Savana e studio

Elisabetta N., Sudan-Roma

 

Elisabetta è nata in Sudan. Racconta di avere avuto il privilegio di nascere in una terra straordinaria, da due eccezionali genitori che le hanno insegnato ad amare la natura, con curiosità e profondo rispetto. Suo padre era ingegnere civile, si occupava di grandi opere in paesi in via di sviluppo, sua madre era medico. Le opere che il padre realizzava, nell’ambito di grandi consorzi internazionali, richiedevano tempo, energia e passione.

I suoi genitori avevano scelto di farla nascere in Sudan, caso molto raro tra le famiglie dei colleghi del padre; infatti le mogli, tipicamente al seguito dei mariti in missione, sceglievano abitualmente di tornare in patria, per far nascere i loro bambini. Sua madre invece, a vantaggio dell’unità familiare, è rimasta in Africa. Perciò le sue figlie sono nate, la prima nell’attuale Zimbabwe, Elisabetta in Sudan.

Elisabetta:

Durante i miei primi sei anni di vita sono stata a stretto contatto con la natura. Ricordo i paesaggi, i colori del cielo, gli odori di spezie in cucina, il profumo ma, soprattutto, il gusto della frutta. Il caldo era un elemento costante ed ostile, il rischio di disidratazione, soprattutto per i bambini, elevato. La semplicità e la libertà nell’abbigliamento era però un grande vantaggio, rispetto alle sofferte costrizioni dell’abbigliamento invernale di una città come Milano, dove ci recavamo per trovare i nonni. Data la mia tenera età, non potevo prendere parte a spostamenti interni importanti ma beneficiavo comunque delle esperienze intorno a me. Quando ero bambina, infatti, in Africa erano frequenti i safari durante l’anno. Purtroppo, non si trattava di escursioni fotografiche ma vere e proprie battute di “caccia grossa”. I miei genitori, quando sapevano che si stavano organizzando safari, raggiungibili dalle strutture dove abitavamo, partivano e andavano in cerca dei cuccioli rimasti orfani e li portavano a casa da noi. Avevano fatto costruire grandi recinti dove venivano cresciuti i piccoli orfani di varie specie, tra cui anche due leoncini! I cuccioli più piccoli venivano allattati personalmente da loro fino a quando, con grande dedizione e gradualità, potevano essere reinseriti in natura. Questa per me è stata un’esperienza unica, forte e meravigliosa. Percorrevamo insieme il giro delle gabbie tutti i giorni e, successivamente, nel tempo e nel vivere cittadino, ho compreso quanto eccezionale, ricca ma, a volte, anche pericolosa, fosse tale esperienza. Dal punto di vista sociale, mi sono resa conto sempre più consapevolmente che si poteva e doveva fare qualcosa. Spesso è difficile impedire eventi ingiusti, quali la discriminazione, la prevaricazione, la caccia indiscriminata ma questo non esime dall’agire, per quanto possibile, senza restare passivi o rassegnati. Molte vite sono state salvate da loro in quegli anni, e sono profondamente grata per avere visto, e poi condiviso, l’insegnamento di non stare a guardare ma di agire, per quanto poco possa apparire.

Elisabetta racconta che si emoziona sempre quando rivede il film “La mia Africa”, ripensa ai suoi primi anni, alla vita complessa ma ricca di stimoli:

Abitavamo in mezzo alla natura, in infrastrutture costruite ad hoc in prossimità del cantiere: case, strade, scuole e ospedali dedicati al personale venuto dall’estero. In Sudan il caldo rappresentava una sfida estrema: in alcuni mesi la temperatura era regolarmente sopra i 40 gradi di giorno e 30 di notte, poi la stagione delle piogge che modificava completamente le attività lavorative. Il clima era molto faticoso per gli europei e molti sono rientrati prima del tempo in patria per motivi di salute. Mia madre ha scelto di restare a fianco di mio padre in Africa per dodici anni: non ho memoria di altre coppie che abbiano resistito così a lungo in quei luoghi. Le amicizie familiari tessute in quegli anni hanno rappresentato una grande ricchezza. A fine attività, amici sparsi in vari paesi da andare a trovare e con i quali mantenere i contatti.

La mamma aveva scelto con decisione di seguire il marito, di vivere l’esperienza in Africa, anche rinunciando al suo ottimo lavoro, pur essendo e rimanendo una donna indipendente. Andando al seguito del marito ha prestato gratuitamente la sua competenza medica con azioni di volontariato. Rimanendo autonoma rispetto alle strutture ospedaliere locali, ha esercitato comunque il suo lavoro, dedicandosi alle tante persone che si rivolgevano a lei. Anche allora l’Africa era tormentata da conflitti, continue rivolte, instabilità politica e problemi, si viveva in realtà che richiedevano grande attenzione e prudenza per chi, straniero, lavorava in loco e per le famiglie al seguito.

Mamma, come persona e medico, ha dato un grande contributo alla comunità dove vivevamo. Riusciva ad entrare in sintonia con le persone del posto, vincendo la diffidenza, specialmente contro le donne. Lo faceva guadagnando la fiducia delle persone, un po’ alla volta. Entrava in relazione con un approccio cauto, con dedizione e pazienza. Si occupava soprattutto delle donne: spesso madri trascurate o disperate con figli in condizioni spesso pietose. Riusciva ad intervenire, a tranquillizzarle, ad essere credibile, senza dare false speranze.

Quando ha compiuto sei anni Elisabetta ha iniziato il ciclo scolastico della scuola primaria in Italia. Sua sorella era alle medie e sarebbe stato complicato per lei continuare gli studi nelle scuole internazionali, il suo rendimento scolastico avrebbe risentito, con il tempo, della mancanza di basi grammaticali di Italiano. Inoltre, è faticoso inserirsi in un nuovo contesto scolastico, ogni qualvolta si cambia destinazione. Comprese le oggettive difficoltà nel percorso educativo delle figlie, si concretizza il rientro in Italia della mamma e delle bambine; prima a Milano e poi a Roma, raggiungendo il padre, ogni qualvolta lo permetteva il calendario scolastico.

Papà ha continuato a viaggiare in altre realtà e noi, appena possibile, con lui: Australia, Sud America… Lo andavamo a trovare a scuole chiuse, e quei viaggi ci hanno dato l’opportunità di conoscere luoghi lontani e misteriosi con l’approccio di chi si ferma a lungo ed entra in contatto intimo con la cultura e le tradizioni del paese in cui si reca. Io intanto studiavo con passione e pianificavo di stabilirmi in Svizzera da dove discende il ramo familiare della nonna paterna, il mio trasferimento presso la famiglia di uno zio già organizzato, il mio inserimento professionale definito. Amo molto la Svizzera, la ricchezza della natura, la presenza di verde e di acqua, la precisione organizzativa. Purtroppo, poco prima della mia partenza, mia madre si è ammalata e ho rivisto le mie scelte. Ho quindi studiato presso l’Università La Sapienza di Roma dove mi sono laureata in Geologia, iniziando poi a lavorare presso l’Università, la scuola e Telespazio, azienda di riferimento nelle tecnologie spaziali, rivestendo un ruolo tecnico. Successivamente sono entrata nel settore ricerca e sviluppo aziendale: eravamo circa ottanta laureati in facoltà scientifiche, tutti protesi a ricercare e realizzare applicazioni innovative con i dati satellitari (decisamente prodromici dei big data) che ancora oggi, migliorate, si utilizzano. 

In seguito alla nascita del mio primo figlio ho cercato percorsi professionali che mi consentissero una maggiore continuità su Roma e una migliore flessibilità organizzativa. Ho deciso così di frequentare un Master in Business Administration MBA che mi ha avvicinata ad un percorso manageriale, maggiormente orientato al miglioramento e controllo dei processi interni.

Cambiare è stato impegnativo: aspetti finanziari, organizzativi, normativi, procedurali mi erano essenzialmente sconosciuti, ma la motivazione al cambiamento ha prevalso ed, alla fine, mi sono appassionata ai nuovi contesti. Da allora ho affrontato numerosi cambiamenti, contribuendo con soddisfazione all’introduzione in azienda di nuovi processi, al consolidamento di nuove attività, al rinnovamento culturale (bella sfida!), anche in un’ottica di confronto internazionale. Ho sempre lavorato in realtà che operano in un mercato sovranazionale e ciò mi ha consentito di conservare e sviluppare un punto di vista più ampio. 

Consiglio ai giovani e a chiunque sia interessato ad una carriera manageriale, l’esperienza del viaggio e del confronto culturale: nel tempo una visione esclusivamente locale, non paga. L’esperienza internazionale infatti, se vissuta con profondità, apre la mente e, dovrebbe, il cuore.

Come persona e come donna, ho sempre ricercato l’indipendenza. Valore fondamentale appreso in famiglia. Per noi figlie, l’indipendenza era un chiaro obiettivo. Avere un compagno con cui condividere il percorso della vita è una possibilità, ma economicamente è importante essere autonome. Mai accettare compromessi per necessità economiche. Mia sorella è diventata medico, io mi sono laureata in Geologia, scegliendo quella facoltà proprio per la passione per la natura e l’ambiente, nata in me grazie all’educazione familiare ed agli ambienti meravigliosi che mi hanno circondato da bambina sin dalla nascita. Ho scelto l’indirizzo di difesa ambientale quando ancora non se ne parlava, era lontana dal diventare un patrimonio condiviso e troppo spesso, una moda, superficiale come un velo di trucco. Invito tutte le giovani a scegliere qualcosa che possa realizzarle e renderle autonome: cimentatevi senza paura in facoltà scientifiche, fatevi apprezzare per il contributo che porterete in ogni segmento scientifico e di vita.

Parlando di razzismo, Elisabetta afferma che spesso questo ha terreno fertile nell’ignoranza e nella diffidenza, è fomentato per scopi economici e di predominio sociale, rendendo giustificabili crudeli atti di violenza. È necessario percorrere strade di vicendevole rispetto che comprendano la consapevolezza delle differenze culturali, valoriali e di prospettiva. Un supporto allo sviluppo in loco di opportunità, stabilità e benessere, seppure realizzabile in tempi di medio respiro, è la strada più efficace per un mondo sostenibile. L’incontro richiede reciprocità, apertura, consapevolezza sui mutui benefici nell’interazione. In presenza dei presupposti, si impara da tutte le persone che si incontrano nel mondo: qualunque sia la loro posizione geografica e sociale, dal capotribù al pastore, senza arroganza: entrambe le parti ricevono. In assenza di reciprocità tuttavia, vi è fallimento. La cooperazione non è, di per sé, unilaterale.

In quanto donna Elisabetta ha dovuto affrontare varie ostilità. Al corso di laurea universitario erano solo cinque ragazze, quando ha iniziato a lavorare in azienda le donne erano, e sono tutt’oggi, una esigua minoranza. Sono presenti discriminazioni e la parità, nelle opportunità e nella retribuzione, è ancora lontana, nonostante oggettivi miglioramenti, dovuti principalmente a spinte esterne. Per fortuna ha incontrato anche colleghi sapienti, con i quali è un onore lavorare. La parità si otterrà grazie al lavoro comune, di donne e uomini illuminati che si impegnano sul tema, con costanza. 

A livello individuale, lei è riuscita a conciliare positivamente la famiglia ed il lavoro: con fatica, tenacia ed avendo chiare le priorità.

Sono riconoscente e felice di aver vissuto anni all’estero ma per i miei figli ho cercato una maggiore stabilità, da un lato l’apertura del viaggio è ineguagliabile, dall’altro c’è un prezzo da pagare in termini di amicizie, consuetudini, lingua. Ogni cambiamento è caratterizzato dal desiderio di conoscere, di cimentarsi, di imparare ma anche dal lasciare alle spalle un pezzo di te. 

Con mio marito ci siamo stabiliti a Roma ma la dimensione del viaggio è sempre rimasta e con i figli abbiamo viaggiato, dai primi mesi della loro vita. Si sono abituati subito e non è mai troppo presto perché il bambino apprenda viaggiando. Ho vissuto l’essere madre come uno stimolo per dare il meglio di me nella vita, nel lavoro, con le persone che incontro. Un figlio ti spinge ad attraversare dei limiti che non avresti mai pensato di superare, è una straordinaria motivazione alla crescita, nella vita e nel lavoro. Quando è nato il mio primo figlio ho chiesto di limitare i viaggi, con l’intento di rendere il mio lavoro più conciliabile con la famiglia. Volevo essere una madre presente, perciò mi sono riconvertita professionalmente, cambiando radicalmente ambito professionale per declinare le mie priorità e mantenere l’impegno sul lavoro. Ho ricominciato partendo dal gradino più basso e ho ripreso il percorso lavorativo; come in un gioco dell’oca, ripartendo dalla prima casella, ma questo mi ha insegnato a non avere paura di cambiare. 

Nei passaggi cruciali, mio padre è stato un faro illuminante: mi ha sempre incoraggiata, insegnandomi l’importanza dell’onestà, della tenacia, della lealtà, del mantenere la parola data. Ora che il suo percorso terreno si è compiuto, abbiamo raccolto il suo testimone, la sua eredità morale e il modello di vivere in pienezza di intenti. Gli ultimi anni della sua vita li ha vissuti con noi. È stata una presenza preziosa per ciascuno, in particolare per i miei figli, che hanno appreso da lui, saggezza di vita e passione per la natura. 

L’amore per il viaggio unisce molto la famiglia di Elisabetta, adesso che i figli sono grandi, lo sperimentare un viaggio insieme è sempre un avvenimento impagabile, un ricordo indelebile: Nei viaggi amo conservare dei posti del cuore dove tornare, scoprendoli con occhi nuovi. Spesso è da lì che pianifico nuove mete e programmi. La vita è prodiga di alti e bassi ma la condivisione in un viaggio è unica. Lo scorso anno siamo andati sui ghiacciai alpini della Svizzera e l’esperienza vissuta, l’immensa bellezza, rimarrà con noi e non potrà mai esserci tolta.

Concludo l’intervista a Elisabetta ponendo l’usuale domanda sull’ipotetico zaino da riempire/svuotare: 

Se dovessi preparare uno zaino, sarebbe leggero. Credo che occorra imparare a liberarci dal superfluo che ci dà una finta sicurezza. Portiamo con noi l’essenziale. L’essenziale è rappresentato dagli affetti e dallo stupore e lealtà nell’affrontare la vita.

R.

 

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

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