Ci sono degli incontri che sembrano destinati a realizzarsi in un preciso momento della vita. È quello che abbiamo pensato quando abbiamo finalmente conosciuto Dacia Maraini al Salon international du Livre a Rabat. La sua scrittura e la sua figura di donna impegnata hanno accompagnato noi e la nostra generazione per decenni; abbiamo sempre pensato a quanto ci sarebbe piaciuto avere l’occasione di esprimerle tutta la nostra stima. Raffaella l’ha incontrata molti anni fa presso il teatro La Maddalena di Roma in occasione degli spettacoli della sorella Yuki, poi ancora a Santiago del Cile, alla casa Argentina di via Veneto ed entrambe in varie occasioni di presentazioni in librerie in Italia, ma soltanto in Marocco e poi a Roma da Borri Books l’abbiamo conosciuta personalmente.
Lavoriamo da più di due anni per dare voce alle donne viaggiatrici che amano la scrittura e la lettura, oltre all’avventura ed all’incontro con altri Paesi e culture. Nel nostro zaino, che alleggeriamo realmente e metaforicamente di tanti pesi giudicati via via superflui, non mancano mai i libri. La lettura ci accompagna sempre anche se, a volte, nella forma leggera di un dispositivo elettronico. La letteratura è una forma di viaggio e le due cose insieme sono poi straordinariamente importanti nelle nostre vite. Non potevamo dunque mancare alla presentazione di lunedì scorso di Dacia che, luminosa e appassionata, parlava del suo nuovo libro, “Sguardo a Oriente” (Marlin editore, 2022), nel quale la letteratura incontra la passione del viaggiare che è sempre un processo di conoscenza ed un confrontarsi con altre culture, attitudine senz’altro ereditata dal padre antropologo, oltre che dalla madre e dai nonni provenienti da Cile, Svizzera, Sicilia, Inghilterra. Le idee del padre Fosco e di altri antropologi citati dalla scrittrice imprimono in lei quello sguardo attento all’Altro che è diverso, ma la cui diversità è arricchimento. Lontana anni luce dall’idea del viaggio turistico, Dacia ribadisce la differenza dell’autentico viaggiatore che entra in contatto con la cultura locale anche attraverso le letture, la storia del luogo, lo sguardo attento e rispettoso di chi accetta anche il rischio di perdere pezzi della propria identità perché questo può accadere seguendo la seduzione dell’Altrove. Grazie anche alle stimolanti osservazioni di Michelangelo La Luna, curatore del volume e studioso dell’opera della scrittrice, ci immergiamo nei racconti di Dacia sul Giappone, dove ha passato la sua infanzia e dove ha vissuto un periodo in un campo di concentramento. Di quegli anni, nei quali apprendeva naturalmente la cultura giapponese, racconta gli elementi fondanti: la poesia, l’animismo ed il rapporto con la natura, la relazione con i morti. Ci incanta raccontando di dee al femminile, del matrimonio tra l’imperatore ed un chicco di riso, di come la prima religione animista si sia integrata con il buddismo dopo l’invasione della Cina ma quanto forte resti l’idea che i morti continuino a far parte della vita dei cari che li ricordano. Ecco una grande differenza con la cultura occidentale contemporanea che sempre di più evita anche solo di nominare la morte e coltivare la memoria dei defunti mentre nella cultura giapponese si mantiene la propria identità anche attraverso il rapporto con gli antenati.
Se nel libro lo sguardo di Dacia si posa su diversi Paesi d’Oriente, il suo racconto, incalzato dalle domande dello scrittore Paolo di Paolo e del curatore, percorre i ricordi dei suoi viaggi in Yemen e poi in Afganistan trattando il tema della condizione delle donne in società diventate integraliste e profondamente maschiliste. Come si è arrivati al patriarcato? E come si è giunti a vietare alle donne il diritto all’ istruzione? Di imporre loro l’odiato burqa? Paesi incantevoli si sono trasformati in prigioni per le donne. Dacia ci racconta di matrimoni tra il cavallo bianco e la luna, di divinità bambine, di ricordi condivisi con Moravia e Pasolini, ci parla della delicatezza e la mitezza del poeta e di quando, in cerca della location per il film il Decameron, ha rifiutato di fotografare un lebbroso per rispettare la sua condizione. Il Pasolini pubblico appariva molto più duro e determinato perché odiava la borghesia, responsabile di aver distrutto il rapporto sacrale tra terra e cielo ed imposto il consumismo. Parla a lungo di Pier Paolo, compagno di viaggio molto adattabile e dallo sguardo poetico.
Ma il viaggiare per molti è piuttosto una necessità, la fuga per la salvezza dalle guerre e dalla fame – sottolinea poi Dacia che ricorda i venti milioni di italiani nella storia della nostra emigrazione- gli italiani sono andati via a milioni e dell’emigrazione hanno fatto un’arte integrandosi dappertutto, perché allora non si riesce ad avere una vera cultura dell’accoglienza? Io sono per l’accoglienza assoluta per chi cerca riparo e salvezza a patto che sia pronto ad imparare la nostra lingua ed accettare i valori che condividiamo, per esempio il divieto all’escissione o alla lapidazione di un’adultera.
Con lucidità e chiarezza, argomenta ulteriormente il dilemma antropologico e sociofilosofico tra l’accettazione della diversità culturale ed il relativismo dei valori: Anche un uccellino in gabbia sa cos’è la libertà, sa che vuole volare. Così gli esseri umani sanno cosa vuol dire essere repressi e anelano alla libertà. Un’immagine poetica per spiegare che ci sono valori universali come l’integrità fisica ed il rifiuto di uccidere e torturare che vanno rispettati al di là dell’evoluzione delle civiltà che non sono eterne ma legate al momento ed al contesto storico.
L’incontro volge al termine ma Dacia è sempre disponibile a parlare al pubblico attento ed ammirato; firma le copie e ci sorride chiedendoci del nostro lavoro.
Quando a Rabat le abbiamo chiesto quale fosse il segreto del suo splendore, Dacia ha risposto sorridente che senz’altro è dovuto al fatto di lavorare tanto e di non fermarsi mai.
Le auguriamo di andare sempre avanti allora, donna tenace ed instancabile, scrittrice dallo sguardo sensibile e coraggioso e di farci viaggiare a lungo con lei attraverso i suoi splendidi occhi che tanto hanno visto e raccontato.
P & R.