Elisabetta Grappasonni, Roma
Più volte mia sorella, passando dalla via Appia, indicandomi il posto dove aveva tenuto, parecchi anni fa, il suo ricevimento di matrimonio, diceva:
-Ricordi, era qui che c’è stata la festa!
Una sera di ottobre, di ritorno da una presentazione dove le avevo chiesto di accompagnarmi, all’altezza di via del Quadraro, all’ennesimo cenno verso il ristorante, ho messo la freccia, ho invertito la marcia e mi sono diretta verso il ristorante “Grappasonni” di via Appia Nuova.
-Vediamo se è come un tempo e se possiamo cenare lì.
Era di sabato e, come prevedibile, tutti i tavoli erano occupati. All’ingresso ci ha accolto un signore scuotendo la testa.
-Ci dispiace davvero, il sabato si deve assolutamente prenotare.
Mia sorella gli ha detto che era la prima volta dopo tantissimi anni che tornava in quel ristorante, accennandogli che il suo matrimonio era stato celebrato alla fine degli anni ’70 e lì c’era stato il pranzo di nozze. Il padrone del luogo si è illuminato, ha chiamato un cameriere per controllare le prenotazioni e ci ha detto che, se non avessimo richiesto più portate, potevamo accomodarci ad un tavolino dove i commensali sarebbero arrivati per le 21:30, pertanto avremmo avuto il tempo di consumare una pizza.
-Non posso proprio mandarvi via. Devo assolutamente avvertire mia moglie- ha aggiunto.
Appena ci siamo accomodate al tavolo si è avvicinata una donna sorridente.
-Dov’è la signora che si è sposata qui?
Le ho indicato mia sorella Teresa e lei ha voluto sapere tutto: che giorno era, chi l’aveva servita ai tavoli, quale fosse il menù…
Ci ha detto che il ristorante appartiene ai suoi genitori e che lei, dopo un lungo percorso in altre attività lavorative, spinta da suo figlio, che si occupa di ristorazione, ha rilevato da poco il ristorante per restituire al posto il lustro di tanti anni fa. Ci ha raccontato svariati aneddoti che riguardano i tempi in cui lei, bambina, osservava i suoi genitori all’opera. Le chiedo se ha lavorato anche lei lì ma lei mi racconta di aver fatto altre scelte per poi tornare alle origini. L’abbiamo salutata e, dopo qualche giorno, mia sorella le ha inviato le foto del suo album di matrimonio dove si intravede, dietro la torta, l’immagine del “Grappasonni“ di un tempo.
Incuriosita dalla vita di Elisabetta, le chiedo di raccontarsi per il blog:
Sono Elisabetta Grappasonni, sono nata a Roma nel 1964 da una famiglia di ristoratori; ho un fratello e una sorella e sono cresciuta nell’attività di famiglia portando avanti questa tradizione. La mia è la quarta generazione da quando il nostro ristorante esiste sulla Via Appia. Anche la regina Margherita di Savoia mangiò da noi, la sua presenza è attestata da un documento originale dell’epoca. Si fermò da noi, in questa antica osteria fuori porta nella zona Roma Sud il 17 ottobre del 1908, mentre passava dalla via Appia per proseguire il suo viaggio. A Napoli le venne dedicata la pizza che porta il suo nome, divenuta famosa in tutto il mondo.
Elisabetta mi mostra il documento, poi continua:
Siamo fieri dell’autenticità del nostro locale dove vige la continuità di più generazioni. Oggi è una cosa molto rara e io sono orgogliosa di portare avanti la tradizione.
Mi sono occupata della ristorazione sin da quando ero piccina e non ho mai smesso, anche se per svariati anni ho intrapreso tante attività: sono stata responsabile della segreteria Golf Parco dei Medici, ho lavorato per il senatore Masiero, sono stata la segretaria del dottor Stefano Guzzilla, presidente del FASI, insomma veramente ho dato veramente tanto, e sono contenta della mia vita. Ad un certo punto però, nel 2015, ho ascoltato una voce interiore che mi chiedeva di tornare alle radici. È stata una scelta molto azzardata, perché ho deciso di non delegare ad altri ma di tornare di persona a lavorare nel ristorante. Ovviamente per fare questo ho dovuto lasciare il mio impiego: sono stata poco prudente ma ero estremamente motivata. Dico sempre che queste sono attività che non si improvvisano, ci deve essere dietro una vera e propria passione.
Mio figlio è stato un po’ l’artefice del mio ritorno, il ristorante era stato dato in gestione per un lungo periodo quando era venuto a mancare il mio papà. Mia madre, alla morte del babbo aveva l’età per una meritata pensione; io e i miei due fratelli avevamo studiato e scelto tutti altre vie lavorative intraprendendo strade diverse. Mio figlio, che ha nel suo DNA la passione di famiglia si è dimostrato veramente molto portato e mi ha convinto. Devo dire che il successo che stiamo avendo in questo momento al ristorante si deve molto a lui. Nel 2015 abbiamo deciso di riprendere e, pur con tutte le problematiche che ci sono state in seguito dovute al confinamento per il Covid siamo stati forti.
Eccoci qua, oggi siamo soddisfatti di quanto abbiamo ottenuto, c’è stato un grande impegno ma al di là di esso la grande passione che ci ha aiutati e spinti a proseguire. Oggi siamo fieri di quello che abbiamo ottenuto, di ciò che stiamo realizzando. Io ripeto sempre un insegnamento che ho ricevuto dal mio papà che diceva:” Non bisogna mai pensare di essere arrivati, occorre sempre migliorarsi e andare avanti. Perciò è quello che facciamo noi: cercare sempre di migliorare. Ovviamente si può sbagliare ma cerchiamo di agire con onestà e perseveranza.
Elisabetta prosegue parlando della sua vita al di là dei tavoli del suo ristorante:
Sono una donna iperattiva, vado in palestra regolarmente perché fa bene alla salute oltre che all’aspetto fisico. Viaggiare è la mia passione, io e mio marito condividiamo l’amore per la moto con cui facciamo viaggi molto lunghi. Siamo arrivati in Norvegia, in Svezia, in Danimarca, in Bretagna, in Normandia, abbiamo girato quasi tutta la Francia, poi l’Alsazia… Abbiamo fatto dei viaggi stupendi, molto impegnativi ma che ci hanno dato tante soddisfazioni, anche se è stato difficile conciliarli con il nostro lavoro.
Chiedo a Elisabetta cosa sceglierebbe se dovesse riempire uno zaino per le lettrici del blog:
Ho imparato dopo tanti anni che se si ha voglia di viaggiare basta davvero poco. Io e mio marito vorremmo andare o in Nepal o in Perù; ci siamo detti che dovremo partire con lo zaino sulle spalle e portare l’essenziale: intendo un cambio di magliette e due pantaloni, il necessario per l’igiene, non pensare certo di portare orecchini, cinte, tutte quelle cose superflue che non servono per questa tipologia di viaggi.
Per me il viaggio è inteso come un’avventura, dove è essenziale rapportarsi con le persone del posto che si va a visitare, potersi relazionare con gli altri ti porta a conoscere meglio la cultura, i pensieri delle persone che si incontrano. Io sono molto estroversa, mi piace parlare tanto, lo faccio anche nella mia attività, dove viene apprezzato il fatto che io possa girare per i tavoli, parlare, fare conoscenza con tutti i clienti. Così faccio anche nei miei viaggi, cerco sempre di avvicinare le persone del posto, scoprire tante piccole cose, anche chiedere banalmente dove si può mangiare qualcosa di buono e tradizionale che non sia turistico, chiedo cose semplici che danno la possibilità di conoscere meglio le abitudini, i costumi, il modo di pensare.
Elisabetta traspone quello che fa durante i viaggi anche tra i tavoli, visita le culture delle persone che si siedono per ordinare un pasto.
Le prime domande che faccio quando mi accosto ai miei clienti, a parte chiedere se è tutto di loro gradimento è: “Siete di zona? “Abitate qui?” “Ci conoscete già?” Cerco poi di conoscere a fondo chi viene da noi e quindi non solamente nella subverticalità del lavoro stesso, informandomi quindi se ha mangiato bene, ma proprio nell’approfondire questa conoscenza. Ovviamente lo faccio con chi ha intenzione di parlare e non insisto se capisco che dall’altra parte c’è una persona riservata a cui non fa piacere dialogare oppure dire più di tanto, però adoro sapere chi ho davanti, è la stessa cosa che faccio nei miei viaggi: mi piace capire proprio le persone, come vivono, cosa fanno, cosa mangiano, cosa pensano.
Ripenso alla donna che si affacciava dalla cucina ai tempi del matrimonio di mia sorella e chiedo a Elisabetta delle donne della sua famiglia:
Le donne sono state fondamentali nella mia vita, partendo da mia nonna che è stata il motore portante della famiglia. Era una donna fortissima che ovviamente gestiva le quattro nuore e ha dato anche tanto a loro, ai figli e a noi nipoti, ci ha insegnato tutto, e poi ripenso alle zie, alla mamma… Ho vissuto in questa famiglia patriarcale dove si lavorava tutti insieme al ristorante, avendo modo di scoprire le novità insieme. Non ci incontravamo solo alle festività, tutti i giorni si viveva uniti in questa grande famiglia: le donne in cucina si davano consigli mentre erano all’opera. Io sono maturata in questo gineceo: una volta la donna in cucina, specialmente nella ristorazione, era fondamentale. Adesso nelle cucine noto sempre meno donne, ci sono molto più figure maschili, gli chef sono quasi sempre maschi: io cerco di portare il mio tocco sia in cucina che tra i tavoli.
Chiedo se c’è qualche ricetta particolare le è stata tramandata dalle sue donne di casa.
Mia madre l’ho perduta da poco e la ricordo veramente con molto affetto e stima, è stata l’ultima che ha gestito il ristorante in modo egregio: una donna fortissima, come dico io, di altri tempi. Quando passava dal ristorante, era quasi vicino ai 90 anni, si fermava sempre in cucina con gli chef, ce ne sono due bravissimi, al primo cuoco chiedeva: “Flavio, ma tu il ragù come lo fai? Ce lo metti il chiodo di garofano e la foglia d’ alloro? Perché sono fondamentali, danno quel tocco in più …” Lo chef ovviamente annuiva perché sapeva che lei era stimata da tutti, in primis da mia nonna per il ragù, tra le zie era quella che lo faceva strepitoso. Era davvero divertente vederla a quell’età pensare al sugo.
Sono invitata spesso nelle scuole di cucina che sono a Roma perché ho un palato molto sviluppato, probabilmente perché ho sempre amato la cucina e quindi ho assaggiato di tutto nella mia vita, veramente di tutto, dal quinto quarto alla coratella, alla trippa, tutto ciò che offriva la cucina tradizionale romana. Questo ha sviluppato un palato molto sensoriale, così io riesco a scoprire subito se un piatto è ben bilanciato. Per bilanciato intendo che oltre ad essere gustoso non deve essere troppo sapido, e so che ottenere un buon equilibrio non è facile. Le scuole mi hanno inizialmente invitata così, per gioco, poi hanno capito che ero brava. Lì rilasciano delle schede da compilare quando, assaggiando i piatti che fanno gli allievi, devi dare un giudizio su questi piatti. I docenti notavano che mi accorgevo subito di quello che mancava o di ciò che era superfluo in quel piatto. Perciò mi invitano volentieri quando c’è il rilascio degli attestati degli allievi. Quando esprimono i giudizi sui piatti mi chiedono, come ospite, di dare anche io un voto prima che il docente dia il giudizio finale all’allievo. Trovo questa cosa molto divertente, l’ho scoperta così, per caso, è una grande dote, come quella del sommelier per il vino, ci vuole veramente una grande sensibilità oltre che la tecnica.
Quella del “Grappasonni” è una cucina tradizionale rivisitata ma non gourmet, ci tengo a specificarlo. Il gourmet secondo me è esploso come una grande moda, una grande curiosità da parte di tutti. I piatti gourmet sono piatti con degli accostamenti diversi dal solito. Si è capito con il tempo che questa cosa sta sminuendo la cucina, infatti lo stesso Vissani che io conosco, che si considera l’inventore dei primi piatti gourmet, ha riportato in vari articoli che si deve ritornare alle tradizioni. Ritengo che vadano limitati questi nuovi accostamenti che hanno tralasciato la vera cucina tradizionale romana. Lo stesso Cracco ne ha parlato, cercando di tornare alla cucina romana di una volta, come stanno facendo anche molte scuole. Io dico innovazione sì, ma sulla tradizione. È quello che facciamo noi, un pizzico di tradizione, un po’ di innovazione, attenzione anche a come si presenta un piatto. L’impiattamento infatti oggi fondamentale, fa la differenza, ma non deve coprire il fatto che non c’è sostanza.
Elisabetta mi saluta commossa ricordando ancora i momenti di tanti anni fa. Immaginare mia sorella nel suo locale, giovane sposa, l’ha riportata indietro ai ricordi dell’infanzia. Le prometto di tornare presto con Teresa nel suo locale con l’album di foto dell’epoca, magari riconoscerà sullo sfondo qualcuno dei suoi cari.
R.