Vera Vigevani Jarach
In questi giorni Vera Vigevani Jarach una delle madri della piazza di maggio è a Roma. Nel suo itinerario italiano ha incontrato Papa Francesco e ha raccontato la sua esperienza nella chiesa valdese di Roma e presso varie istituzioni scolastiche.
Vera si definisce partigiana della memoria e, nonostante l’età avanzata, piccola e fragile, continua la sua missione di raccontare la sua storia che riassumo qui:
Vera Vigevani nasce il 5 marzo 1928 a Milano da una famiglia ebraica: il padre Vittorio avvocato, la madre Lidia volontaria sociale presso la sinagoga, dove collabora con il rabbino assistendo gli ebrei tedeschi rifugiati per sfuggire al nazismo. Trascorre l’infanzia a Milano fino all’ottobre 1938, quando vengono varate da Benito Mussolini le leggi razziali, poste come condizione di alleanza da Hitler.
Subito dopo l’emanazione delle leggi una maestra avverte la madre che la figlia non potrà più frequentare la scuola. I genitori di Vera, consapevoli del pericolo imminente, decidono di abbandonare l’Italia. Dapprima pensano di recarsi in Palestina, successivamente, però, optano per l’Argentina, dove sarebbe stato più semplice imparare la lingua spagnola.
L’unico della famiglia che preferisce non partire, poco allarmato dalle leggi, è il nonno materno di Vera: sarà deportato e morirà nel campo di concentramento di Auschwitz.
Il 3 marzo 1939 la famiglia parte e si stabilisce a Buenos Aires.
Nel 1944, Vera si fidanza col triestino Giorgio Jarach, studente di ingegneria, conclude il ciclo di studi superiori, e, dopo le prime esperienze lavorative, intraprende la carriera di giornalista culturale nella sede dell’ Ansa, agenzia italiana dove rimarrà fino all’età della pensione.
Nel 1949 Vera e Giorgio si sposano e il 19 dicembre 1957 nasce la figlia Franca.
Franca ritiene che l’istruzione e l’educazione siano gli strumenti per cambiare il mondo, perciò partecipa attivamente alla vita della scuola, ad attività politiche e sociali e matura un grande senso di solidarietà umana e di desiderio di ribellarsi alle ingiustizie.
Nel 1976 Videla instaura in Argentina un regime dittatoriale che subito mira a reprimere qualsiasi forma di opposizione politica e sociale . Vittime del regime sono soprattutto gli studenti e gli insegnanti, colpevoli di fornire ai giovani l’istruzione che la dittatura ripudia. La censura della cultura porta alla persecuzione di artisti, intellettuali, giornalisti, scrittori, musicisti e cantanti. La repressione si manifesta secondo due forme: la prima, legale, prevede processi, condanne, e prigionia; la seconda, illegale, include sequestri, detenzioni, torture e morte.
Franca Jarach è una delle vittime del regime: il 25 giugno 1976, mentre si trova nel bar Exedra, viene catturata e condotta all’ Escuela de Mecánica de la Armada, (ESMA) adibita a centro di detenzione e tortura dei ribelli.
La detenzione di Franca dura qualche settimana: a metà luglio, pochi giorni dopo aver parlato con i genitori, Franca è vittima di un volo della morte. Questo viene organizzato perché nello stesso mese sono stati condotti all’ESMA moltissimi giovani e le celle scarseggiano. I militari decidono così di uccidere dei prigionieri per fare posto ai nuovi arrivati.
Di questo Vera verrà a conoscenza solo nel 2000, dopo anni di attese e speranza, mentre il marito, morto nel 1991, non conobbe mai il destino della figlia. Fu Marta Alvarez, sequestrata il giorno dopo l’arresto di Franca, a rivelare a Vera la verità circa la morte della ragazza. Le dirà inoltre che fino all’ultimo momento Franca era rimasta sé stessa, mantenendo la personalità e la forza combattiva e che non aveva paura poiché non sospettava minimamente la fine tragica a cui sarebbe andata incontro, era certa di dover affrontare prima o poi un processo legale.
Gli anni che passano spesso fanno dimenticare gli orrori, ma Vera aiuta a ricordare, portando la sua testimonianza in giro per l’Argentina e all’estero. I suoi incontri si tengono prevalentemente nelle scuole e nelle università.

La donna esorta i giovani a non essere indifferenti. La memoria dei desaparecidos ha anche il compito di recuperare gli ideali che hanno animato quella generazione di giovani annientata dalla dittatura.
“Che la storia non venga dimenticata: è l’augurio migliore per il futuro”. Si tratta di difendere l’umanità, di non tacere mai. Mai. Di usare tutti i mezzi, le reti sociali, facendo attenzione agli inganni dei social. Cerchiamo la luce, non l’ombra. Quando si scala una montagna e non si sa come andare avanti, la voce di chi ti precede o ti segue ti dice dove attaccarti: passa la paura e si va avanti e siccome la spinta la dà sempre il cuore.
R.