Nicole, Roma, Barcellona, Losanna, Dakar
Ho conosciuto Nicole cercando un alloggio a Ngor, villaggio di pescatori alla periferia di Dakar. Dopo alcuni messaggi scambiati mentre ero a Parigi e lei nella capitale senegalese, ci siamo accorte di avere molto in comune tra cui la città di nascita, l’amore per i viaggi ed una filosofia di vita riassunta nelle due parole latine carpe diem che lei esibisce tatuate sul braccio:
Colgo tutti gli attimi della vita, vivo il presente perché ho capito che tutto può cambiare in un momento. La vita mi ha insegnato a sapermi adattare; anche se mi trovo a progettare il futuro, so che non è detto che il corso degli eventi seguirà ciò che mi sono prefissata. Inoltre ho bisogno di cambiamento, di superare i miei limiti cercando continuamente di migliorare: mi nutro di conoscenza, voglio sempre imparare, aprirmi ad altre culture.
Nicole è nata e cresciuta a Roma, lì ha studiato e ha svolto diversi lavori anche contemporaneamente: è stata, tra l’altro, segretaria amministrativa e istruttrice di nuoto. Fin da bambina pensava di diventare investigatrice di polizia: era attirata da quel mondo grazie ai film ed alle parate a cui assisteva, tra moto e divise. In quegli anni, era il 2006, non c’era il concorso civile ma si poteva entrare come militare. Decide così di arruolarsi un anno nell’esercito ma alla fine pensa di assecondare quella voglia che da sempre aveva di lasciare l’Italia e di cambiare vita completamente:
Non volevo una vita ‘standard’ e così, a ventisei anni, ho pensato di partire. Ero indecisa tra Londra e Barcellona e pensavo di passare un fine settimana nelle due città per capire quale mi attirasse di più. Sono partita per Barcellona e ho deciso subito che mi sarei trasferita in questa città solare. Non conoscevo nessuno e mi sono sistemata in un hotel appena arrivata; poi ho trovato lavoro in un bar e un appartamento in affitto. Sono rimasta nella città catalana quattro anni facendo diversi lavori fino alla grave crisi economica del 2009. Nel frattempo avevo conosciuto il mio futuro marito, un italo-spagnolo nato e cresciuto in Svizzera. Abbiamo organizzato il matrimonio a distanza perché volevo sposarmi a Roma ma poi siamo partiti a vivere a Losanna, un porto sicuro per le prospettive di lavoro.
In Svizzera Nicole deve ricominciare una nuova vita, imparare una nuova lingua, adattarsi ad un clima ed una vita sociale diversi da quelli mediterranei. Riprende il suo lavoro di segretaria e, dopo il divorzio, aggiunge un nuovo lavoro nel fine settimana in un hotel del centro: la vita in Svizzera, si sa, è molto cara. Passano dodici anni che lei descrive così:
Mi sembra di aver vissuto in una clessidra senza più sabbia o in una di quelle palle di neve, souvenir dai vari luoghi nel mondo. Ho l’impressione di aver trascorso tutti questi anni in cui il tempo sembrava si fosse fermato, come se fossi stata sospesa in un limbo, eppure mi sono accadute tante cose…
Siamo sedute di fronte all’oceano e la conversazione fluisce, i racconti diventano più intimi. Nicole svela il nodo intorno al quale la sua vita si è aggrovigliata per più di un anno per poi dipanarsi nella scelta di separarsi, per generosità, da suo marito – suo vero amore della vita- e di ricostruire un’altra sé. Quando si è accorta di non potere avere i figli che desiderava per coronare il sogno di fondare una famiglia, si sottopone a diverse cure senza successo. Per chi ha vissuto questo percorso così difficile, sia dal punto di vista fisico che psicologico, sa quanto l’equilibrio personale e quello relazionare di coppia vengano facilmente messi in crisi. Anche per Nicole, che vede nel frattempo il suo corpo trasformarsi per gli ormoni assunti, non è facile accettare la situazione anche perché, in aggiunta, inizia a soffrire di endometriosi. Subisce due operazioni di cui una, per errore medico, le toglie definitivamente la possibilità di tentare nuovamente una gravidanza assistita. A quel punto, matura la decisione di partire e lasciare al marito la possibilità di diventare padre, cosa che accadrà tempo dopo allietando Nicole che ha mantenuto con lui un bel rapporto di amicizia:
Avrei potuto fare causa al luminare che mi ha operato senza avvisarmi dell’intervento che aveva fatto ma mi hanno fatto capire che sarebbe stato difficile vincere una causa contro di lui; io nel frattempo mi ero lanciata in altri progetti. Con il mio ex marito eravamo andati a fare un viaggio in Kenia nel 2015 e visitato un orfanotrofio. È stata l’occasione per me di voltare pagina e aprire un nuovo capitolo della mia vita. Ho capito e visto che ci sono altre realtà oltre le nostre vite, a volte molto crude, e che conosciamo spesso sola da dietro uno schermo. Quando poi si vedono concretamente si sente un vero e proprio pugno nello stomaco e non si può restare indifferenti a meno di decidere di vivere in una bolla come fanno molti espatriati qui. Da quel viaggio tornai cambiata, avevo fatto tesoro dell’esperienza. Presi poi la decisione di separarmi: io mi sentivo morta nella relazione di coppia, inoltre sapevo che non sarei mai riuscita ad accettare di privare mio marito della gioia della paternità: sapevo che sarebbe diventato un bravissimo padre.
Nicole decide di dedicarsi a progetti umanitari con l’infanzia al centro dei loro progetti. Parte così per una prima missione a Dakar, poi una seconda che la porta a lavorare tre mesi in un asilo d’infanzia prendendo un periodo di congedo:
Ho preso poi contatto con l’associazione ‘La Maison des enfants d’Awa’ a Diofior, nella regione di Fatick nel Saloum dove la direttrice stava lasciando il suo posto e cercava chi la sostituisse: era esattamente quello che desideravo! Un paio di mesi dopo, in ottobre, mi trasferisco quindi a lavorare presso la Maison al ‘Centre d’accueil des enfants defavorisées’ dove si assicurano le lezioni, un pasto e anche delle cure a trenta bambini, ugualmente divisi tra maschi e femmine. Il primo anno di vita nel villaggio è stata come una terapia per me; io pensavo di aiutare loro e invece sono loro che mi hanno aiutato: è stato un percorso intenso di costruzione di una nuova me. Mi sono adattata a condizioni di vita molto spartane anche perché nel frattempo è arrivata la pandemia e tutto è diventato più difficile. Come potevo pretendere che si lavassero le mani a ogni contatto come raccomandato quando non c’era acqua? Il pozzo si seccava e l’elettricità andava spesso via, insomma davvero una vita quotidiana molto difficile da affrontare.
Dopo tre anni passati nel villaggio Nicole capisce che la sua missione poteva dirsi conclusa e lascia il posto ad una volontaria con cui aveva lavorato negli ultimi mesi in una sorta di passaggio di testimone:
È stato come chiudere un cerchio. Sono poi tornata per quattro mesi a Roma anche per essere vicino ai miei splendidi nipoti; in seguito ho lavorato nuovamente alla Croix Rouge di Losanna nell’ufficio “Aide aux enfants malades”. Ma dopo qualche mese mi arriva la email di una società a cui avevo mandato il CV un anno e mezzo prima. Allora cercavo di rimanere a lavorare e vivere in Senegal e mi ero candidata per diverse posizioni. Il contratto era di un anno rinnovabile e le condizioni di lavoro molto buone quindi decido di ripartire. Sono stata assunta perciò dalla questa società immobiliare governativa come assistente di direzione e tratto soprattutto con investitori e fornitori italiani. Io spero però sempre di tornare a lavorare nel campo dell’umanitario e con i bambini o almeno continuare a fare del volontariato nel settore.
Discutiamo con Nicole dell’attitudine corretta da tenere nel campo dei progetti umanitari; le racconto della mia ultima lettura del libro dal titolo eloquente dell’economista africana Dambisa Moyo “La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo” e concordiamo sul fatto che è ancora purtroppo diffuso il metodo colonialista di chi pensa di aiutare elargendo donazioni e imponendo la propria visione delle necessità e del modo di gestire un Paese in via di sviluppo:
Dalla mia esperienza ho capito che questo sistema non funziona; piuttosto risulta più efficace affiancare e sostenere iniziative che partono dal Paese stesso o da strutture locali in cui la gente si è organizzata. Qui in Senegal la gente vuole contare, dire la sua contro la corruzione, la burocrazia, la povertà, basti pensare alle manifestazioni in corso in vista delle prossime elezioni presidenziali. Non bisogna dimenticare che si è comunque stranieri e che la realtà è complessa e difficile da capire. Bisogna avere certamente uno sguardo generoso poiché nascere in un Paese o in una realtà difficile è una sfortuna del destino. Ho visto molte situazioni difficili per questo non dimentico mai quanto sia stata fortunata ad aver visto la luce nella città e nella famiglia giuste.
Quando le chiedo dove si vede nel prossimo futuro e cosa mette nel suo zaino, Nicole risponde che se la stabilità l’annoia ed il mettere radici le sembra un punto morto, si accorge di essere un po’ stanca di spostarsi continuamente: a volte desidera avere una casa tutta sua dove sentirsi al posto giusto, ma poi ribatte:
In realtà la casa la porto sempre con me, nel senso dello stare bene con me stessa, dell’equilibrio che ho raggiunto con fatica: la mia casa sono io, per come mi sono costruita e come mi rapporto agli altri ed al mondo. Il mio zaino è pieno a metà, comincia a pesare di tante esperienze tra cui molte dolorose; d’altra parte questi passaggi difficili della vita insegnano moltissimo. È però anche pieno di ottimismo, di progetti e di tutto ciò che deve ancora accadere di buono…Inchallah
P.