Una settimana in Giappone

Poco prima che il mondo collassasse e si fermasse per la pandemia, sono partita con mia figlia per “respirare” un po’ di Giappone. Il lavoro di Giulia non le permetteva di assentarsi per più di una settimana, ma ci siamo accontentate: –Meglio poco di niente– ci siamo dette -e siamo partite.

All’aeroporto di Tokyo siamo state accolte da Marina e Massimo, due amici trasferitisi da alcuni anni in Giappone  che, prima di condurci a casa loro, ci hanno voluto mostrare la città. Non ricordo tutto del tour, a tratti mi sono addormentata, era la prima volta che vivevo il jet lag di chi viaggia verso est, ho persino sognato. Tra un pisolino e l’altro, ricordo la piazza Shibuya, un luogo molto affollato dove Il traffico dei veicoli viene completamente fermato per 55 secondi per consentire ai pedoni di attraversare l’incrocio in modo sicuro. Di fronte, la statua del cane Hachiko, cui è stato dedicato tempo fa un film. Sul lato sud-ovest della stazione di Shibuya c’è un altro punto d’incontro popolare attorno a una statua chiamata Moyai, molto simile alle statue Moai dell’isola di Pasqua donata a Shibuya dagli abitanti dell’isola di  Niijima nel 1980.

 Marina e Massimo ci hanno condotto allo Starbucks che si trova al primo piano di un edificio della piazza per farci godere della vista eccellente del crocevia che è uno dei più trafficati del mondo e per consentirmi di svegliarmi con un caffè forte che mi ha consentito di continuare a conoscere la città. Ci siamo diretti verso loYoyogi Park: era domenica, giorno in cui si raduna regolarmente un gruppo di emuli di Elvis Presley che ballano rapiti dalla musica del Re del Rock anche quando il tempo è inclemente, vestiti di tutto punto come lui, pettinati con ciuffo e brillantina. Le ragazze sono abbigliate in pieno stile anni ’60.

 Dopo questa incursione nella musica d’antan siamo arrivati infine nella casa dei miei ospiti. Le case tradizionali sono conosciute come “washitsu”, che significa “stanza giapponese”. Sono costruite con materiali naturali come legno, paglia e carta di riso e hanno una struttura modulare con pareti scorrevoli che permettono di aprire e chiudere gli spazi a seconda delle necessità. Solitamente hanno il pavimento coperto da tatami, dei tappeti di paglia di riso. Anche se la casa di Marina e Massimo era improntata al loro gusto italiano, le pareti scorrevoli erano dovunque, così come l’abitudine di lasciare le scarpe all’ingresso dell’appartamento.

Il giorno dopo, con in mano una guida, siamo partite alla volta della città. Ci siamo avventurate nella metropolitana di Tokyo, decisamente affollata (una carrozza è destinata alle sole passeggere donne per evitare molestie). Sono stata subito redarguita sulle scale mobili, mi ero collocata destra come uso fare a Roma, ma la fila in Giappone è a sinistra, per permettere ai ritardatari di correre sul lato destro delle scale.

Tokyo è una città molto interessante e vivace. Rammento in ordine sparso: il Tempio di Asakusa, uno dei più famosi e antichi templi, che si trova nel quartiere omonimo. Abbiamo ammirato le numerose strutture del tempio, tra cui il Kaminarimon, la grande porta con la lanterna rossa, e il Nakamise-dori, una strada commerciale tradizionale.
 Nei giorni successivi ci siamo recate a 
Shinjuku, uno dei quartieri più vivaci della città, famoso per i suoi grattacieli, i negozi, i ristoranti e la vita notturna. Abbiamo passeggiato per il Giardino Nazionale Shinjuku Gyoen. Io ho gustato a piccole dosi la cucina giapponese, famosa per il sushi, il ramen e il tempura, ma per lo più Giulia ha preferito i piatti preparati in casa da Marina.

Una giornata è stata dedicata alla cerimonia del tè, una tradizione giapponese millenaria che prevede la preparazione e la degustazione del tè verde in polvere, chiamato matcha. Questo rito è anche conosciuto come Chado o “La Via del Tè”, ed è stato tramandato di generazione in generazione nella cultura giapponese. La cerimonia si è svolta in uno spazio designato chiamato chashitsu o “sala del tè”. Il maestro  che ha presieduto alla preparazione della bevanda, ha seguito una serie di rituali e movimenti specifici, dopodiché ci ha servito il tè in tazze di ceramica. La cerimonia del tè non si limita soltanto alla degustazione, ma rappresenta anche un’opportunità per apprezzare l’arte, l’architettura e la decorazione della sala. Questa celebrazione è considerata una parte importante della cultura giapponese, e viene vista come una pratica per coltivare la mente, il corpo e lo spirito. Prima di tale evento, hanno preparato me e Giulia vestendoci da vere e proprie giapponesi, facendoci indossare dei kimoni. Ovviamente ci hanno aiutato: è importante sapere come indossare il kimono correttamente, poiché ci sono molte regole da seguire e tecniche specifiche. Ad esempio, si deve indossare il kimono con la sinistra sopra la destra, e l’obi, la cintura del kimono, dovrebbe essere posizionato alto sulla vita e ben allacciato. Inoltre, il modo in cui il kimono viene allacciato dipende dal sesso e dall’età della persona, ci sono diversi tipi di cinture e accessori da utilizzare, e alcune differenze nella scelta del kimono e degli accessori a seconda che la persona sia sposata o nubile. Le donne sposate dovrebbero indossare un kimono di colore più scuro, con meno motivi floreali e decorazioni rispetto a quello indossato da una donna nubile. Inoltre l’obi, dovrebbe essere più sottile e meno appariscente. Le ragazze non sposate invece possono optare per un kimono più colorato e vivace, con motivi floreali o altri disegni accattivanti. Possono inoltre indossare un obi più ampio e con decorazioni più appariscenti.

 

Dopo l’incursione nelle tradizioni del passato ci siamo rituffate nella modernità con un viaggio verso Kyoto su un celebre, velocissimo mezzo. Lo Shinkansen è il sistema ferroviario ad alta velocità giapponese, comunemente noto come “treno-bullet”. È stato il primo sistema di questo tipo al mondo, inaugurato nel 1964 in occasione delle Olimpiadi di Tokyo, e ancora oggi è considerato uno dei  mezzi di trasporto più efficienti e moderni.

Durante il viaggio ho creduto di ammirare il monte Fuji, allertando Giulia, ma è stato uno scherzo della mia immaginazione perché ho saputo poi che il monte non è visibile su quella tratta ferroviaria.

Kyoto

Kyoto è una città giapponese piena di storia, cultura e bellezza naturale.

Stanche e accaldate ci siamo dirette verso, il ryokan, che avevamo prenotato, un tipo di alloggio tradizionale giapponese, simile a una locanda o un bed and breakfast, ma con caratteristiche uniche. 

I ryokan sono spesso costruiti in modo da integrarsi perfettamente con l’ambiente naturale circostante, utilizzando materiali naturali come legno e carta. Il nostro alloggio era  dotato di tatami (tappeti di paglia) sul pavimento, futon (letti giapponesi) per dormire.  Lì ci hanno fornito un kimono per dormire. Indossare i kimono (i tradizionali abiti giapponesi) è spesso parte dell’esperienza di soggiorno in un ryokan.

 Abbiamo visitato il Tempio di Kinkaku-ji, conosciuto anche come il “Padiglione d’oro”, una delle attrazioni turistiche più famose di Kyoto. Il tempio è situato in un bellissimo giardino zen e ha un pavimento ricoperto di foglie d’oro. Poi ci siamo dirette al Tempio di Fushimi Inari Taisha, famoso per i suoi migliaia di torii (portali) rossi che creano un percorso attraverso la collina boscosa. È una delle attrazioni turistiche più popolari di Kyoto e offre anche una vista panoramica sulla città. 

Il giorno dopo è stata la volta di Arashiyama: una zona della città situata sulle rive del fiume Katsura, famosa per il suo paesaggio naturale, i suoi templi e il ponte di Togetsukyo, il Tempio di Kiyomizu-dera: Questo tempio, situato su una collina con vista sulla città, è famoso per la sua terrazza in legno che sporge sopra una scogliera. È considerato uno dei luoghi più scenografici di Kyoto. Ma ciò che ci incuriosiva di più era il Distretto di Gion, conosciuto per le suoi geishe. Kyoto è famosa infatti per essere il luogo di origine delle geishe, donne addestrate in arti tradizionali giapponesi come danza, musica e conversazione, che intrattengono gli ospiti nei ristoranti e nei teatri giapponesi.

A Gion le geishe indossano i loro tradizionali kimono e sandali di legno chiamati zoccoli, e si muovono tra i vari ristoranti e teatri per intrattenere gli ospiti. Inoltre, c’è un teatro tradizionale chiamato Gion Corner, dove si possono vedere spettacoli di arti tradizionali come la danza geisha, la cerimonia del tè e la musica tradizionale giapponese. Gion Corner è un buon posto per vedere le geishe, ma  siamo riuscite a scorgerne solo una in lontananza, con il viso bianco colore del gesso e abiti sfarzosi.

Tornate a Tokyo, abbiamo continuato i nostri giri per la città, tra mille difficoltà nelle lettura delle indicazioni, per fortuna Giulia è dotata di ottima memoria e ha memorizzato i I kanji, i caratteri giapponesi che indicavano le fermate della metropolitana dove dirigerci. 

Abbiamo visitato il quartiere di Akihabara, noto per essere un punto di riferimento per il cosplay e per i suoi negozi di manga, anime e videogiochi. Tokyo è famosa per essere una delle capitali mondiali del cosplay (contrazione delle parole inglesi costume e play) una forma di performance artistica in cui le persone indossano costumi e accessori per rappresentare un personaggio immaginario o reale di un film, fumetto, anime, manga, videogiochi o di altre forme di media popolare.Il cosplay è diventato una subcultura globale e una forma di espressione creativa che unisce persone con interessi simili in tutto il mondo.

Per le strade del quartiere abbiamo incrociato parecchi cosplayer apprezzando la  cura dei dettagli e la precisione dei loro costumi.

Prima di rientrare a Roma abbiamo voluto recarci ad un onsen: bagni termali giapponesi che sfruttano le acque sotterranee geotermiche naturalmente riscaldate. In Giappone, gli onsen sono molto popolari e sono considerati un’esperienza rilassante e benefica per la salute. La cultura degli onsen giapponesi prevede alcune regole di comportamento, come lavarsi accuratamente prima di entrare nell’acqua e non portare indumenti all’interno della vasca. Inoltre, ci sono anche alcune regole di etichetta da seguire, come non fare troppo rumore e non immergersi completamente nella vasca. Gli onsen sono una parte importante della cultura giapponese e ci hanno offerto un’esperienza singolare nonostante le nostre resistenze a immergerci nude nelle vasche.

Tornate a Roma ci siamo ripromesse di tornare in Giappone per approfondire la conoscenza del Paese che abbiamo visitato solo per una manciata di giorni, troppo pochi. Sicuramente, nel caso del Giappone, anime e manga avevano aiutato molto Giulia  a farsi un’idea di quella che può essere la vita quotidiana; senza neppure rendersene conto, aveva immagazzinano nomi, fatti, oggetti, e spesso, durante le nostre escursioni, mi diceva che aveva già conosciuto un luogo in un cartone animato visto da bambina, addirittura a volte sosteneva che le sembrava di esservi già stata in passato: Ecco, qui c’era Sampei, il ragazzo pescatore! – esclamava a più riprese Nel mio caso ero stata aiutata dalle  letture di Banana Yoshimoto e Haruki Murakami.

R.

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

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