Il Parkour
Una sera, a cena con mio figlio ed i suoi amici, uno di essi, un appassionato di sport che a me sembrano estremi, mi ha mostrato un video: lui arrampicato su un muro che cercava di scavalcare una terrazza.
– Ahi! mi sono detta! un aspirante suicida? Nulla di tutto ciò, mi mostrava semplicemente le sue prodezze, non casuali, ma studiate e preparate con cura e disciplina, un’attività dal nome strano: parkour. Mi sono documentata: parkour non è solo uno sport, è una sfida, un percorso in paradiso che ti fa sentire potente ed invincibile.
E’ nato in Francia negli anni ’90, dapprima denominato “art du déplacement” e “parcours”, in seguito divenuto “parkour”, perché si riteneva che la sostituzione della c con la k rendesse il termine più grintoso. Alcuni lo paragonano ad un vero e proprio percorso di guerra, a me, vedendolo, sembra piuttosto una danza aerea nell’infinito. I praticanti del parkour sono chiamati traceurs, o traceuses al femminile, qui parlerò di una tracciatrice di vie.
Alessio mi ha spiegato che nel parkour si esegue un percorso, in ambienti naturali o urbani, cercando di superare vari ostacoli con movimenti sobri e adattandosi all’ambiente con vari espedienti.
– Troppo difficile per una donna – ho pensato . Mi sbagliavo. Girovagando su Internet ho trovato lei, bella, aggressiva ma semplice, che sfidava le leggi della gravità con gesti sicuri ed eleganti. L’ho contattata per il nostro blog, un breve messaggio su whatsapp, ero timorosa perché dalle foto vedevo una donna sicura di sé e temevo fosse spocchiosa e distante, invece mi ha subito risposto:
– Mi fa molto piacere tutto ciò, soprattutto per il fatto che sono una super sostenitrice della community italiana femminile di parkour, poiché purtroppo è molto ridotta rispetto al sesso maschile.
Le ragazze che vogliano avvicinarsi al parkour non trovano vita facile. A parte la curiosità iniziale per chi le vede scavalcare muretti e volteggiare per le strade, le donne non riscuotono credibilità. Si crede sia uno sport da maschi, inadatto alla fragilità femminile, atteggiamento comune per quasi tutti gli sport, ricordiamo infatti l’ostruzionismo degli scorsi anni verso il calcio femminile, che tanto ha faticato ad essere accettato. Ma si sa che le donne hanno combattuto a lungo per l’uguaglianza nello sport nel corso della storia, ricordiamo che una volta non solo non potevano praticarlo, ma neanche assistere alla competizioni. Oggi le atlete in generale faticano a rompere le barriere di genere negli sport considerati maschili e vengono accettate solo negli sport tradizionalmente considerati femminili, quali il pattinaggio e la ginnastica artistica. Quando si cimentano in discipline quali il parkour, vengono trattate in modo paternalistico, la loro sessualità viene messa in discussione, e ci si preoccupa su eventuali danni che il fisico femminile delicato potrebbe subire.
Il parkour femminile in Italia ha poca visibilità ma sono sicura che le traceuses riusciranno a moltiplicarsi, e, come indica il loro nome, tracceranno la strada per le ragazze che non vorranno soltanto indossare scarpette e tutù ma vorranno vivere la loro passione e, perché no, trasformarla in mestiere.
R.
Monica
Prima di avvicinarmi al mondo del Parkour sono stata per 15 anni una ballerina, esercitando vari stili diversi: danza classica, moderna, contemporanea , hip hop, latino americano e tango. La danza classica è un mondo opposto al parkour, tutto in rosa, tutto al femminile, un mondo in cui ci si batte per far ballare i maschi andando contro gli stereotipi che affermano che solo le donne possono ballare.
Al liceo ho conosciuto una persona che, avendomi visto saltare tra le strisce dei parcheggi delle macchine, mi ha chiesto se fossi una praticante del parkour poiché dai movimenti lo sembrava. Io, stupita, ho detto di no e lui mi ha invitato la domenica stessa ad uno degli allenamenti della community torinese. Ricordo ancora il numero di persone presenti, erano tantissime, non avrei mai pensato che vi fosse così tanta gente, tanti amici, che uscivano per strada a praticare la stessa disciplina liberamente. Era come una civiltà nascosta, mi chiedo come mai non avessi mai visto prima praticare questa disciplina per le strade di Torino: era stupendo. Questo mondo all’inizio mi ha un po’ spaventata: vedevo quei ragazzi effettuare movimenti fuori da ogni qualsiasi mia aspettativa. Durante quel primo allenamento ho subito notato come tra quelle 30 persone praticanti non vi fossero donne, mi è stato detto che le donne preferiscono fare altro, cose più da sesso debole. A quel punto è diventata la mia sfida personale, superare le paure che che questa disciplina mi creava dentro, pur essendo donna.
La perseveranza in questa disciplina mi ha sempre aiutata, fino ad un momento, il momento in cui devo riuscire a capire certi limiti fisici, riconoscere che il corpo è stanco e che ci si deve fermare. Questa cosa l’ho capita 2 anni fa, quando mi sono rotta il braccio provando e riprovando più di 30 volte un movimento abbastanza banale che non riuscivo a svolgere come avrei voluto. Ero testarda e non sapevo che avrei dovuto ascoltare il mio corpo. Ma da quell’errore ho comunque imparato, ora sto benissimo e con un’esperienza fondamentale in più che mi ha cresciuta.
Per sostenere il più possibile anche a distanza le ragazze che praticano questa disciplina ho creato una pagina instagram dedicata che si chiama @traceuses_italy che reposta i miglioramenti e i video delle ragazze italiane, e ogni anno si impegna a organizzare raduni gratuiti per riunire quante più ragazze possibili da tutta Italia, anche coloro che non hanno mai praticato e desiderano avvicinarsi a questo mondo.
@error404_pk , è l’unico team italiano di parkour con sole donne, di cui faccio parte.
Spero che la mia testimonianza serva a tante ragazze per capire che è sempre possibile porsi degli obiettivi, lottare per raggiungerli e sfidare le convenzioni che vogliono gli uomini sul campo e le donne sulle piste da ballo, così come voglio vedere ballerini maschi, desidero vedere le strade colme di donne, centinaia di traceuses che sappiano lasciare delle tracce importanti, non solo piume e lustrini, anche lacrime, sudore, fatica ed impegno.
Monica Del Piano