Approfitto di un tour promozionale in Puglia, in occasione dell’uscita del nuovo libro, per concedermi un’escursione a Matera, meta agognata da ben prima che fosse nominata città della cultura nel 2019, ma difficile da raggiungere per me che abito a Parigi. Mi sembra quindi un viaggio esotico quello che intraprendo con un pullman mattutino, da Bari e che mi ‘sbarca’ puntualmente fuori città, a 1,7 km dai Sassi, in una gelida mattina di gennaio. Imperterrita affronto il freddo e la salita, felice di poter dedicare questo tempo tutto per me, alla scoperta di una città che sa celare meraviglie. Decido di non seguire i consigli dei miei cari amici baresi: “prendi una guida, ti puoi perdere” e lasciarmi trasportare dai piedi e dagli occhi che li guidano, attirati da un vicolo, da uno scorcio, da una scalinata, da una chiesa rupestre lungo il cammino.
Ho l’applicazione google map ma preferisco parlare con il primo passante che incrocia la mia strada e che mi consiglia di cominciare dalla parte nord, dal Sasso Barisano, costone settentrionale della città dove inizio a vagare gustando la sensazione dei passi che percorrono il lastricato delle strade e stradelle ed il colore grigiastro della pietra in questa giornata nuvolosa. Immagino il luccichio accecante del panorama nei giorni di sole estivo ed ammiro il colore cangiante del calcare che fa brillare la città di giallo-biancastro quando, a tratti, spunta un pallido sole. Vorrei scendere verso il fiume e attraversare il Canyon della Gravina per raggiungere l’altopiano rupestre da dove si vedono le grotte ma devo fare una scelta in base al tempo a disposizione. Decido di concentrarmi sull’agglomerato urbano diventato patrimonio dell’Unesco per la sua storia urbanistica integrata perfettamente nella natura: le antiche abitazioni, i Sassi, sono state scavate (e costruite) nella roccia calcarea. La magia del colore e dell’originale architettura della città le conferiscono un aspetto straniante: sembra di essere in un altro mondo, in un altro tempo.
i Sassi di Matera
Girovagando, un cartello attira la mia attenzione: il Museo Laboratorio della Civiltà Contadina, proprio dietro un passaggio in un vicolo che porta a via San Giovanni Vecchio. Decido di andare a vedere se è aperto ed il cartello conferma l’orario di apertura e avverte di dover suonare al campanello di Donato Cascione, al primo piano sopra il museo. Mentre una coppia di ungheresi si consulta per capire il da farsi, suono il citofono e, insieme a un gattino curioso, vedo scendere dalle scale Donato che mi accompagna nella visita dopo aver acceso l’audioguida in inglese per gli ospiti stranieri. Pensavo di cavarmela con una rapida occhiata alla casa rupestre di questo palazzotto a corte ristrutturato che risale al XVI sec., ma le incredibili scoperte della ricca collezione ed il magico incontro con Donato mi trattengono a lungo. Come in un labirinto, la casa si snoda in diverse camere-grotte ciascuna dedicata ad un aspetto della vita rurale e ai diversi mestieri ricostruiti, nei vari locali, con oggetti e mobilio di un grande valore etno-antropologicologico. Mi affascinano gli strumenti qui raccolti a testimonianza dell’artigianato locale: oltre alla vita contadina, nei vari rioni materani, si svolgevano mestieri quali: il setacciaio e il conciapelli, il cestaio e il cavamonti, l’intagliatore e l’ebanista, il fabbro e il mastro d’ascia, il conciapiatti e il vasaio, il barbiere e l’arrotino, il sellaio e il calderaio ed altri ancora. Ci sono poi gli attrezzi agricoli e quelli della tessitura oltre agli oggetti che testimoniano la vita familiare e l’ambiente casalingo raccontando temi legati alla storia locale (e del Sud): la condizione dell’infanzia, il brigantaggio, l’approvvigionamento dell’acqua. Resto colpita dalla foto di una famosa brigantessa posta vicino alla sua arma personale ed a quella di “La Rossa”, prostituta in una casa di tolleranza, nella locandina ‘pubblicitaria’ che affigge anche il prezzo: due donne a modo loro famose, dai destini così diversi ma certamente entrambi difficili. Sul muro di fronte, ecco le fotografie di ‘mestieri invisibili’ ovvero quelli che si esercitavano senza ‘una bottega’ o un laboratorio o negozio. Oltre allo stracciarolo ed al banditore ci sono molti mestieri ‘femminili’: la maga, la mammana, la pettinatrice, la lavandaia, le prefiche, incaricate dei pianti e lamenti nelle cerimonie funebri. Fotografie, documenti, oggetti che sembrano parlare e che animano le vite di di tanti uomini e donne senza storia, probabilmente dimenticati senza questo museo. Uno spazio culturale custodito da Donato che mi racconta molto della Matera passata e presente e della tenacia e determinazione che lo ha portato a volere, a battersi e a continuare la ricerca per raccogliere questa collezione e molte delle testimonianze contenute. Alla fine della visita, presi dalla narrazione e dall’amore comune per la letteratura, Donato, che è anche poeta, mi dona un suo libro di racconti. Parliamo allora di poesia e di arte, del suo e del mio lavoro; prima di salutarci mi conduce nel laboratorio della figlia pittrice e a quello dove accoglie i gruppi di bambini e studenti insegnando loro l’arte della ceramica.
Museo Laboratorio della Civiltà Contadina
Proseguo la visita del Sasso Barisano visitando la grande chiesa rupestre di San Pietro Barisano, con le sue catacombe ipogee, cosiddette “a scolare”, perché i defunti erano disposti su sedili scolpiti nella roccia, a perdere gli umori corporali. Arrivo poi alla Civita, la parte alta e centrale di Matera con la sua cattedrale. Faccio una sosta per riscaldarmi in un bar, riposarmi un pò, bere un buon succo di melagrana fresca e assaporare l’ottima focaccia locale presa in un forno poco prima. Riparto ristorata con la voglia di scoprire l’altra parte della città, quella esposta a Sud: il Sasso Caveoso. In questa zona molto suggestiva c’è la maggior parte delle case scavate nella pietra; cammino fino al rione dei Cappuccini, all’estremo sud del paese che si affaccia su una delle più importanti zone rupestri d’Italia. Da qui si vedono i sentieri che portano al Parco della Murgia Materana che mi attira con il suo territorio e i paesaggi unici. So che in quei cammini si incontrano grotte, tracce di insediamenti risalenti al paleolitico, chiese rupestri e fauna e flora autoctona: un percorso raccontato dalla nostra amica Marianna in un precedente articolo già pubblicato:
Mi propongo di tornare con qualche giorno in più a disposizione per esplorare i dintorni e mi rimetto in cammino per completare il giro con la visita alle chiese rupestri Santa Maria de Idris e San Giovanni in Monterrone sullo sperone roccioso omonimo. Già la vista all’esterno è impressionante così come l’interno di Santa Maria de Idris, interamente scavata nella roccia insieme alla chiesa di San Giovanni, annessa alla prima con un passaggio a sinistra dell’altare maggiore. In quest’ultima ci sono affreschi risalenti anche all’XI secolo come il Cristo Pantocratore o quelli del XIII sec. di san Pietro e san Giacomo in una nicchia più avanti. I colori degli affreschi si stagliano nella roccia e penso alla forza delle immagini religiose nei secoli passati considerando l’impressione che suscitano ancora oggi a turisti e amanti dell’arte.
Ritorno verso la Civita per visitare la Cattedrale, bere un caffé caldo e per impregnarmi ancora dell’atmosfera materana del centro città. E’ però già pomeriggio inoltrato ed il mio pullman sta per arrivare. Mi reco allora alla piazza vicino alla stazione per prendere il pullman che si ferma in centro ma con destinazione l’areoporto di Bari da dove però ci sono navette, bus o trenini che portano conodamente alla stazione centrale in 20/30 minuti. Lì trovo Enrica, sorella di Raffaella e preziosa amica e guida barese che, instancabile, mi propone un cinema e un pub con Emilia ed altre simpaticissime amiche: ottima conclusione di una giornata straordinaria. Le immagini e le sensazioni provate durante la mia ‘giornata materana’ mi restano impresse a lungo, ripenso al mio incontro con Donato Cascione, leggo alcune sue poesie di cui ne trascrivo un paio:
Il camino
E socchiudo gli occhi davanti al grande camino, /dove bruciano ciocchi di olivo …/e non m’importa se fuori piove o diluvia. /Le fiamme ondeggiano /e sommessamente mi raccontano storie/ di secoli trascorsi in questa casa, /quando, a lumicino di candela,/ gli uomini, seduti su panche di legno/ fumavano con lunghe pipe di terracotta, in silenzio … C’era tanta fame/ e tante braccia fiaccate da duro lavoro…. /Mi accuccio nel grande camino,/ come un gatto o primitivo. /La magia del fuoco mi ha sempre incantato; /da bambino scorgevo /nelle lingue di fuoco cose e persone che danzavano e poi /… divenivano cenere. – Non preoccuparti, mi diceva mia nonna,/ domani sera riprenderanno a ballare ./.. Ed io le rispondevo, /speriamo che duri a lungo l’inverno…