mondiali. Intanto finii la tesi e mi laureai con il massimo dei voti realizzando la traduzione e l’edizione critica di un testo giuridico inedito del 1700 sulla questione della liceità del tabacco. È stato un tema interessante perché spiegava l’origine dei movimenti religiosi che nacquero poi nel XIX secolo portando all’integralismo alcune frange islamiche come i wahabiti.”
A quel punto Caterina, che stava studiando anche il persiano e il turco, avrebbe potuto scegliere di continuare la carriera universitaria iniziando una ricerca di dottorato sugli studi coranici, ma decide che è il momento di consacrarsi interamente alla campagna olimpica. Era il tempo opportuno per coronare il sogno di bambina e così si butta capofitto nell’attività agonistica di alto livello: “La vela mi permette di unire la parte mentale e quella fisica, ma dovevo ancora trovare la buona combinazione per dare il massimo. Quando incontrai Ruggero e al
campionato italiano ci capitò di navigare insieme, capimmo che la nostra intesa sportiva era ideale così formammo una nuova squadra: lui timoniere, io prodiere. Non fu facile, ci furono molte polemiche per il cambiamento di team ma fu la scelta vincente. Abbiamo raggiunto
insieme tantissimi risultati importanti, dagli europei ai mondiali, per culminare infine con la vittoria olimpica. Al timone Ruggero decide la direzione da prendere mentre io sono l’acceleratore dell’imbarcazione regolando le vele e spostandomi lungo lo scafo; la sintonia che abbiamo e la disposizione di entrambi a dare il massimo ci ripaga della fatica e dell’impegno. Ci confrontiamo continuamente e affrontiamo le difficoltà cercando di volgerle al positivo. Sono fortunata ad aver incontrato un bravo timoniere e anche altre persone che mi hanno aiutato in questo percorso; ho conosciuto ambienti nuovi, stretto amicizie e intrecciato relazioni importanti. La vela per me non è solo navigazione ma un viaggio d’introspezione dentro me stessa, i miei limiti, le mie possibilità. In realtà viaggio tantissimo ma è come se trovassi tante case dove ci alleniamo e viviamo regolarmente; in ogni posto abbiamo come punti di riferimento fisioterapisti e amici. Per gli allenamenti invernali soggiorniamo a Cagliari, a Trapani o Marina di Ragusa, in estate ci spostiamo al lago di Garda. Inoltre viaggiamo nei luoghi delle regate e delle competizioni. Per me il viaggio però resta legato all’idea di evasione dall’ordinario, allo scoprire nuove mentalità, alla conoscenza di mondi diversi. Al di là dei punti di vista e dei modi di vita differenti, delle varie lingue parlate e del colore della pelle, nel
profondo, siamo tutti esseri umani con gli stessi problemi e bisogni fondamentali. Parlando di evasione, sperodi poter presto concretizzare il viaggio in Islanda che progetto da tempo con una mia amica.”
Sorridente e serena, Caterina non nasconde le tensioni e le paure che assalgono gli sportivi, prima fra tutti quella di farsi male. Nel 2018, durante un’uscita in mare con delle condizioni di vento e onde particolarmente forti, si lesionò il muscolo del braccio per un forte impatto. Rimase bloccata per un mese e mezzo ma soprattutto le restò il terrore che accadesse di nuovo. Solo con tanto lavoro fisico e mentale è riuscita a far di quella paura un punto di forza: ora sa affrontare le onde e i venti che le avevano causato l’incidente, imparando a dominarli.
Quando parla ai giovani Caterina non nasconde le difficoltà e gli sforzi necessari per chi vuole intraprendere una carriera agonistica. Ritiene che sia fondamentale trasmettere achi si avvicina allo sport un’idea virtuosa del mondo e dell’attività
sportiva; è importante la comunità di riferimento, in primis gli allenatori: Anche i giornalisti sportivi svolgono un ruolo importante e dovrebbero veicolare valori sani e interessi verso tutti gli sport e non solo per il calcio e il business che questo rappresenta in Italia.
“Mi fanno arrabbiare quando durante l’intervista chiedono a me e Ruggero se siamo fidanzati, come se la presenza femminile in una squadra
implichi per forza relazioni sentimentali. Il Comitato Olimpico Internazionale spinge per le quote miste, ma molti sport restano appannaggio degli uomini. Anche la vela è un mondo profondamente maschilista che io e molte altre sportive cerchiamo di modificare con il nostro esempio di dedizione, capacità di lavoro e passione.”
Caterina sta anche studiando Management sportivo per conoscere meglio questo mondo: sente di dover ancora imparare tanto in un settore dove, in futuro, le piacerebbe continuare a lavorare. Si ritiene molto fortunata perché dispone di possibilità di scelta avendo anche una formazione da orientalista e tanti progetti in corso. Sappiamo che per lei non si tratta certamente solo di fortuna ma della sua capacità di applicazione, della forte determinazione e del saper “cavalcare l’onda”.
P.