L’educazione e la cura dell’infanzia è storicamente lasciata nelle mani delle donne: mamme, nonne, istitutrici, maestre, tutto un mondo femminile dedicato all’istruzione e alla formazione dei piccoli. Al contrario i grandi pedagogisti, filosofi e teorizzatori dell’educazione sono in prevalenza uomini e rappresentano la ‘mente’ rispetto ‘alle braccia’ di chi deve mettere in pratica i precetti e le idee (spesso ideologie) elaborate, divulgate e studiate nel mondo maschile. Sembra storia antica ma la dirigente Nadia Zanetti, parlando della situazione professionale delle donne nel mondo, evidenzia dati che fanno riflettere: nel settore dell’istruzione ancora oggi in Italia l’82% degli insegnanti sono donne e solo circa la metà sono dirigenti amministrative o scolastiche. Nel campo universitario poi i rettori donna nel 2022 erano solo 5 su un organico di 84.
Eppure l’educazione ci interessa e molto. E non solo perché abbiamo a che fare più spesso degli uomini con la prole, come spiegava la ex ministra Jervolino assicurando che sarebbe stata una buona Ministra dell’Istruzione perché era una ‘mamma’ (!). Ci interessa come fatto politico, sociale. Personalmente sono diventata insegnante proprio per una vocazione politica, stimando che nella dimensione educativa, la società può dirigersi verso obiettivi sociali di crescita culturare e sviluppo democratico. Nel corso della mia carriera le disillusioni sono state molte ma, ispirata dagli insegnamenti del Maestro Manzi -si veda il saggio:
«Ogni altro sono io» Alberto Manzi: maestro e scrittore umanista
e dal lavoro quotidiano a contatto con tante/i insegnanti che ricercano e sperimentano con creatività e intelligenza, ho continuato e continuo a credere che a scuola si possa giocare una partita fondamentale per l’evoluzione delle comunità.
Per questo pubblichiamo regolarmente articoli sui grandi educatori che hanno rappresentato un punto di svolta e di cambiamento importante in questo settore. Dopo Maria Montessori continuiamo con l’articolo dell’autrice, giornalista e poetessa Grazia Fresu che ci invia questo pezzo davvero esaustivo:
“Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?”
“Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo” Gianni Rodari
La parabola umana e intellettuale di Gianni Rodari, nato a Omega (VB) il 23 ottobre del 1920 e morto a Roma il 14 aprile del 1980, potrebbe essere iscritta tra queste due citazioni. In esse si esprimono le due volontà più forti che hanno mosso il suo pensiero: quella di un’educazione che si legasse nei bambini a una dimensione di piacere, di gioia e di gioco e nello stesso tempo stimolasse in loro l’acquisizione di una libertà che li riscattasse da qualsiasi tipo di oppressione e contribuisse alla loro completa realizzazione personale, in quanto uomini e soggetti sociali.
Con Rodari, dopo l’articolo su Maria Montessori, proseguiamo il nostro discorso sui grandi Maestri che nel Novecento hanno cambiato la nostra visione del bambino, della scuola, dei modelli educativi.
Rodari comincia la sua carriera da maestro elementare e da subito la sua attenta osservazione senza pregiudizi lo porta a cogliere i meccanismi dell’apprendimento legati nell’infanzia essenzialmente alla dimensione ludica. I suoi ricordi d’infanzia fanno il resto, riportandolo all’ambiente del lago d’Orta e dei monti circostanti, agli insegnamenti di suo padre antifascista, alla religiosità materna, elementi che si fusero in lui, da adulto, in una mentalità laica accompagnata da una profonda spiritualità. Sin dalla prima adolescenza Rodari legge romanzieri come Verne, Salgari, Dostoevskij, Tolstoj, poeti come Montale e Gatto oltre che vari testi filosofici e politici, (fu un attento lettore di Gramsci), che cominciano a indirizzare la sua ideologia a sinistra. Il Surrealismo d’Oltralpe cui si avvicina con entusiasmo gli darà la libertà di sperimentazione che lo porterà a emanciparsi dalla cultura tradizionale, tentando nuove strade, proprio nel campo dell’educazione e della scrittura per ragazzi.
Nella lettura di Novalis troverà la molla che lo guiderà nella sua attività di maestro e di scrittore, specie nel frammento che dice “Se avessimo anche una Fantastica oltre che una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. Rodari scopre qui l’importanza della Fantastica e comincia a lavorare su quella Grammatica della Fantasia che lo renderà famoso e che, forgiata sulle sue personali esperienze come insegnante, farà da guida preziosa a migliaia di docenti in tutto il mondo (il libro fu tradotto in moltissime lingue), proporzionando loro idee, motivazioni, pratica didattica per accendere la fantasia dei bambini e dei ragazzi in un processo di creazione straordinario. Per la prima volta la Fantasia diviene materia di studio e di attività, nucleo centrale del processo educativo. Rodari invita alla libertà totale nell’uso delle parole, si trasforma in un giocoliere che propone itinerari inconsueti, giochi di parole, binomi fantastici su cui costruire storie, associazioni impreviste, fino al nonsense, attraverso il quale, paradossalmentei suoi studenti e i suoi lettori comprendono la logica del mondo.
Rodari milita nella fantasia come milita nella politica. Insegna, scrive libri e scrive su giornali come “Paese sera” e “L’Unità”, facendosi notare da subito per la sua capacità di analisi, il suo stile evocativo, incisivo e alla portata di tutti.
Dal 1940 al 1950 escono i suoi primi scritti per i bambini nel giornale “La Domenica dei piccoli” e poi con la direzione de “Il Pioniere” (per approfondimenti: Comitato Richerche Associazione Pionieri) il suo ruolo di giornalista e scrittore per i ragazzi va definendosi sempre più. Inoltre la sua militanza politica ne va rafforzando l’impegno verso un’educazione per tutti, libera, democratica, gioiosa. In nessun momento Rodari intende fare del suo giornale una associazione settaria di militanti politici in erba, sempre gli sarà chiaro l’obiettivo di favorire nei suoi ragazzi una sana indipendenza di giudizio nell’amore per lo studio, la natura, la società, fuori da ogni indottrinamento. Comincia a girare per le scuole, a entrare in contatto con altri docenti, per trasmettere un’idea nuova di pedagogia. In questo suo progetto incontrerà molti acerrimi nemici, tra i primi i rappresentanti del clero che gli muoveranno contro una campagna calunniosa, arrivando anche a bruciare i suoi scritti sui sagrati delle chiese.
Non gli andrà meglio coi suoi compagni di Partito. Nel 1951 si discute alla Camera una legge tesa a “moralizzare” la stampa per ragazzi (una didattica che appassionasse i ragazzi invece che annoiarli era considerata immorale). Nilde Iotti con l’appoggio di Togliatti si scaglia contro le immagini e i fumetti de “Il Pioniere” di Rodari, sicché il giornale si trova stretto tra le tenaglie di quel pensiero catto-comunista che tanti problemi procurò agli spiriti liberi del tempo, agli intellettuali che vollero mantenere indipendenza di giudizio anche dentro le ideologie di appartenenza. Rodari continua a pubblicare nel suo giornale le immagini che ritiene opportune e attraverso le quali, fra le tante vittorie sul pensiero tradizionalista, le sue pagine contribuiscono per la prima volta nella pubblicistica infantile a scardinare il pregiudizio razzista del pellerossa selvaggio e crudele. Da queste pagine usciranno molti personaggi amatissimi dai ragazzi, tra cui Cipollino:
che diventerà il protagonista di un romanzo, un eroe proletario che insieme al giovane intellettuale Ciliegino affronta un viaggio di iniziazione e conoscenza di se stesso e del mondo, raccontato con l’ironia e la felicità narrativa che ci ricorda più il “Pinocchio” di Collodi che il libro “Cuore” di De Amicis, nella cui ideologia borghese sicuramente Rodari non si riconosceva.
Il messaggio che Gianni Rodari ci lascia, come docente, giornalista, scrittore, intellettuale impegnato nel sociale, sta nella dissacrazione dei luoghi comuni, nell’abbattimento dei pregiudizi, nel gioco del linguaggio e delle storie che possono andare ovunque la fantasia le guidi, nel coraggio di combattere il conformismo in tutte le sue forme, reinventando la quotidianità, installando nel bambino la necessità di una creatività che diventa efficace strumento di conoscenza. Rodari è un potente creatore di storie, che immette nella modernità la dimensione della favola, pensiamo per esempio alle sue “Favole al telefono”, o ai numerosi libri di racconti, giochi, indovinelli, filastrocche,credendo, come credeva Italo Calvino, che la realtà sia possibile conoscerla meglio attraverso una dimensione fantastica che attraverso una piatta cronaca verista e che nell’esercizio dell’immaginare si possa creare una scuola laica e solidale che abbia i bambini come protagonisti di qualsiasi degna riforma, in una società che riconosca il valore dell’infanzia e creda in essa come artefice di un migliore futuro per tutti.
Grazia Fresu