Una milanese sui tetti di Roma

Cristina Ruffoni, Milano

Spesso si parla della rivalità tra Roma e Milano in vari campi.  Se Milano appare meno attrattiva di Roma per quel che concerne le opere e i monumenti, primeggia in termini di gestione e della valorizzazione delle bellezze artistiche. Roma è una città dalle enormi potenzialità, sicuramente esteticamente più bella di Milano ma, a detta dei meneghini, ferma e priva di visioni di sviluppo e di innovazioni, in quanto legata troppo ai tempi passati. Nel campo dell’arte Roma ha da sempre conservato il suo fascino intriso di storia, antichità e grande bellezza, Milano dal canto suo, è meno affascinante dal punto di vista del patrimonio urbanistico culturale, ma ha creato  in modo sapiente un’atmosfera glamour fatta di moda, cultura, design, stile di vita. Che succede quando la creatività e il fascino milanesi si confrontano con la Caput mundi?

Proviamo a immaginare un terrazzo di Roma che si affaccia sul Colosseo, sui Fori, sul parco degli Acquedotti e appare una macchia a prima vista dissonante: un’opera moderna, piena di colori fluorescenti e lettere…

Presto un’artista milanese porterà a Roma un bizzarro ed efficace tentativo di rendere belli oggetti che comunemente fanno arricciare il naso ai più. Quante volte abbiamo sentito  la frase :- Che bella terrazza! Quell’antenna, però!….

Cristina porterà la cultura pop e il colore sui  terrazzi di Roma  adornando le antenne paraboliche che diventeranno così parte dell’arredo urbano, oggetti cui verrà donato un fascino nuovo.

Non è nuova a tali esperimenti Cristina, da una vita scompone, taglia, incide, straccia e sfilaccia per poi ricostruire: lo fa con le parole, con le tele, con materiali diversi e con gli oggetti grandi e piccoli che si trovano sul suo cammino.

Da sempre Cristina  ha saputo che voleva creare, ha iniziato dapprima  con le parole, scriveva poesie, frammenti di storie e poi scomponeva e rimontava i suoi racconti per farne testi e contesti diversi, come i Surrealisti e i Dadaisti. Ma non le bastava, perciò ha tentato ancora con i quadri, cercando nel colore un senso, nella pittura un percorso. Ma anche questo non le è stato sufficiente. Soltanto quando ha fuso la poesia con l’immagine ha potuto esprimere i concetti, le idee che voleva regalare al mondo.

Così mi racconta in una conversazione, un fiume in piena per descrivere la sua arte.

Cristina:

 Da ragazza ho sempre scritto e dipinto ma non mi sentivo né scrittrice né poetessa, avevo le idee poco chiare, sapevo solo che volevo creare, raccontando delle storie e mi sono iscritta all’Accademia d’Arte. 

Lì, a Brera, è arrivata la consapevolezza, con le lezioni di Luciano Fabbro: mentre tutti seguivano alla lettera le sue opere, io di nascosto sperimentavo con la scrittura. Per la stesura della mia tesi : “Parola e immagine”, sono stata aiutata da Roberto Senesi, grande traduttore e poeta visivo, che mi ha incoraggiato a seguire le mie inclinazioni di sempre: contaminare parole e immagini e mi ha indirizzato al Mercato del Sale, allora in Via Orti, uno dei pochi centri di sperimentazione e studi su queste tematiche in Italia, lo dirigeva Ugo Carrera, grande artista e teorico di scrittura visiva che ha ospitato la mia prima mostra, seguita poi da altri eventi a Milano e altrove. Per anni, è stato quello con lui, nonostante il suo carattere irruente e dominante, un sodalizio per me fondamentale dal punto di vista professionale, intellettuale e soprattutto umano. 

In seguito ho avuto la fortuna di fare da assistente a due artisti Fluxus, alla Fondazione Mudima con Wolf Vostell e con Ken Friedman a Milano Poesia, grande manifestazione dove installazioni, azioni e performance si alternavano, suggerendomi la possibilità di uscire dal quadro, come per una delle mie prime mostre personali: “L’arpa d’erba”, in occasione del quale avevo occupato lo spazio della galleria con un castello di carte in gesso giganti, sulle quali parole e immagini interpretavano il significato dei tarocchi. Ogni volta infatti, un mio progetto si sviluppa su un tema, come “Oriente+Occidente: un dialogo immaginario con una donna cinese”, alla galleria QuintoCortile, dove le pareti vennero occupate da totem nei quali l’iconografia cinese si mescolava a quella Pop, immedesimandomi nella vita di una ragazza asiatica. 

Pur essendo destinata ad essere solitaria la giornata di una pittrice, ho sempre preferito lavorare e condividere le esperienze con gli altri, come il romanzo: “Gli anni chiusi”, scritto a quattro mani con Micaela Solbiati, pubblicato nel 2004 per le Edizioni Archinto. Infatti, da alcuni anni, il mio studio è anche sede dell’Associazione ZONE + Pelouse Interdite: Studi di cultura visuale e pratiche dell’arte, incentrato sul libro e la scrittura e con gli stessi soci, abbiamo fondato il gruppo Sound Strip Poem, che si è già esibito nella performance di lettura simultanea di testi di filosofi, poeti e dei nostri testi dove la voce esalta e trasforma il significato delle parole in musica e ritmo. 

Da giovane, negli anni ‘90, ho collaborato con un’agenzia di Comunicazione,  disegnando magliette e cartoline per diverse manifestazioni e campagne pubblicitarie di Vodka Artic e Campari.

Nell’arco degli anni il mio lavoro si è modificato. Partendo sempre dal significato di un testo, destinato poi ad essere frantumato per essere collocato sulla superficie, iconografie e colori erano sacrificati e penalizzati. In seguito, come scrive l’artista Emilio Isgró in un testo critico sulla mia ricerca, ho iniziato a dipingere lettere, fondi ed immagini prelevate da fonti diverse (cinema, televisione, cataloghi d’arte ecc.) con tinte fluorescenti e colori cangianti che avrebbero fatto inorridire i Maestri della Poesia Visiva e del Concettuale. 

La solitudine degli oggetti.

Durante la pandemia Cristina ha riscoperto, assemblato e dipinto oggetti di uso quotidiano e, accanto ad essi, scriveva dei significati sul mondo di fuori e sulle storie intime racchiuse in una stanza. Quegli stessi oggetti, prima insignificanti e destinati alla distruzione, hanno iniziato ad essere considerati in un altro modo, forse con uno sguardo diverso. Per capire, a volte bisogna osservare il mondo rovesciato, simile a quello di Alice nel paese delle meraviglie, dove puoi perderti in una pianta come in una foresta, le lancette si fermano e una tazza e un’elica diventano grandi come delle navi. 

Cristina:

Per le mie opere utilizzo tele ma anche specchi, legni, paraboliche. A Parma c’è uno spazio:  “Il centro del riuso”, dove si raccolgono materiali, di scarto, oggetti di vario uso. Alcune cose si regalano, altre si vendono, molte si trasformano in altri materiali ed utensili. Nell’esposizione, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede, ci sono sette stazioni con delle grandi gabbie assemblate e donate dal centro, dove sono collocate le nostre opere, delle installazioni ispirate al libro: “Piccola Cosmogonia portatile” di Raymond Queneau. Anche in questo caso, le paraboliche destinate ad essere buttate via, sono utilizzate per veicolare un messaggio sulla distruzione e ricostruzione dell’universo, con una diversa finalità da quella televisiva-satellitare.  

A Roma mi vedrete al lavoro su un tetto, dove sarà girato un brevissimo video mentre dipingo e scrivo su una parabolica al tramonto, anche per scoprire come l’utilizzo di un oggetto che diviene un manufatto artistico sia un’idea vincente in termini di bellezza oltre che di significato, non vulnerabile al trascorrere del tempo perché ricoperto da una protezione alla ruggine e agli agenti atmosferici.

Io sarò di sicuro in prima fila per ammirare lo skyline della Roma antica integrarsi armonicamente con un’azione underground e leggere le parole dipinte su un’opera simile un po’ a un disco volante. 

R.

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

One Reply to “Una milanese sui tetti di Roma”

  1. Enrica Gambardella says: 08/05/2022 at 8:53 am

    Bello!

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