Una carovana di pace

Rimettendo a posto mail e messaggi dell’estate appena trascorsa, ritrovo foto e racconti di Loredana Tamburrano, inviatimi dalla Carovana dei Balcani, a cui ha partecipato a luglio.
Riporto qui per le “donneconlozaino” alcuni suoi appunti scritti per raccontarmi la sua esperienza:

Carissima Raffaella,
come stai sto partecipando alla Carovana dei Balcani di cui ti ho mandato link.

https://www.balcanicaucaso.org/Appuntamenti/Carovana-Rotta-balcanica-2024

La carovana è molto organizzata, o forse, semplicissimamente l’organizzazione efficiente scaturisce un modo naturale dalla voglia del cuore di capirsi, far capire, non escludere nessuno, siamo duecento, quattro pullman, certe volte, tutto funziona e non si sa perché …

All’inizio avevo paura di qualche reazione delle forze dell’ordine ma ora meno di prima. Mi dico che “se fanno problemi a queste persone che mi appaiono intelligenti, studiose riflessive e pacifiche, allora diventa giusto pure qualche rischio, spero piccolo se non inesistente.”
.
Abbazia delle Carceri a Padova

In camera con me c’è una donna del Messico, madre di un ‘desaparecido’. Il suo dolore mi arriva come un suono a ultrasuoni, sta quasi sempre in silenzio, e con questo caldo torrido porta sempre una maglia bianca con le maniche lunghe con il viso del figlio stampato all’altezza del seno.

Siamo di diverse nazionalità e quando si comunica in lingue diverse si parla piano, lentamente, con chiarezza e tranquillità. Con poche frasi.
E poi ci si ferma per tradurre dall’italiano. Questo consente di recepire bene quello che si dice e di avere una pausa per assorbire la parte cognitiva, ma anche l’impatto emotivo…

È già da un paio di giorni che mi chiedo come raccontare questa “prima carovana”
Sai che le parole per certe situazioni dicono troppo o troppo poco, e il troppo o il troppo poco sono  entrambi fuori misura, specialmente per quei vissuti densi, con tanti strati.
E qui di strati ce ne sono tanti: c’è il dolore, il rapporto umano, la vicinanza, il coraggio, la determinazione, e una capacità di coniugare la riflessione anche su se stesse, anche su se stessi, come se l’autocoscienza fosse il giusto binario naturale di ogni relazione e di ogni attività umana, e quindi anche della pratica concreta, organizzativa. Le relazioni umane stanno sempre in primo piano, a ogni livello toccato da un viaggio che vede spostarsi tante persone insieme e incontrarne altre con storie dolorosamente vulcaniche.
Sappiamo che l’attivismo convinto può decadere a macchina, (e questo è stato motivo anche di rinuncia da parte di molte e molti), ma qui percepisco un attivismo che non diventa mai macchina, mai meccanico, che non si snatura nel percorso, né tantomeno si allontana dall’origine, dallo scopo umano, e umanizzante, in tutti i livelli che tocca, anche quelli imprevisti.

Queste sono le prime parole che riesco a dire.
Ma mi sento piena zeppa, quasi gonfia e devo aspettare che il tanto che ho assorbito possa trovare le vene giuste per scorrere e diventare più intellegibile.

Poi saprò raccontartelo meglio.

Posso solo aggiungere che il desiderio di giustizia si coniuga a una capacità di amore maturo da cui sgorga la voglia di fare e fare onestamente nel migliore dei modi possibili.
Una cosa bellissima.

Della rotta balcanica io non sapevo quasi niente, solo che anche questa rotta è molto pericolosa. Continuo a saperne poco e niente, ma cercando di capire di più ho invece compreso, andando a ritroso, che sapevo ancora meno, poco o pochissimo, anche di Sarajevo e di quella guerra alle porte di casa nostra.
Erano anni in cui io pensavo a tutt’altro e mi sentivo una eroica cambiatrice di pannolini di neonato.
Su quella guerra avevo però letto un romanzo, unico romanzo di guerra che sono riuscita a leggere in vita mia. Abbastanza impressionante per gli orrori descritti.
Su quegli orrori, su quell’odio, su quelle tombe divise in due colline, la collina delle tombe degli uni, la collina delle tombe degli altri, sopra gli stupri, le amputazioni e tutto quello che immaginiamo, ma meglio non immaginare troppo, poi sono passati circa trent’anni.
Ma perché ti racconto questo?
Perché un grido di rabbia e di aspro rimprovero di una bosniaca attivista antimilitarista che usa le parole come carta vetrata è rimbombato nel petto mio come una verità che invece conoscevo, nonostante la mia imperdonabile trascuratezza dei fatti storici.

Eppure avevo percepito questa verità, tramite un intuito doloroso, di quelli che cerchi di ricacciare in cantina, anche nella mia latitanza di allora e queste parole l’hanno tirata fuori dallo sgabuzzino:
“Non lo avete ancora capito che la guerra in Jugoslavia è stata una anticipazione della cultura dell’odio di tutta l’Europa???”

Su 250 persone ci sono attivisti di diverso tipo, alcuni fini lettori della odierna complessità, altri e altre (moltissime) con anima folkloristica di ‘luchadores’, alcuni infinitamente tatuati, altri uccellini con una luce di sole negli occhi attenti… Musicisti e Artisti …
Umanità varia.
Se aspetti di fare cose con umanità omogenea stai fritto.

Ma l’umanità varia si comporta in modo vario, nel bene e nel male, e in questo c’è una quota di rischio.
Un’altra quota di rischio viene da fuori, polizia italiana o altri paesi, guardie frontaliere e governi: se hanno bisogno di creare un caso ne possono approfittare….

Siamo entrati nell’unico campo di concentramento nazista in Italia, a Trieste.

Con noi sono entrate in quel luogo di ferocia e di morte le bandiere palestinesi, le bandiere curde, le bandiere viola del femminismo, gli striscioni con i volti dei desparecidos di vari paesi.
Le lenzuola bianche con i nomi recuperati dei morti in mare ricamati in rosso, ricamati anche i biberon ritrovati.

Un rito collettivo che entrava in quel posto con quelle bandiere – senza facili soluzioni – ma metteva un punto certamente fermo nella complessità odierna.

Nella foto sopra, un lavoro che deve essere ancora finito: sono due scritte di due colori diversi (rosso e blu) che partono da due sponde opposte e si intersecano…. sono le stesse parole di due donne di fronti opposti
“È pur figlio di qualcuna, dopotutto lo faccio per quella donna che un giorno potrei essere io”.
Chi ricama vede, quindi, e opera scomponendo la forma in micro porzioni cromatiche (i punti – bella coincidenza anche nel nome!) che sarà poi il risultato finale a ricomporre in figura, conferendogli unità e senso.
Ti saluto con un canto di rivolta e speranza.

Loredana

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

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