Qualche anno fa stavo organizzando uno scambio casa per trovare un soggiorno al mare vicino alla mia amica Sonia che vive a Grosseto: volevo passare qualche giorno con lei e far scoprire ai miei figli, tornati dall’estero, un pezzetto della splendida Italia che amo: il Parco dell’Uccellina. Non era una ricerca facile trovare in piena estate una sistemazione al mare in un luogo turistico, proprio nella zona che desideravo, considerando che in Italia il concetto di scambio casa non era ancora molto conosciuto.
Alla mia proposta mi risponde entusiasta Denise, un’italo-brasiliana che accetta di scambiare la sua casa a Principina a Mare con il mio appartamento parigino, gatta inclusa. Decidiamo di conoscerci prima e organizziamo un caffè anche con il marito che sarebbe restato in Italia durante il suo soggiorno oltralpe: “É lei l’appassionata di viaggi”- spiega, mentre Denise mi conferma che sarebbe partita con sua figlia Martina e sua cugina con le quali condivide l’amore per le lingue e l’insaziabile curiosità di scoprire altri luoghi.
Dopo quella fantastica estate siamo restate in contatto e ci siamo riviste recentemente mentre pianificava il semestre parigino per Martina, ormai liceale. Arriva all’appuntamento con il suo giubbotto di pelle, il casco da motociclista ed un sorriso aperto e gioviale; le chiedo di parlarmi della sua storia personale. Con la grande capacità comunicativa che la caratterizza, racconta di essere nata in una tipica città all’interno di San Paolo in una famiglia di emigranti italiani veneti – il padre di Trento e la madre di Treviso – con parenti rovignesi e padovani:
Nella mia città c’è un retaggio familiare di 150 anni fa con la genealogia delle famiglie emigrate: si parla portoghese con accento veneto e capita che qualcuno chieda –Di chi sei figlio?- Mi sono quindi interessata alla storia della mia famiglia in Brasile e in Italia: i miei bisnonni sono partiti dal Veneto, a fine Ottocento. Hanno subito prima una pandemia di febbre gialla poi di colera. Anni dopo è arrivata la terribile influenza spagnola ma loro sono sopravvissuti a tutto. Erano agricoltori in Italia e lo sono stati in Brasile anche se lì hanno dovuto riconvertirsi alle colture diverse: non conoscevano il caffè e la canna da zucchero e neppure la lingua del Paese. La famiglia di papà è stata più fortunata: avevano venduto la terra in Trentino per pagarsi il biglietto per l’America. La famiglia di mamma invece si era rivolta ad un intermediario che assicurava il lavoro al loro arrivo ma erano costretti a rimborsare il debito al padrone in una spirale di dipendenza in cui sono stati oggetto di speculazione, come molti emigranti di allora e di oggi.
Denise racconta poi che, successivamente, negli anni della seconda guerra mondiale la situazione per gli italiani tornò ad essere difficile; il Brasile era alleato agli Stati Uniti quindi giapponesi, tedeschi ed italiani furono chiusi nei lager in Amazzonia. Già durante la prima guerra mondiale i trentini e i tirolesi erano considerati austriaci dunque oggetto di razzismo e comunque era proibito parlare altre lingue oltre al portoghese:
Alla fine della guerra, con la caduta dell’impero austro-ungarico e il passaggio all’Italia dei territori di origine dei nonni, questi avrebbero dovuti recarsi al consolato per chiedere la cittadinanza italiana ma non sapevano nulla, lontano com’erano dalla burocrazia e dai fatti politici. Furono così considerati apolidi, come scoprirono in seguito.
La comunità degli emigranti restava chiusa tra i compaesani dello stesso paesino da dove si era emigrati insieme e così si parlava solo il dialetto trentino fino alla scuola elementare e comunque fino al ’38 quando fu proibito parlare altre lingue.
Denise appartiene alla terza generazione di questi emigranti, cresciuta in una città, ma afferma che questo retaggio di emigrazione forgia una mentalità per la quale la comunità è come se vivesse una generazione indietro all’Italia: …per una donna era ammesso studiare per avere come massimo possibile obiettivo, quello di diventare insegnante mentre io volevo diventare agronoma. Per fortuna abbiamo avuto dei vicini svizzeri che mi hanno aperto ad un’altra lingua e cultura. Ho capito che esistevano orizzonti più ampi, l’Europa. I miei hanno avuto fiducia in me e sono partita come studentessa fuori sede alla facoltà di Agraria dove mi sono laureata.
Parliamo un po’ del sistema educativo brasiliano la cui evoluzione ha seguito le vicende storiche dei cambiamenti politici. Già dell’epoca dell’Imperatore Don Pedro II (oppure VI come Re di Portogallo) si insegnava, nelle scuole superiori, il francese e, nei corsi di laurea, l’italiano, il tedesco ma non l’inglese. Poi, negli anni Sessanta, ci fu l’influenza nordamericana e Denise, dopo aver studiato il francese nella scuola media, imparò l’inglese che divenne obbligatorio anche se non sempre ben insegnato dagli ex insegnanti di francese. Riuscì in seguito a superare la selezione per entrare alla facoltà di Scienze Agrarie durante la crisi economica e l’ondata emigratoria di giovani:
Avevo molti amici giapponesi, italiani, portoghesi e la maggior parte è emigrata negli Stati Uniti o in Europa grazie al loro altro passaporto con la seconda nazionalità: è stata la generazione dei brasiliani sparpagliati nel mondo. Io ottenni una borsa di studio dal Ministero degli Esteri Italiano per venire a studiare a Viterbo dove ho imparato la lingua ed assorbito la cultura attuale. Ho poi cercato disperatamente di lavorare come agronoma in progetti di sviluppo che il Brasile aveva all’estero, in Angola, in Mozambico, ma ho trovato una resistenza nell’impiegare donne. Ho chiesto allora il riconoscimento dei titoli in Italia, prima la maturità liceale poi la laurea ma per questo ho dovuto ricominciare gli studi perché le colture della zona temperata e dell’emisfero sud sono diverse da quelle che avevo studiato, le stagioni sono invertite e ci sono altre colture fruttifere. Ho poi continuato con un dottorato di ricerca: dormivo all’università e intanto mi mantenevo con lavori all’interno della facoltà o con quello che capitava anche facendo la cameriera. Purtroppo non ho potuto utilizzare il mio dottorato in biotecnologie e miglioramento genetico vegetale perché questo settore non era sviluppato in Italia, oltre al fatto di venire discriminata come donna e straniera.
Denise pensa allora di tornare in Brasile ma la sua relazione con Paolo, il suo futuro marito, la trattiene. Decidono di fondare una famiglia e hanno André quando Denise ha quarant’anni e, dopo tre anni, la loro seconda figlia, Martina. Nel frattempo Denise scopre di avere un cancro dell’utero al quarto stadio; si trova così ad affrontare la maternità e la malattia contemporaneamente:
Martina è nata all’ottavo mese di gravidanza e subito iniziai gli accertamenti. Accettai la proposta della dottoressa che mi seguiva di diventare l’oggetto della tesi di laura di una sua studentessa in medicina. Dopo un intervento durante la gravidanza e il parto, gli esami mi davano per guarita. Mi è stato difficile adattarmi ad un sistema sanitario diverso da quello in cui sono cresciuta. Devo dire che sono stata in cura da una dottoressa croata, anche lei con lo zaino, e ci siamo capite subito. In Brasile il medico parla tanto con il paziente e si dimostra empatico perché si crede che l’ascolto è una fase fondamentale per la diagnosi. Qui i medici mi sembra che siano più obbligati a seguire i protocolli e non abbiano il tempo di ascoltare e molto meno di spiegare.
Insieme alla famiglia Denise si traferisce a vivere a Roma ma trova che la vita con dei bambini non sia facile nella capitale. Ha sempre cercato di far crescere velocemente i figli per poterli educare lei stessa che avvertiva il suo futuro incerto. Li ha spinti fin da piccoli ad essere autonomi e responsabili e questo a volte cozzava con la mentalità dell’ambiente intorno a loro. Ha trasmesso loro anche la passione per le lingue e per i viaggi. Giovanissima, Denise capisce che la chiave che apre nuovi orizzonti e opportunità nella vita è parlare più lingue. S’iscrive ad un corso di francese al Centre Saint Louis di Roma ed ai figli consiglia il liceo linguistico. Insieme viaggiano dove possono praticare le lingue, in uno stimolo costante ad incontrare altre culture:
Hanno imparato a rifuggire il razzismo e il classismo. Penso che se i giovani fossero educati alla comprensione degli altri che viene dalla conoscenza, dall’incontro, dal poter comunicare, ci sarebbero meno conflitti. L’esempio è importante: i miei figli vivono l’intercultura con me che ho amiche di diverse nazionalità: una inglese, una cinese sposata con un italiano, un’altra nata in Zambi,. Siamo tutti figli o nipoti di emigrati e questo ci dovrebbe aiutare a capire chi è costretto a fuggire o spostarsi per cercare una vita migliore come hanno fatto i nostri nonni. Molti non si rendono conto della Storia e guardano solo il posto dove appoggiano il loro piede. Ma il mondo è una strada dove tutti hanno diritto di poggiare i piedi.
Le chiedo poi della sua passione per la motocicletta, come è nata e cosa rappresenta per lei, viaggiatrice intraprendente. Mi racconta che questo amore per le due ruote l’accompagna fin da bambina: quando suo padre comprò una moto, lei aveva dodici anni:
A sedici ho imparato a guidare il camion perché papà diceva che si doveva imparare a rispettare il traffico cominciando con i mezzi più pesanti, poi insegnò a me, mio fratello e mia sorella a guidare la macchina e solo dopo ci ha permesso di portare la moto. Mi diceva: “Adesso, quando guidi la motocicletta, sai cosa passa per la testa di chi guida un camion mentre chi ha imparato a guidare solo la moto non sa cosa aspettarsi dall’altro”. Guido da quando avevo diciassette anni ma Paolo resisteva al mio desiderio di guidare la moto per timore. Ha ceduto sei anni fa; l’ho rassicurato perché mi sono appoggiata ad un gruppo femminile di motocicliste, le Motoscapigliate. Con questo gruppo ho iniziato a fare viaggi e a stabilire diverse amicizie: siamo state in Provenza, Costa Azzurra, Albenga, nella costiera Amalfitana, ma anche nei dintorni di Roma. E naturalmente non parliamo solamente di meccanica ma anche di cose di donne; è un modo di vedere il motociclismo al femminile.
Prima della pandemia Denise ha lavorato negli Stati Uniti come consulente per un’azienda di produzione industriale di piante in laboratorio come le erbe terapeutiche. La micropropagazione di questo programma prevede che gli agricoltori possano coltivare la marijuana per ricavare CBD e THC in un circuito in cui lo Stato prende il 50% dei profitti attraverso punti vendita come i negozi statali al fine di supportare le politiche agricole, contrastare il racket mafioso delle droghe pesanti e finanziare le cure per i tossicodipendenti:
Lavorando in questa azienda mi sono accorta di quanto sia cosmopolita il mondo della ricerca americana: dagli operai messicani alla mia dirigente svedese, i colleghi brasiliani e di altre origini. In genere vengono impiegati ricercatori stranieri che offrono, con le loro formazioni diversificate e ricche pagate dai Paesi di origini, punti di vista diversi per arricchire il brainstorming dei progetti di ricerca.
Tra viaggi in moto, gli scambi casa da gestire tra Capri, Principina a mare, il lago di Bolsena dove ci sono turisti da accogliere nel loro agriturismo e la famiglia, Denise ha una vita densa ma, quando le chiedo dove si vede nel futuro, esita un momento, poi spiega:
Non so cosa farò quando i figli partiranno; in Italia mi è stato precluso un mercato di lavoro in quanto donna e per politiche economiche lontane dalla mia formazione. Ma vedo che non è facile in Italia neanche per le donne anche in altri settori come le artigiane né per le microaziende. D’altra parte anche in Brasile non mi vedo tornare per realizzare una carriera…Forse sono ancora alla ricerca di un Paese dove andare a vivere in futuro. Recentemente sono stata in Transilvania, in Romania, ed ho visto che ci sono più incentivi con investimenti tedeschi per lo sviluppo del mio settore. Le persone sono tutte bilingue e questo dispone ad una mentalità più aperta. Naturalmente adoro il Portogallo e il Belgio dove vivrei volentieri…
Oltre al lavoro e alla ricerca di Paesi interessanti per vivere, Denise ha, tra i suoi progetti futuri, quello di scrivere un diario e riportare le tante letture, in altre lingue, tratte dalla ricca biblioteca ereditata dai bisnonni di Paolo: un altro modo di viaggiare che la porta in epoche e luoghi lontani e diversi perché il mondo è una strada dove Denise poggia i suoi piedi mai fermi, il suo cuore aperto e la sua mente brillante.
P.