Approfittiamo della festa dell’Eid al-Adha, lunedì 17 giugno, per partire da Casablanca scegliendo un itinerario decisamente poco battuto dai turisti, verso l’Anti Atlante. Con Chiara, Giovanna e Sara affittiamo un’auto nell’agenzia Ka Car di Jasmine e raggiungiamo Tafraout passando da Biougra e Aït Baha. La strada serpeggia tra colline sempre più rocciose, disseminate di alberi di argan che sembrano aspettare pazientemente le capre. Si percorre poi una valle da dove scorgere, sulle alture circostanti, villaggi e kasbah color ocra e rosa tra palme e terrazzamenti.
Arrivando verso Tafraout, ammiriamo le montagne che si elevano con le loro rocce granitiche e brillanti di scisti e circondano la città. In corrispondenza del centro abitato i massi hanno forme più levigate che, con la luce pomeridiana, cambiano colore rendendo il paesaggio davvero caratteristico. Passiamo davanti al cosiddetto “cappello di Napoleone”, un picco di massi che dovrebbe richiamare la forma del copricapo dell’imperatore ma che, con tutta la nostra buona volontà, non riconosciamo neanche cambiando angolazione e prospettiva. Come ci hanno indicato, a un chilometro circa dalla città, cerchiamo il graffito rupestre raffigurante una gazzella ma ci risulta difficile trovarlo così chiediamo ad un passante che ci accompagna volentieri. La «gazzella di Tazekka», è uno de numerosi siti che testimoniano dell’arte rupestre di questa regione: resta probabilmente quello di più facile accesso. Siamo ben felici quindi quando arriviamo ai piedi della parete rocciosa dove si staglia la pittura antica di migliaia di anni: momento che immortaliamo con diverse foto.
Dopo un ottimo tajine al ristorante dell’hotel Salama, in pieno centro, facciamo un giro nel souk, ben animato prima della festa. Fino alle dieci di sera infatti, gruppi di donne, uomini e bambini, girano per acquistare abiti e babbucce tradizionali. Le donne vestono gli abiti tradizionali neri (con decorazioni colorate) indossati in diversi modi: gonne lunghe, scialli, vestiti; le babbucce hanno diversi significati: quelle con i pom pom sono calzate dalle donne sentimentalmente libere. Approfittiamo della gentilezza dei commercianti e dei locali in genere per comprare prodotti di qui: dall’olio di argan cosmetico all’amlou, deliziosa crema di mandorle mista all’argan e al miele.
Compriamo inoltre abiti e babbucce dai disegni, colori e ricami berberi tra cui il simbolo Amazigh dell’uomo e della donna (quest’ultimo più difficile da trovare) liberi. L’artigianato tipico in questa regione permette di trovare prodotti originali o di migliore qualità come le mandorle e l’argan (quest’ultimo patrimonio dell’Unesco dal 2014). La sera rientriamo in albergo per riposare cercando di evitare di assistere al sacrificio del montone, pratica diffusa in tutto il Marocco in occasione appunto della festa.
L’indomani mattina, dopo un’ottima colazione, con msemmen, miele, amlou, té alla menta, pane, olio e marmellata di albicocca, partiamo per le gole di Aït Mansour, a una trentina di chilometri a sud di Tafraout. La strada è spettacolare con le montagne striate di rocce brulle e prive di vegetazione: un deserto roccioso che ci fa ricordare di essere alle porte del Sahara. Ci fermiamo a fotografare un paesaggio secco che scende dopo un passo montagnoso finché si individua un ammasso di palme: siamo nell’oasi incastrata nel canyon di rocce rosacee formata dall’ouad (fiume), in questa stagione praticamente secco. Nel punto più basso, dove ci fermiamo per esplorare a piedi i dintorni, seguiamo un fiumiciattolo che sbocca in un laghetto. I cartelli che avvertono del rischio di inondazione ci indicano che in questi anni di siccità devono essere rare ma violente. Restano pochi abitanti nei douar (villaggi) ma oggi è difficile incontrare anima viva soprattutto all’ora di pranzo quando sono tutti alle prese con l’arrosto di montone.
Risalendo la gola, continuiamo il circuito ad anello che abbiamo scelto per il nostro giro passando per una valle sempre più selvaggia: la strada diventa sterrata e non incontriamo nessuno per chilometri. Nel percorso vediamo tutta la fauna locale che la guida menzionava: la pernice, la cappellaccia (un uccello della famiglia delle allodole), il cosiddetto scoiattolo berbero e, sorprendentemente, un branco di gazzelle! Entusiaste di questo inaspettato safari, torniamo a Tafraout per riposare. Approfitto per un nuotata in piscina per rinfrescarmi dal caldo che qui si fa sentire parecchio. La sera ci godiamo il fresco nella terrazza dell’hotel les Amandiers, uno dei pochi ristoranti aperti in questo giorno di festa nazionale. Davanti a una buona grigliata di carne ripercorriamo le scoperte della giornata e commentiamo i paesaggi visti, l’incontro ravvicinato con le gazzelle, la pittura rupestre ma anche la piacevolezza del soggiorno in questa città così particolare. Gli amanti della montagna, scalate e arrampicate potranno trovare altri motivi per fermarsi qui, certo è che per noi è stata una boccata di ossigeno dopo la vita nella metropoli in cui lavoriamo e viviamo da mesi. E in più il viaggio continua…
P.
Grandissimi!
Grazie!
Splendido diario da uno dei luoghi più belli del Marocco ! Un’avventura nei colori della genuinità dei tempi dell’infanzia !
Brava Patrizia 👍 e’ sempre molto bello leggerti ‼️ buon divertimento
Grazie Pietro del tuo commento!
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