Islanda dai mille colori

E naturalmente desideriamo raccontarti della notte che incombe su di noi e che trae la propria forza dalle profondità dell’universo, dai giorni che vanno e vengono, dal canto degli uccelli, dall’attimo estremo, saranno sicuramente tante storie, partiremo dal paese e finiremo sull’aia di una campagna del nord, ma adesso cominciamo, ecco, la felicità e la solitudine, la dignità l’incoerenza, la vita e i sogni, sì, i sogni.
(da “ LUCE D’ESTATE ed è subito notte” di Jòn Kalman Stefansson)
Siamo a cena in una grande sala da pranzo su un’anonima collina deserta di fronte a un panorama mozzafiato. Prima che il sole scendesse dietro l’orizzonte, lo sguardo spaziava sulle scogliere di Dyrholaey, costa meridionale dell’Islanda, dove d’estate fanno i loro nidi i pulcinella di mare e che ora la mareggiata ricopre con violenza di spuma bianca. A metà marzo, il vento soffia gelido e la neve si accumula ancora ai bordi delle strade. Ad un tratto qualcuno entra di corsa nella stanza e grida qualcosa ai presenti. Come in una catena che si propaga ad onde, man mano i tavoli si vuotano e tutti corrono all’aperto con il naso all’insù e ammirano ciò che si aspettavano di vedere in questo viaggio: l’aurora boreale che corre nel cielo con le sue onde di pulviscolo verde. Il cielo lì è sufficientemente buio per vedere le luci colorate che si diffondono a capriccio sopra la nostra testa ma noi, non contenti, saltiamo sulla Jeep e guidiamo velocemente fino a raggiungere un viottolo che si inoltra nella campagna completamente deserta. La luna splende nel suo primo quarto e le stelle trapuntano la volta celeste come tanti piccoli diamanti, ma nonostante questa luminosità, le scie delle “norraen ljòs” (le luci nordiche come le chiamano qui), volteggiano dolcemente nel cielo attirando la nostra attenzione.
La sera prima avevamo compiuto una spedizione dedicata all’aurora in un altro luogo altrettanto deserto e la notte in effetti aveva iniziato ad illuminarsi sullo sfondo, in direzione nord-est.La premessa era buona: dietro il profilo delle montagne nere si alzavano fasci di luce verdognola che sfumavano nel viola come se potenti riflettori stessero per accendersi, ma ciò che ci si aspettava non appariva. Il cielo, sotto i nostri sguardi attenti e prolungati, finiva per colorarsi tenuemente e poi ritornava scuro.Dopo aver resistito per quasi due ore al freddo e al vento che in questa stagione batte costantemente sulla costa islandese, in mezzo a una landa silenziosa, abbiamo desistito e siamo ritornati in  auto e poi in albergo, mezzi assiderati e delusi. Carlotta mormora tra sé e sé : “ Forse l’aurora che vediamo nelle foto su internet è
un falso, è luce bianca ritoccata con filtri fotografici”, ma la sera successiva deve ricredersi.
Al culmine della gioia è anche Stefania che da quattro anni ormai gira il nord dell’Europa senza successo con il solo scopo di vedere le luci del Nord. Lei è attrezzatissima: sul cellulare ha scaricato più di un’app che segnala i luoghi migliori per avvistare questo fenomeno ed anche la scala di probabilità che l’evento si verifichi. Questi in effetti sono i giorni più favorevoli perché durante la settimana in corso gli astrofisici hanno segnalato un’enorme tempesta solare i cui effetti raggiungono laTerra qualche giorno dopo con la formazione di queste meravigliose strisce di pulviscolo solare che passa dal verde intenso al verde chiaro per sfumare nell’arancione e nell’indaco violetto.Il vento colorato è lì,  sopra la nostra testa, che corre nel cielo come un cavallo imbizzarrito avanti e indietro creando strisce dritte e curve, cerchi, anelli e ghirigori di vario genere da nord est a ovest e poi si spegne per riaccendersi in un altro punto vicino e imprevedibile. Noi stiamo immersi in questa meraviglia di cielo con la terra nera e silenziosa sotto i piedi e così sembra di essere un puntolino nello spazio infinito; le dimensioni spazio-temporali sono annullate e lì, a poca distanza dal polo nord, avverto l’insignificanza dell’essere umano di fronte all’imponenza e alla bellezza della natura.
L’altro pensiero che però mi accompagna è anche la consapevolezza di quanto male stiamo facendo al pianeta su cui viviamo con l’agire dissennato degli ultimi cinquant’anni nei quali le nostre capacità sono state messe in atto a discapito della salvaguardia dell’ambiente e di tutti gli esseri senzienti o meno che la abitano. Ma l’Islanda d’inverno non sono solo le “Norraen Ljòs”: è anche la luce fredda, bianca e azzurra intensa che ci si para davanti quando iniziamo camminare sui ghiacciai.
Circumnavighiamo per quattro giorni la parte sud dell’immenso Vatnajokull, la quarta massa di ghiaccio più vasta del mondo e la prima in Europa. Sotto questa cappa gelata si trovano numerose bocche di vulcano, di cui uno ha eruttato l’ultima volta nel 1996. Dal nucleo centrale del Vatnajokull si diramano ben trenta bracci ghiacciati vallivi, per dirla in poche parole sono le colate di ghiaccio che si estendono nelle valli delimitate dalle montagne circostanti (in Italia il più esteso è il Ghiacciaio dell’Adamello seguito da quello dei Forni sull’Ortles Cevedale).
Su tre di questi abbiamo compiuto un trekking per ammirarne la maestosità e scoprire da vicino le innumerevoli forme provocate dal ghiaccio in movimento. Non bisogna pensare che siamo salite su ghiaccio e roccia da affrontare come alpinisti esperti ed allenati. In realtà sono percorsi che con l’abbigliamento giusto (compresi i ramponi) e con un po’ di prudenza tutti possono percorrere provando l’ebbrezza di entrare in contatto con un mondo che in Italia è riservato a pochi. Qui per altro, chi volesse, può trovare guide locali che accompagnano in sicurezza come abbiamo fatto noi con Ingolfur, un islandese doc dall’occhio vispo e dalla pelle segnata dal vento. Conosceva tutti gli anfratti e i segreti del mondo quasi fiabesco che ci si è aperto davanti agli occhi. Laghetti dove il ghiaccio sotto i nostri piedi aveva lo spessore di alcuni metri e lasciava intravedere arabeschi finemente istoriati. Cumuli azzurri di ghiaccio blu (in lingua inglese blue ice), che si ha quando la neve caduta su un ghiacciaio viene compressa e sembrano balenottere arenatesi su una spiaggia bianca. Cumuli enormi di ghiaccio bianco che da lontano sembrano morbidi cuscini impilati arruffati uno sull’altro mentre da vicino sono masse durissime e crepacciate altre 3/4 metri. D’altra parte la distesa ghiacciata sulla quale stavamo cautamente avanzando con i nostri ramponi è solo la parte visibile di un mondo nascosto sotto uno strato di ghiaccio che può raggiungere spessori anche di centinaia di metri. Ogni tanto si sentivano scricchiolii o rumori di tonfi dovuti al ghiaccio che si scioglie e cade. La calotta glaciale fa da tappo al cratere del vulcano, con un’attività geotermica che continua nel silenzio apparente. Infatti quello che più temono gli islandesi non è tanto l’eruzione in sé per sé quanto l’enorme quantità di ghiaccio che si scioglierebbe in un colpo solo allo scoppio del vulcano e che, come è già successo, potrebbe provocare inondazioni capaci di spazzare via i piccoli agglomerati di case esistenti. In questa vastità illuminata dal sole, che spesso abbiamo avuto la fortuna di intercettare, eravamo spesso soli nel silenzio assoluto o vedevamo piccoli puntini umani lontanissimi sul ghiacciaio che si muovevano come noi: formichine nell’immensità.

Il massimo della bellezza l’abbiamo raggiunto una sera al tramonto, quando ci siamo avventurati su un ghiacciaio dal nome impronunciabile, fino a raggiungere una caverna dalle pareti tutte nere, che sembrava il fondo di una miniera, perché la polvere lavica proveniente dal vulcano presente sotto il ghiacciaio aveva ricoperto tutte le pareti e si era cristallizzata. L’unica nota dolente in tutta questa bellezza era constatare che per raggiungere il fronte del ghiacciaio si devono percorrere parecchi chilometri in uno spazio desolato ricoperto da pietrame lavico e sassi di ogni genere, a volte rivestiti da muschi e licheni tra cui il famoso fjallagrös o erba di montagna dal colorito variabile tra il verde oliva e il marrone: la morena frontale. L’aspetto in realtà è molto suggestivo, ma indice del progressivo ritirarsi dei ghiacciai che possiamo verificare da cartelli esplicativi ‘del prima e dell’adesso’, posti nelle vicinanze. Secondo studi attendibili l’Islanda, terra del ghiaccio e del fuoco, si scioglie a ritmo sempre più rapido. I ghiacciai sono diminuiti più velocemente negli ultimi vent’anni.Da quando sono iniziate le rilevazioni, nel 1890, il calo è del 18% in totale. Questo significa che negli ultimi due decenni è sparito un terzo della superficie persa in 130 anni. La superficie perduta è grande come centomila campi da calcio. Dati che fotografano quanto il riscaldamento globale stia accelerando la fusione dei ghiacciai artici.
Le emozioni provocate dalla vista di questa natura selvaggia e primigenia sono comunque ancor oggi molto profonde e forse è proprio questo contatto con un ambiente ancora poco contaminato dall’essere umano che viene a cercare la maggior parte dei turisti e che anch’io ho potuto apprezzare nella sua varietà di paesaggi invernali.
Gli islandesi stessi sembrano ospiti del loro stesso Paese perché lì sono il ghiaccio, le pietre laviche e la sabbia scura delle spiagge che la fanno da padrone come gli sbuffi caldi che sorgono improvvisi dalla terra e che dalla lingua islandese hanno preso il nome che si usa in tutto il mondo per questo genere di fenomeni : geyser, dal verbo eruttare.

Letizia Parolari

Author: Patrizia D'Antonio

Blogger, writer, teacher, traveller...what more? I love to meet and share with people. In my spare time I like reading, swimmming, cycling, listening and playing music . I was born in Rome but I live in Paris  

Lascia un commento

Your email address will not be published.

This field is required.

You may use these <abbr title="HyperText Markup Language">html</abbr> tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*This field is required.