Cosa fare la domenica a Casablanca? Le opzioni sono molte tra le quali quella che chiameremmo la classica ‘gita fuori porta’ ovvero uscire da una città pulsante e caotica di più di quattro milioni e mezzo di abitanti per approfittare di una dimensione più calma, da esplorare a piedi. Dopo una settimana di smog, caos e traffico, ho accettato volentieri l’invito di un amico per visitare, insieme a Chiara, ‘donnaconlozaino’ da qualche anno residente in Marocco, la cittadina di Azemmour, alla foce del secondo fiume marocchino, l’Oum Errabiaa che in arabo vuole dire “Madre della primavera”. Una macabra leggenda dice che l’Oum Errabiaa vuole il sacrificio di quaranta persone ogni anno in qualsiasi punto, dalla sorgente alla foce. Scendiamo verso il fiume per prendere un té alla menta e osserviamo il tranquillo scorrere dell’acqua e la fauna che la popola: garzette, aironi e cormorani. Nei due imbarcaderi si possono noleggiare le barche a remi o farsi condurre per un’esplorazione fluviale nei dintorni. Passeggiamo per il lungofiume ma non arriviamo a vedere l’estuario. Mi informo su questo importante corso d’acqua che sfocia nell’Atlantico proprio in questa cittadina a circa 70km da Casablanca. Leggo che è lungo 550 km e costituisce un fabbisogno idrico importante, oltre che per la produzione di energia elettrica, anche per l’agricoltura, con l’obiettivo di raggiungere l’autonomia nella produzione del grano. Diverse dighe sono state costruite a questo scopo, lungo il percorso dal lago Ouiouane, la sorgente, a 1800m, nel Medio Atlas.
Appena arrivati a Azemmour, si coglie il ritmo di vita decisamente rallentato rispetto a Casablanca. Ci inoltriamo nei vicoli e nelle stradine della parte antica della città dove incontriamo per lo più donne che ritirano il loro pane portato a cuocere al forno e bambini che giocano per la strada.
Osserviamo i vari murales disseminati sui muri e sulle facciate delle case che tracciano la storia e danno colore al bianco e all’azzurro dominante delle costruzioni. Paesaggi, personaggi, volti e animali: una varietà di soggetti e stili.
Tra i murales c’è la riproduzione della città ai tempi dello splendore arabo e poi portoghese. Un pannello esplicativo, vicino alla fontana dopo l’entrata nelle mura antiche verso la torre di guardia, ritraccia la storia della città. Azemmour era infatti un importante insediamento berbero nel VII secolo, insieme alla vicina città di Al Jadida, fino a quando, nell’XI secolo, venne conquistata dagli Arabi che costruirono la fontana e la moschea e fecero della città un luogo di erudizione musulmana. Nel XIV secolo la dinastia dei Merinidi fece costruire la Medersa nel cuore della Medina. La fiorente cittadina cadde poi, nella battaglia del 1513, sotto la dominazione portoghese della cui presenza rimane traccia in edifici che oggi, però, troviamo chiusi. Circa trent’anni dopo il sultano arabo Mohammed Cheikh riprese Agadir e altre città ai portoghesi che abbandonarono Azemmour nel 1541.
Un altro murales attira la nostra attenzione; Chiara si informa sulla vita di Estevanico, soggetto dell’affresco, così apprendiamo la sua incredibile storia: Nato a Azemmour, il giovane fu venduto come schiavo ai portoghesi per la spedizione Narvàez che raggiunse le coste della Florida spagnola dell’epoca. Gli uomini della spedizione morirono tutti naufraghi, o per fame o uccisi dagli indigeni, tranne Estevan, altri due conquistadores, e il comandante in seconda Alvaro Cabeza de Vaca, che racconta queste avventure nel testo “Naufragi”. Dopo anni passati con gli indigeni, i quattro riescono a raggiungere la Nuova Spagna attraversando il deserto di Sonora. Schiavo-esploratore per i conquistadores, fu designato guida dal viceré del Messico Mendoza per accompagnare Fray Marcos de Niza alla ricerca delle sette città d’oro. Dopo la morte per malattia degli altri, continuerà solo attraversando, primo africano, l’Arizona e il Nuovo Messico. Viene poi ucciso dagli indiani Zuni nel 1539, a Cibola, insospettiti dalla sua borraccia decorata con piume di civetta, per loro simbolo della morte. Si dice che Estevan poteva imparare le lingue locali in poco tempo; i nativi lo avrebbero poi considerato una divinità per il suo sapere sulle facoltà curative delle erbe e le sue conoscenze. Davvero un personaggio incredibile la cui storia ha ispirato il romanzo del 2006 di Hamza Ben Driss Ottmani, Les fils du Soleil e The Moor’s Account (2015), romanzo dell’autrice marocchina Laila Lalami, finalista al premio Pulitzer. Decido che li leggerò e cercherò anche di scoprire l’opera di altri due scrittori originari di questa città, il romanziere Abdallah Laroui ed il poeta Abderrahman El Mejdoub.
Dopo essere passati davanti la sinagoga ed ammirato una piazza e un belvedere, riattraversiamo le mura per una sosta. Gustiamo un autentico tajine in una delle botteghe con tavolini di fronte alle mura per poi visitare le botteghe artigiane del posto e sostare al sole in un bar les pieds dans l’eau sul fiume:
– Questo posto mi ricorda alcune zone del Nilo – osserva il nostro amico Francesco che ha vissuto al Cairo, mentre inizia a dare pennellate con i suoi acquerelli su carta, kit che tira fuori dal suo zaino. È un Watercolour Sunday man (dal suo blog www.watercoloursundayman.blogspot.com che riproduce i paesaggi che attraversa, con risultati davvero interessanti:
Prima di ripartire ampliamo il giro nel suk della parte moderna della città dove molte botteghe sono chiuse la domenica ma non quelle dove le donne vanno a farsi le decorazioni con l’henné o gli strani negozi che forniscono materiale per cure e rimedi dagli effetti evocati dalle polveri, sostanze e animali essiccati esposti. A scopo afrodisiaco o curativo o ad uso di magia bianca o nera non sappiamo, certo è che vedere tartarughe, camaleonti, e altre specie animali cacciate e vendute per questo, fa un certo effetto…
Riprendiamo l’auto prima del tramonto per tornare a Casablanca dove, ristorati dalla splendida giornata, siamo pronti a tuffarci nuovamente nel ritmo frenetico della grande città.
P.