(en français après les photos) Anche se nel nostro viaggio in Senegal facciamo base a Dakar da Dario e Thiffanie, non possiamo non programmare una escapade a Saint Louis, ex capitale (dal 1872 al 1957) e patrimonio dell’Unesco. L’Île de Saint-Louis si trova su un’isola alla foce del fiume Senegal, a 250 chilometri al nord di Dakar, in una situazione geografica e urbanistica davvero unica. Nel 1659 la città era la prima base commerciale sulla costa africana atlantica, punto nevralgico dei commerci degli europei che risalivano il fiume alla ricerca di schiavi ma anche della gomma, dell’oro, dell epelli ed altri prodotti. la piccola città marina diventerà la capitale politica della colonia e dell’AOF (Afrique Occidentale française) fino al 1902 e capitale del Senegal e della Mauritania fino al 1957 prima di decadere in seguito al trasferimento della capitale a Dakar. Fu anche una sorta di laboratorio di una nuova società diversificata formata di metissages e mescolanze e sarà una fonte di elaborazione e diffusione di nuove culture umaniste e di cittadinanza africana.
Ci mettiamo d’accordo con Assan Mbegue per farci accompagnare in auto mentre lui si fermerà dalla madre a Louga, poco prima di Saint-Louis, ma la macchina si ferma dopo neanche cinquanta metri e dobbiamo aspettare che un amico gli porti un’altra vettura. Ci capiterà ancora, qualche giorno dopo, di rimanere fermi per un guasto e un’altra volta abbiamo sfiorato un incidente perché il cofano dell’auto su cui viaggiavamo si è improvvisamente alzato impedendo la visuale per qualche secondo. Bus, taxi e mezzi pubblici formano un parco macchine vetusto oltre all’inquinamento che provocano con i gas di scappamenti. Inoltre siamo in pieno ramadan e tutto è più rallentato. Come ci ricorda l’amico Youssou di Toubacouta, un proverbio locale dice “Le matin doucement, l’après-midi pas trop vite, le soir rien à faire”…
Riusciamo comunque a partire; dopo un tratto di autostrada si prende la nazionale; in totale ci vogliono circa quattro ore e mezza per percorrere la distanza Dakar-Saint-Louis, considerando anche il traffico sempre congestionato della capitale. Durante il viaggio avevo studiato la carta di Ndar (Saint Louis in wolof) cercando un alloggio che fosse al centro storico della città in modo da poterla visitare a piedi. Passiamo quindi il ponte Faidherbe, passaggio obbligato per l’Île de Saint Louis, per dirigerci alla maison d’hotes Takriima dal simpatico e gentilissimo Pape Thierno. Un buon indirizzo per l’accoglienza calorosa, il rapporto qualità-prezzo e la posizione nel quartiere nord, tradizionalmente musulmano, con la sua Grande Mosquée, mentre a sud si concentravano maggiormente i cattolici, intorno alla Cathédrale Saint-Louis du Sénégal, del XIX secolo, la più antica dell’Africa occidentale. Partiamo subito alla scoperta della città iniziando dalla zona sud. Passiamo davanti a diversi edifici coloniali tra cui il Musée de la photographie de Saint Louis, primo museo dedicato interamente alla fotografia dell’Africa occidentale per rendere omaggio a fotografi senegalesi e africani, in particolare a Mama Casset e Meissa Gaye. La scelta di impiantare qui il museo ha ragioni storiche: è a Saint Louis infatti che è arrivata la prima macchina fotografica inviata dal ministère de la Marine et des Colonies nel 1863. Più avanti visitiamo il Lycée des jeunes filles Ameth Fall che occupa l’edificio dell’antico ospedale. Veniamo attirate dal cortile e dagli spazi aperti attrezzati e decorati con murales colorati e significativi ma anche dalle aule in una delle quali vediamo il difficile corso di matematica scritto sulla lavagna; io e Véronique salutiamo una ragazza rimasta sola a ripetere la lezione. In particolare mi attirano tre murales: il primo mostra l’Africa soffocata dalla plastica e penso a quanto sia fondamentale un lavoro di educazione sulle tematiche ecologiche; idea rafforzata dalla nostra visita, l’indomani, alla spiaggia dell’Hydrobase, coperta di rifiuti. Il secondo murales è un invito alla lettura, con parole e immagini dipinte su una grande parete nel cortile, e il terzo denuncia la violenza sulle bambine e sulle donne e spinge le ragazze a frequentare la scuola.
Arrivati alla punta sud abbiamo davanti la lingua di terra dove c’è il famoso quartiere dei pescatori Guet Ndar che raggiungiamo con un altro ponte. Prima però visitiamo il Musée du Centre de recherches et de documentation du Sénégal che occupa un edificio coloniale del 1954, una perla per i ricercatori e i visitatori che come noi si interessano al centro espositivo e al Musée de préhistoire, d’histoire, d’arts et des traditions populaires. Per nostra fortuna incontriamo l’artista Ibrahim Seck che ci spiega le sue opere esposte nella mostra “Les animaux du passé et du futur”. Originario di Fatick, da anni raccoglie legni e altri materiali per assemblarli in modo creativo esprimendo una particolare sensibilità verso i temi dell’ecologia e dell’umanismo. Ne risultano opere davvero interessanti che spero abbiano il successo che meritano. Nelle sale limitrofe ammiriamo la mostra Doomi Geej/ Enfants de la mer con installazioni di altri artisti sulla relazione tra la popolazione e il mare: la prima, Jaxaso, di Duman Deh, è formata da pezzi di piroghe che formano un’imbarcazione poggiata su un telo rosso sangue. L’opera ricorda il dramma di tanti migranti che affrontano il mare nella speranza di arrivare in Europa ed avere un destino migliore. Un testo accompagna l’opera: “La mer vaste et incertaine, les vagues que le ciel nuageux laisse présager une tempête imminente. Pilote Barra, mon village menacé par l’érosion côtière, dont les plages disparaissent peu à peu sous le regard impuissant de mes frères et soeur. Mais les enfants et les femmes ont décidé d’utiliser les parois du bateau comme une toile pour raconter l’histoire de leur village mouillé. Le bateau témoin silencieux du voyage de ces jeunes hommes et du courageux pilote, avance régulièrement dans la brume et le vent fort. Mais la détermination de ces jeunes hommes semble plus forte que toutes les tempêtes. Et sur chaque paroi du bateau, une histoire a été capturé, une histoire de lutte et d’éspoir dans un monde menacé par l’injustice et l’érosion côtière”.
Un’altra opera, Ndiexitaal, di Soul’art, è realizzata con suole di ciabatte e altri materiali raccolti sulla spiaggia di Gandiol, dipinti e assemblati a testimonianza dell’invasione della plastica e dei rifiuti che sta soffocando l’ambiente naturale della regione. Infine l’ultima installazione è un quadro/cartellone che rappresenta il mare, dove l’artista Ina Makosi indossa (o attacca sul cartellone quando è assente) un tessuto blu mare con incollati messaggi scritti e raccolti su tematiche ecologiche come quello di Idrissa Thiaw, ambientalista della Zone écologique communautaire Rufisque Est: “La mer était un réceptacle de déchets, la digue aussi. Donc il fallait trouver une solution pour ça, d’où la création de la zone écologique communautaire pour protéger la digue mais aussi conscientiser la population sur l’importance de la gestion des déchets”. Capisco che in Senegal è diffusa, nell’innovazione in agricoltura come nell’arte, la coscienza della necessità di progettare e creare, ciascuno nel proprio settore, in armonia con le comunità locali e con l’ambiente naturale.
A causa del ramadan, l’orario di chiusura del centro è anticipato quindi ci affrettiamo a visitare la parte del museo che meriterebbe invece un tempo adeguato per il percorso ricco di informazioni, documenti fotografici, costumi, oggetti e molto altro. Dalla preistoria alla colonizzazione e alla postcolonizzazione, sono esposti i ritrovamenti e la ricostruzioni dei modi di vita, delle culture, dei commerci e delle politiche che hanno visto questa regione cambiare volto nei secoli. Imparo la storia del piatto tipico nazionale: il Ceebu Jën o Thiéboudienne : sembra che Pensa Mbaye, una cuoca rinomata del quartiere Guet-Ndar, abbia avuto l’idea di aggiungere al solito riso del pesce fresco con una salsa di pomodorini. Il piatto piacque e si diffuse da Saint Louis in tutto il Paese tanto da diventare la specialità nazionale. Lo assaporiamo due sere di seguito in due diversi ristoranti: Le fleuve Plus e La caravelle e possiamo senz’altro affermare che è tra i migliori mangiati finora.
Tornando verso il quartiere nord, dopo una sosta per mangiare delle deliziose crêpes alle arachidi, miele di Casamance e marmellata di mango alla crêperie Saint-Louisienne, ci fermiamo all’Atelier des femmes, dove incontriamo Youndou Niang che ci racconta il suo lavoro nel negozio dove vengono venduti i prodotti delle donne artigiane dell’Association de solidarité internationale La Liane. Attraverso il riciclaggio intelligente e remunerato le donne in situazione di precarietà (ed i loro bambini) creano oggetti funzionali ed estetici a partire da sacchetti di plastica lavati, tagliati e lavorati all’uncinetto. Ci sono anche i tradizionali prodotti a base di burro di karité (ottimo per la pelle e i capelli secchi) ed il bissap, succo ricavato dai fiori dell’ibisco che ha la proprietà di abbassare la pressione. Oltre all’atelier, l’associazione franco-senegalese ha una Maison des droits des femmes, che assiste legalmente e logisticamente donne e adolescenti vittime di violenze e stupri e le accompagna durante (e dopo) la gravidanza gestendo anche un asilo nido per bambini gratuito.
Il secondo giorno del nostro soggiorno a Saint Louis attraversiamo il secondo ponte verso la Langue de Barbarie, penisola lunga una trentina di chilometri che affaccia a est sul canale fluviale e ad ovest sull’oceano. Passiamo dal villaggio dei pescatori ed il mercato dirigendoci in taxi verso nord per andare a esplorare la plage Sal Sal vicino al confine con la Mauritania. La richiesta dei poliziotti doganieri di ritirarci i passaporti durante la nostra visita in quella zona di frontiera un po’ no man’s land, ci scoraggia e ripartiamo per la plage dell’Hydrobase dove ci rilassiamo godendoci il sole. In aprile il clima è ideale: secco (anche se, stranamente per la stagione, ha piovuto la mattina stessa), caldo ma non troppo, ben soleggiato. Mentre aspettiamo il taxi di ritorno, conosciamo Elhadji Diaw, simpatica guida di Saint Louis e ci accordiamo per l’indomani per una visita al Parc National de la Langue de Barbarie, uno dei sei parchi senegalesi, a una ventina di km a sud sulla costa continentale. Creata nel 1976, è una riserva ornitologica di 2000 ettari estesi su una quindicina di chilometri di lunghezza e qualche centinaia di metri di larghezza circa. La parte esposta al mare è costituita da dune fissate da pini australi e sulla spiaggia le tartarughe marine depongono le uova. La parte lungo la foce del Senegal comprende l’ile aux oiseaux che accoglie, tra aprile e ottobre, migliaia di uccelli migratori durante la nidificazione: pellicani, cormorani, aironi, garzette bianche e nere, sterne, fenicotteri rosa, ecc.
Elhadji si rivela davvero un’ottima guida: è gentile, competente e ci ha organizzato puntualmente il taxi, l’entrata al parco e la piroga. Navighiamo nel fiume fermandoci all’isola degli uccelli e dei granchi violinisti tra le mangrovie: una flora e una fauna veramente unica che ammiriamo passando di fronte ai villaggi dei pescatori. Elhadji ci racconta della fragilità di questo ambiente e dei cambiamenti che gli abitanti notano da una stagione all’altra, da un anno all’altro. Al ritorno mi documento e leggo che nel 2003, temendo un’inondazione della città di Saint Louis, l’allora presidente Abdoulaye Wade ordinò di scavare un passaggio per il fiume a sette chilometri dalla capitale. Da allora l’apertura non ha smesso di allargarsi verso sud creando cambiamenti ambientali e distruzioni di villaggi come Doun Baba Dièye. Il passaggio di quattro metri nel 2033 si è esteso ormai fino a circa sei chilometri separando in modo irreversibile la punta sud della lingua dal litorale e trasformarndola in un’isola. La Langue de Barbarie è dunque anche divisa in due parti che si allontanano sempre di più ogni giorno di qualche metro. Trasformata in una nuova foce, è oggi preferita come punto di passaggio dai pescatori. Le piroghe che prima sbarcavano sulla spiaggia ora ormeggiano sul fiume Senegal: più pratico ma più pericoloso, un passaggio che ha già visto diversi naufragi e morti.
Lasciamo Saint Louis per rientrare a Dakar con la voglia di tornarci per l’atmosfera e il gusto di flâner in questa interessante città esposta, fin dal sua fondazione, al rischio di inondazioni del fiume e di immersione del mare in caso di rottura della striscia di sabbia che la protegge dall’oceano. Un equilibrio oggi reso sempre più fragile per il cambiamento climatico che sta producendo gravi conseguenze anche qui, secondo i climatologi.
P.
Lors de notre voyage au Sénégal nous nous installons à Dakar chez Dario et Thiffanie mais nous ne pouvons manquer de prévoir une escapade à Saint Louis, l’ancienne capitale (de 1872 à 1957) et patrimoine de l’Unesco. Saint-Louis est située sur une île à l’embouchure du fleuve Sénégal, à 250 kilomètres au nord de Dakar, dans un cadre géographique et urbain vraiment unique. En 1659, la ville était le premier comptoir commercial de la côte atlantique africaine, point central du commerce des Européens qui remontaient le fleuve à la recherche d’esclaves mais aussi de caoutchouc, d’or, de cuir et d’autres produits. la petite cité océanique deviendra la capitale politique de la colonie et de l’AOF (Afrique Occidentale française) jusqu’en 1902 et la capitale du Sénégal et de la Mauritanie jusqu’en 1957 avant de décliner suite au transfert de la capitale à Dakar. C’était aussi une sorte de laboratoire d’une nouvelle société diversifiée formée de métissages et d’hybridations et sera une source d’élaboration et de diffusion de nouvelles cultures humanistes et de la citoyenneté africaine.
Nous sommes d’accord avec Assan Mbegue pour nous emmener en voiture lors de son voyage à Louga, où habite sa mère et sa famille, juste avant Saint-Louis, mais la voiture s’arrête après moins de cinquante mètres et nous devons attendre qu’un ami lui amène une autre voiture. Il nous arrivera à nouveau, quelques jours plus tard, de nous arreter pour une autre voiture en panne et une autre fois nous avons frôlé l’accident car le capot de la voiture dans laquelle nous voyagions s’est soudainement soulevé, obstruant la vue pendant quelques secondes. Les bus, les taxis et les transports en commun forment un parc automobile ancien en plus de la pollution qu’ils engendrent avec les gaz d’échappement. Nous sommes aussi en plein Ramadan et tout est de plus en plus ralenti. Comme nous le rappelle notre ami Youssou de Toubacouta, un proverbe local dit « Le matin doucement, l’après-midi pas trop vite, le soir rien à faire »…
Nous parvenons finalement à partir; après une partie d’autoroute, le parcour suit la route nationale; au total, il faut environ quatre heures et demie pour parcourir la distance Dakar-Saint-Louis, compte tenu également du trafic toujours congestionné de la capitale. Pendant le voyage j’avais étudié la carte de Ndar (Saint Louis en wolof) à la recherche d’un logement dans le centre historique de la ville afin qu’on puisse la visiter à pied. Nous passons ensuite le pont Faidherbe, passage obligé pour l’ Île de Saint Louis, pour nous diriger vers la maison d’hôtes Takriima du gentil et très gentil Pape Thierno. Une bonne adresse pour son accueil chaleureux, son rapport qualité prix et sa situation dans le quartier nord traditionnellement musulman avec sa Grande Mosquée , tandis que les catholiques étaient plus concentrés dans le sud, autour de la Cathédrale Saint-Louis du Sénégaldu XIXe siècle, la plus ancienne d’Afrique de l’Ouest. Commençons tout de suite à découvrir la ville en partant de la zone sud. Nous passons devant plusieurs bâtiments coloniaux dont le Musée de la photographie de Saint Louis, le premier musée entièrement dédié à la photographie en Afrique de l’Ouest à rendre hommage aux photographes sénégalais et africains, notamment Mama Casset et Meissa Gaye. La décision d’implanter le musée ici a des raisons historiques : en effet, c’est à Saint Louis que le premier appareil photo envoyé par le ministère de la Marine et des Colonies est arrivé en 1863.
Plus loin, nous visitons le Lycée des jeunes filles Ameth Fall qui occupe le bâtiment de l’ancien hôpital. Véronique et moi, nous sommes attirées par la cour et les espaces ouverts équipés et décorés de peintures murales colorées et significatives mais aussi par les salles de classe dans l’une desquelles on voit le difficile cours de mathématiques écrit au tableau: une jeune fille est restée, seule, pour répéter la leçon. En particulier, trois peintures murales m’attirent: la première montre l’Afrique étouffée par le plastique et je pense à quel point la sensibilisation écologiques est fondamentale, idée renforcée par notre visite le lendemain sur la plage de l’Hydrobase, jonchée de déchets. La deuxième murale est une invitation à la lecture, avec des mots et des images peints sur un grand mur dans la cour, et la troisième dénonce la violence contre les femmes et les filles et les incite à aller à l’école.
Arrivés à la pointe sud, nous avons devant nous la langue de terre où se trouve le fameux quartier des pêcheurs de Guet Ndar auquel nous accédons par un autre pont. Mais nous visitons d’abord le Musée du Centre de recherches et de documentation du Sénégal qui occupe un bâtiment colonial de 1954, une perle pour les chercheurs et les visiteurs qui, comme nous, s’intéressent au centre d’exposition et au Musée de préhistoire, d’histoire, d’arts et des traditions populaires . Par chance nous rencontrons l’artiste Ibrahim Seck qui nous explique ses oeuvres dans l’exposition ” Les animaux du passé et du futur”. Originaire de Fatick, il collectionne depuis des années bois et autres matériaux pour les assembler de manière créative, exprimant une sensibilité particulière envers les thèmes de l’écologie et de l’humanisme. Il en résulte des œuvres vraiment intéressantes qui, je l’espère, auront le succès qu’elles méritent. Dans les salles attenantes on admire ensuite l’exposition Doomi Geej/ Enfants de la mer avec des installations d’autres artistes sur la relation entre la population et la mer: la première, Jaxaso, de Duman Deh, est composée de morceaux de pirogues qui forment un bateau reposant sur un drap rouge sang. L’œuvre rappelle le drame de nombreux migrants qui affrontent la mer dans l’espoir d’arriver en Europe et d’avoir un meilleur destin. Un texte accompagne l’ouvrage: “La mer vaste et incertaine, les vagues que le ciel nuageux laisse présager une tempête imminente. Pilote Barra, mon village menacé par l’érosion côtière, dont les plages disparaissent peu à peu sous le regard impuissant de mes frères et soeur. Mais les enfants et les femmes ont décidé d’utiliser les parois du bateau comme une toile pour raconter l’histoire de leur village mouillé. Le bateau témoin silencieux du voyage de ces jeunes hommes et du courageux pilote, avance régulièrement dans la brume et le vent fort. Mais la détermination de ces jeunes hommes semble plus forte que toutes les tempêtes. Et sur chaque paroi du bateau, une histoire a été capturé, une histoire de lutte et d’éspoir dans un monde menacé par l’injustice et l’érosion côtière”.
Une autre œuvre, Ndiexitaal, de Soul’art, est réalisée avec de tongs et d’autres matériaux collectés sur la plage de Gandiol, peints et assemblés comme témoignage de l’invasion du plastique et des déchets qui étouffent le milieu naturel de la région. Enfin, la dernière installation est une peinture/panneau publicitaire qui représente la mer, où l’artiste Ina Makosi porte (ou colle sur le panneau publicitaire lorsqu’elle est absente) un tissu bleu marine avec des messages écrits et collectés collés sur des questions écologiques comme celle d’Idrissa Thiaw, écologiste deZone écologique communautaire Rufisque Est : « La mer était un réceptacle de déchets, la digue aussi. Donc il fallait trouver une solution pour ça, d’où la création de la zone écologique communautaire pour protéger la digue mais aussi conscientiser la population sur l’importance de la gestion des déchets ». Je comprends qu’au Sénégal, dans l’innovation agricole comme dans l’art, la prise de conscience de la nécessité de concevoir et de créer, chacun dans son secteur, en harmonie avec les communautés locales et avec le milieu naturel est largement répandue.
En raison du Ramadan, le centre ferme plus tôt, nous nous dépêchons donc de visiter la partie du musée qui mérite plus de temps pour la richesse d’informations, de documents photographiques, de costumes et bien plus encore. De la préhistoire à la colonisation et à la post-colonisation, des objets et des reconstitutions des modes de vie, des cultures, des métiers et des politiques qui ont vu cette région changer de visage au fil des siècles sont exposées. J’apprends l’histoire du plat national typique: le Ceebu Jën ou Thiéboudienne: il semblerait que Pensa Mbaye, cuisinière réputée du quartier de Guet-Ndar, ait eu l’idée d’ajouter du poisson frais avec une sauce tomate cerise à son riz habituel. Le plat est apprécié et diffusé depuis Saint Louis dans tout le pays pour devenir la spécialité nationale. Nous l’avons savouré deux soirs de suite dans deux restaurants différents : Le fleuve Plus et La caravelle et on peut certainement dire qu’il est parmi les meilleurs mangés jusqu’à présent.
De retour dans le quartier nord, après un arrêt pour manger de délicieuses crêpes aux cacahuètes, miel de Casamance et confiture de mangue à la crêperie Saint-Louisienne, nous nous arrêtons à l’ Atelier des femmes, où nous rencontrons Youndou Niang qui nous parle de son travail dans la boutique où sont vendus les produits des artisanes de l’ Association de solidarité internationale La Liane . Grâce à un recyclage intelligent et rémunéré, des femmes en situation précaire (et leurs enfants) créent des objets fonctionnels et esthétiques à partir de sacs plastiques lavés, découpés et crochetés. Il y a aussi les produits traditionnels au beurre de karité (très bien pour les peaux et les cheveux secs) et le bissap, jus (ou confiture) obtenu à partir de fleurs d’hibiscus et qui a la propriété d’abaisser la tension artérielle.
Le lendemain nous traversons le deuxième pont vers la Langue de Barbarie, une presqu’île longue d’une trentaine de kilomètres qui fait face au quai du fleuve à l’est et à l’océan à l’ouest. Nous passons devant le village de pêcheurs et le marché en direction du nord en taxi pour explorer la plage de Sal Sal près de la frontière avec la Mauritanie. La demande des douaniers de garder nos passeports lors de notre passage dans cette zone frontalière un peu no man’s land nous décourage et nous repartons vers la plage de l’Hydrobase où nous nous détendons en profitant du soleil. En avril le climat est idéal: sec (bien que, bizarrement pour la saison, il ait plu ce matin-là), chaud mais pas trop, très ensoleillé. En attendant le taxi du retour, nous rencontrons Elhadji Diaw, un sympathique guide de Saint Louis et nous nous arrangeons pour le lendemain pour visiter le Parc National de la Langue de Barbari , l’un des six parcs sénégalais, à une vingtaine de km au sud sur la côte continentale. Créée en 1976, c’est une réserve ornithologique de 2000 hectares répartis sur une quinzaine de kilomètres de longueur et environ quelques centaines de mètres de largeur. La partie exposée à la mer est constituée de dunes fixées par des pins du sud et des tortues marines pondent leurs œufs sur la plage. La partie le long de l’embouchure du Sénégal comprend l’ile aux oiseaux qui accueille, entre avril et octobre, des milliers d’oiseaux migrateurs lors de la nidification: pélicans, cormorans, hérons, aigrettes noires et blanches, sternes, flamants roses, etc.
Elhadji s’avère être un très bon guide: il est gentil, compétent et nous a ponctuellement organisé le taxi, l’entrée du parc et la pirogue. Nous naviguons dans la rivière en nous arrêtant à l’île aux oiseaux et aux crabes violonistes parmi les mangroves: une flore et une faune vraiment uniques que nous admirons en passant devant les villages de pêcheurs. Elhadji nous parle de la fragilité de ce milieu et des changements que les habitants constatent d’une saison à l’autre, d’une année à l’autre. A mon retour, je me suis documenté et j’ai lu qu’en 2003, craignant une inondation dans la ville de Saint Louis, le président de l’époque Abdoulaye Wade avait ordonné de creuser un passage pour la rivière à sept kilomètres de la capitale. Depuis, l’ouverture n’a cessé de s’élargir vers le sud, créant des changements environnementaux et la destruction de villages comme Doun Baba Dièye. Le passage de quatre mètres en 2033 s’est maintenant élargi jusqu’à environ six kilomètres séparant irréversiblement la pointe sud de la langue de la côte et la transformant en île. Le Langue de Barbarie se divise en deux parties qui s’éloignent chaque jour de quelques mètres. Transformée en nouvelle embouchure, c’est aujourd’hui le point de passage privilégié par les pêcheurs. Les pirogues qui débarquaient auparavant sur la plage s’amarrent désormais sur le fleuve Sénégal: plus pratique mais plus dangereux, un passage qui a déjà vu plusieurs naufrages et morts.
Nous quittons Saint Louis pour retourner à Dakar avec l’envie de revenir pour l’ambiance et le goût de flâner dans cette ville intéressante exposée, depuis sa fondation, au risque d’inondation par le fleuve et d’immersion par la mer en cas de rupture du bande de sable qui la protège de l’océan. Un équilibre aujourd’hui de plus en plus fragilisé par le changement climatique qui produit ici aussi de lourdes conséquences, selon les climatologues.
Ho seguito il tuo racconto con la mappa a fianco il computer: mi sono. perso (virtualmente) ma è stato magnifico.
Grazie Patrizia
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