Al cinema alla Soho House di Roma
Perché l’accoppiamento Piggy- Barbie del titolo? Sono due film che parlano di donne, protagoniste delle due pellicole che ho visto a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Entrambi sono film che ho scelto di vedere perché, sollecitata da mio figlio, socio del Soho House di Roma, non ho voluto declinare l’invito in quanto la saletta cinema del club è un vero gioiello: quarantadue comode poltrone dove ci si immerge totalmente in un’atmosfera da veri cinefili. I film sono scelti sapientemente in una sana alternanza di generi e di epoche.
Piggy è una storia che parla di bullismo e violenza, strizza l’occhio a più generi, dall’horror al drammatico, allo psicologico. È un vero pugno nello stomaco, c’è sangue e delirio e molto altro, talvolta anche humour. Il film, diretto dalla spagnola Carlota Pereda, racconta di una ragazza sovrappeso che lavora nella macelleria dei suoi genitori. La telecamera passa dall’inquadrare i maiali e pezzi sanguinolenti di carne, a lei che, triste e grassa, trova il solo conforto nelle merendine e nei cibi spazzatura che mangia di nascosto dai suoi. Piggy è una ragazza emarginata, bersaglio continuo delle critiche dei suoi genitori e degli insulti dei ragazzi e delle ragazze che la fotografano di nascosto mentre lavora circondata dai pezzi di carne cruda, per poi postare quelle immagini su Instagram. Un giorno Piggy, recatasi nella piscina locale, viene derisa e infine quasi affogata dalle sue amiche che le ruberanno i vestiti. Sara in quella occasione incontrerà lo sguardo di uno sconosciuto e sarà la testimone del rapimento delle ragazze. Camminando verso casa in costume da bagno incrocerà il rapitore che le offrirà un asciugamano per coprirsi : è la prima volta che qualcuno mostrerà un po’ di gentilezza nei suoi confronti e lei ignorerà le richieste che dal furgone le faranno le tre ragazze. Piggy ha per protagonista un’antieroina così disperata da accettare l’affetto di un serial killer.
Non voglio qui svelare la trama ma raccomandare la visione del film che mantiene per tutta la sua durata un senso di sconforto e di pericolo costante. Piggy è un film sul desiderio, quello dell’altro, dello sguardo altrui, ma soprattutto quello di essere, se non amati, accettati.
Cambiando continente arriviamo a Barbie, una bambola nata nel 1959 a Willows, nel Wisconsin. È la bambola più venduta al mondo, cara a più generazioni di bambine per il suo aspetto glamour e per la vasta gamma di abiti e accessori di cui è fornita.
Il film Barbie, appena uscito, ha portato al cinema molti spettatori, tra cui tantissime bambine. La celebre bambola, impersonata sul grande schermo da Margot Robbie, spinge lo spettatore a riconsiderare la propria concezione delle norme e delle aspettative della società. Parla della rivolta dei Ken che vivono solo di riflesso alle loro compagne, e cercano un ribaltamento dei ruoli. Barbie è stata da sempre celebrata come giocattolo per le bambine. Io non amavo tale personaggio, mi riusciva difficile immedesimarmi nella sua bellezza eterea, nelle lunghe gambe, nei liscissimi capelli biondi. La consideravo veicolo di sballati messaggi di ideali consumistici e di femminilità. Il film vorrebbe rovesciare tale concezione, parlando di Barbie come di un’icona femminista, data la presenza nel suo parco giocattoli di bambole che ricoprono diverse professioni e ruoli. Nel corso degli anni Barbie è stata infatti una dottoressa, un’astronauta, un’insegnante, una chef, un’atleta, una presidente, e altro ancora, con l’obiettivo di ispirare le bambine a sognare in grande. Ci sono Barbie di tutti i colori e, da qualche tempo, di misure che esulano dalla small della ’Barbie stereotipo’ dei primi tempi.
Ho trovato il film melenso e pieno di luoghi comuni, ho apprezzato la bravura ed i balletti di Ryan Gosling ma non ho colto nessun vero messaggio di rivolta. Non si tratta di ribaltare i ruoli ma di costruire una nuova identità dove non ci siano capi né gregari. Certo, Piggy e Barbie sono agli antipodi, ma entrambe sono vittime dei dettami dell’apparire.
R.
Bell’articolo specie nella capacità di trovare un filo conduttore in due film molto diversi
Stefano P