Cecilia Pescatori, Roma, Torvaianica
–Cecilia, vado a fare il bagno!- Una ragazzina sui dieci anni la avvisa
-Mi piacerebbe moltissimo andare sul SUP ma non so da dove si comincia- si lamenta una bagnante
-Cecilia, com’è il mare oggi?
-Mi aiuti con il pedalò?
Osservo Cecilia, indaffarata come tutte le mattine ad aprire gli ombrelloni, sorridere ai primi bagnanti, aiutare a fare scivolare in acqua le canoe e il pattino di cui è dotata la spiaggia.
Mi trovo a Torvaianica, località tra Ostia e Anzio, chiamata così per la Torre del Vajanico, voluta dai papi del 1500 per l’avvistamento e la difesa contro le incursioni dei pirati saraceni. Sono nel leggendario Villaggio Tognazzi. Conoscevo il Villaggio come teatro di sfide tennistiche e culinarie pubblicizzate sui giornali che leggevo da ragazza. Dall’agosto 1966 si organizzava un torneo, lo “scolapasta d’oro”, riservato alle celebrità dello spettacolo, interessate alle specialità di Ugo Tognazzi, il padrone di casa.
Quest’anno ho avuto la fortuna di soggiornare in una bella casa all’interno del villaggio e ho apprezzato moltissimo la località tranquilla dove i cartelli all’ingresso invitano a rispettare il gioco dei bambini tra le strade, e la bella spiaggia, unica per la ricchezza della macchia mediterranea, incastonata tra il mare e i colli Albani. Seduta in spiaggia osservo il mare, il tramonto è spettacolare visto da qui, anche Ugo Tognazzi diceva:” Nonostante abbia girato il mondo, i tramonti più belli li ho visti a Torvaianica”.
Cecilia è la bagnina della spiaggia di lago Misurina e accetta volentieri di raccontarsi per le ‘donne con lo zaino’. La sua è una vita da sportiva, lo si nota al primo sguardo per il suo fisico allenato. Mi racconta che ha cominciato con le gare di nuoto, in seguito con gare di salvamento, poi al rugby. Innamorata del rugby femminile ha incontrato il marito, anch’egli rugbista, papà delle sue figlie, che è tuttora allenatore delle ‘Zebre’ di Parma. Nel ’93, mi racconta, è vissuta da giugno a settembre in nuova Zelanda per giocare a rugby, il posto le è rimasto nel cuore, un luogo con pochi abitanti e con un clima molto simile a quello italiano. In Nuova Zelanda, mi dice, forse perché non c’è sovraffollamento le persone sono più gentili e disponibili.- Quando In nuova Zelanda entravo in un bus, era sempre mezzo vuoto, persino in fila alla posta si riusciva ad essere gentili, il prossimo non era considerato un nemico-. Separata, si occupa prevalentemente lei delle sue tre figlie. Cerca di gestire il suo tempo con le varie attività di mamma, lavoratrice e sportiva. Dopo il periodo del rugby e di altri allenamenti terrestri e marini ha cominciato a fare gare di SUP. Lo Stand Up Puddle, in acronimo SUP, è la dicitura usata per dire che si sta in piedi su una tavola e ci si sposta utilizzando una pagaia in acqua. Le gare si fanno col mare piatto o con le onde.
In estate Cecilia fa la bagnina da circa dieci anni, in inverno lavora in palestra con il fitness, negli ultimi tempi ha cominciato a lavorare con la ginnastica geriatrica funzionale. Quest’ultimo lavoro è nato per aiutare una conoscente, per poi consolidarsi ed estendersi ad un pubblico che via via cresce vista la passione e l’impegno che Cecilia dedica a chi si rivolge a lei. Oltre a tutto ciò, allena quotidianamente le sue figlie, una delle tre è entrata da poco nella squadra under 17 della Roma.
Le chiedo come ha cominciato a fare la bagnina:
Tutto è nato in concomitanza con un episodio di salvataggio. Separatami da mio marito, avevo conosciuto un uomo, sportivo come me, surfista, un vero” water man” che, a conoscenza della mia passione per il mare, mi ha spronato a fare il corso di bagnino. La mia famiglia ed io abbiamo una casa al villaggio Tognazzi, e poiché avevo bisogno di lavorare anche in estate quando le palestre sono chiuse, nel 2013 ho preso il brevetto di assistente bagnanti. Lui faceva il bagnino nella spiaggia accanto, io davo lezioni di surf, avevo appena preso il brevetto di bagnina ma ancora non lavoravo. Ero in spiaggia e lo osservavo mentre faceva surf. Ad un tratto l’ho visto cadere, nessuno si era accorto di nulla, solo io stavo guardando dalla sua parte e, capito che era stata una brutta caduta, non vedendolo riemergere, sono corsa verso di lui. Era col viso in acqua, non si muoveva, adagiato sulla secca che si trova a pochi metri dalla riva, cinereo. Ho avuto un’illuminazione: ho cominciato a trascinarlo verso riva ma, mentre lo facevo, insufflavo dell’aria nei suoi polmoni. Nel frattempo, sul bagnasciuga è arrivata altra gente e, mentre io continuavo a farlo respirare, il bagnino titolare della spiaggia faceva un massaggio cardiaco. Lui continuava a restare immobile, la caduta gli aveva causato una paresi totale. La grande ispirazione che ha potuto evitare danni irreparabili è stata quella di avergli dato subito aria. In quei pochi istanti ho ripensato a quando all’esame mi avevano chiesto: -In che occasione si dà aria prima del massaggio cardiaco? Mi è venuta in mente la mia risposta: -Durante un incendio o in mare. Dopo, quando è arrivato il 118, mi hanno detto che quella manovra lo ha salvato. Con l’elioambulanza lo hanno portato al Gemelli poi alla clinica Santa Lucia per la riabilitazione.
Le condizioni del mio compagno erano disperate, ed è cominciata una nuova storia per noi, per tre mesi abbiamo vissuto in simbiosi, arrivavo in clinica appena potevo e andavo via tardi. La svolta è stata quando è uscito dall’ospedale: era un atleta che muoveva a mala pena braccia e gambe con seri problemi di ipercinesi, spasticismo e afasia. Il mio amore non è venuto meno. Dopo un suo grande periodo di depressione è iniziato il nostro compito più grande: mi sono documentata, ho studiato il movimento neuromotorio, la riabilitazione e abbiamo adottato insieme un protocollo di allenamento efficace tanto da permettergli, dopo un annetto, di ricominciare a fare tutte le attività sportive di prima dell’incidente. Piano piano, con volontà e determinazione, è riemerso. La sua paura più grande era quella di non poter rientrare in acqua. Quel salvataggio mi ha fatto capire l’importanza di questo mestiere, qui in Italia nel fare i bagnini c’è più il concetto di assistenza alle persone. Mi è capitato spesso di andare ad aiutare con il pedalò chi non riusciva a rientrare per il vento, sono stati rari gli interventi di salvataggio, ma tocca essere pronti a tali evenienze. Devo ringraziare chi mi ha formato, la routine mi ha insegnato una sorta di pantomima per memorizzare meglio le azioni da compiere.Io non capivo l’importanza della simulazione ma proprio il ripetersi dei gesti mi ha permesso di affrontare la situazione. Ricordo come se fosse adesso quel sabato, pieno di gente che per lungo tempo mi ha fermato per strada per congratularsi. In quel periodo lavoravo al centro velico del marine Village, come istruttrice di surf, dopo avermi visto all’opera mi hanno assunto come bagnina al villaggio Tognazzi e ho iniziato un lavoro che mi ha salvato dal punto di vista economico. Sono laureata in scienze motorie, ho sempre lavorato in palestra ma a giugno le palestre si svuotano, perciò avevo bisogno di un’occupazione d’estate.
Lavoro al villaggio da dieci anni, forse questa sarà l’ultima stagione qui. Comincio ad essere stanca, ad avere meno forza fisica.
L’obiettivo futuro di Cecilia è quello di portare le sue ragazze verso l’indipendenza, la figlia più grande ha 21 anni poi ha due gemelle quindicenni. La grande ha fatto sport ma è più intellettuale, le piccole sono sportive come lei, una delle due è stata presa nell’under 17 della Roma. Ha giocato quattro anni nella Lazio facendo un grande campionato e la Roma l’ha scelta. Lei, pur romanista, era molto legata alla Lazio ed era preoccupata del cambio ma vogliosa di farlo. Il suo sogno è quello di fare la calciatrice e la Roma ha un settore giovanile forte.
Mi dice che le piacerebbe mettere uno zaino e partire, tra tutti i percorsi predilige la via Francigena, è un sogno che vorrebbe realizzare, cominciando dalla Francigena toscana. Nel suo zaino vorrebbe mettere un bel libro, la natura, il verde, per ora si divide come può:
La mia vita è doppia, da ottobre a maggio viviamo a Roma, il resto del tempo a Torvaianica. Nel 2021 ho provato a stabilirmi qui al mare, siamo stati bene da una parte, ma ero costretta a guidare per molte ore, io odio farlo, considero la macchina la mia condanna ma tra allenamenti e scuola ero tutto il giorno alla guida.
Il villaggio Tognazzi ha le caratteristiche che amo: mi sembra il baluardo della libertà, siamo isolati da tutto, ci sono poche famiglie.
I miei genitori si sono conosciuti qui e ci vivono dal 2000. Tutti si conoscono e io qui fuggo dai problemi, dalla città e dai pensieri, sono a contatto solo con il mare. Piano piano questa cosa si sta affievolendo ma in inverno si è ancora in pochi. Qui ho passato tutta la pandemia, dai primi di marzo ho preso le ragazzine e mi sono trasferita. Non c’era la vigilanza spietata della città, eravamo solo quattro famiglie, mi considero una delle poche privilegiate durante il lockdown ad aver vissuto nella calma e nella natura. Non lavoravo ma ho cominciato a fare giardinaggio appassionandomi all’orto, e poi alla pesca, talvolta cucinavamo ciò che pescavamo. Era un ritmo di ritorno alle radici, fatto di momenti lenti e indimenticabili. Molti ragazzi della mia generazione stanno valutando l’idea di trasferirsi tutti qui. Amiamo questo posto. Per ora le mie figlie fanno sport impegnativi ma conto un giorno di vivere nel villaggio per tutto l’anno.
Nel futuro vorrei lavorare con la ginnastica funzionale geriatrica. La mia idea è quella di restituire una nuova possibilità di movimento a chi l’ha perduto. Ho lavorato con ragazzi con problematiche motorie e mi piace l’idea di restituire loro la libertà. Quest’inverno ho seguito una persona appassionata di archeologia, si era ritirata con dispiacere dalla sua passione. Facendo alcune prove con esercizi mirati abbiamo raggiunto lo scopo in un paio di mesi. Era raggiante quando è tornata ai suoi siti.
Un’altra cosa che mi piace è lavorare con persone adulte che hanno paura dell’acqua e non riescono a nuotare. Una volta, un ragazzo che doveva andare in viaggio di nozze alle Maldive mi ha chiesto aiuto: appena entrava in acqua affogava, abbiamo lavorato sulla fiducia, sull’imparare a non fuggire ma a pensare alla bellezza dell’acqua, mi ritengo una motivatrice, mi piace infondere fiducia.
Mi dà soddisfazione ripensare alla strada percorsa.
Non solo una bellissima storia ma anche una motivazione di fiducia verso chi ha attraversato percorsi di sofferenza nell’assistere persone che poi non ce l’hanno fatta.
Stefano P