Una mattina come tante, ero intenta a rifare il letto, la televisione sintonizzata su Rai Storia, sentendo una frase che parlava di donne viaggiatrici, ho rivolto la mia attenzione alla trasmissione.
Sullo schermo, delle ombre ritagliate alternate a immagini di repertorio che riguardavano Freya Stark, la caposcuola del moderno travel writing e una delle icone più importanti della libertà e dell’emancipazione femminile. Ho visto il documentario e mi sono subito appassionata a questa singolare donna, cercando notizie su di lei per raccontarla alle donne con lo zaino.
Freya è stata chiamata in molti modi: da un giornale italiano “regina nomade” dal Times “l’ultima dei viaggiatori romantici” dal New York Times “viaggiatore di consumata abilità”.
Figlia primogenita di Flora e Robert Stark, cugini di primo grado ed entrambi pittori dallo stile di vita dinamico, nasce a Parigi nel bel mezzo di un viaggio dei genitori. Vive dapprima ad Asolo, nel Trevigiano, borgo medioevale dove risiedeva una piccola comunità di inglesi, tra i quali il pittore Herbert Young, amico dei genitori e figura di riferimento per lei e la sorella Vera. Dopo l’abbandono del marito da parte della madre si trasferisce a Dronero, in provincia di Cuneo, dove l’amante della madre possiede una fabbrica. Proprio in questa fabbrica Freya rimane sfigurata dopo un incidente.
Vorace lettrice di saggi classici latini italiani ed inglesi, parla fluentemente tedesco, inglese e italiano, prende lezioni di arabo. A 18 anni si trasferisce a Londra per studiare.
Dopo la Prima Guerra Mondiale si aprono infinite possibilità di lavoro in medio Oriente e Freya, nel 1927, a 34 anni, si imbarca per il Libano per perfezionare l’arabo cercando la compagnia dei locali per praticare la lingua. Si guadagna da vivere inviando in Europa reportage dai paesi che sono al centro dell’interesse politico ed economico dell’epoca. Visita luoghi inesplorati e pericolosi in Iran, Turchia, Afghanistan, Persia, Mesopotamia, Transgiordania, Palestina, Egitto, Siria, Penisola Arabica. Veste con abiti del luogo, impara la lingua e attraversa i deserti a dorso di cammello.
In Gran Bretagna molti leggono i suoi articoli corredati dalle sue fotografie, e le Forze Armate usano le carte geografiche che lei disegna. Ha talento e coraggio e si sente a suo agio sia con gli intellettuali britannici che con i Beduini dell’Arabia. A 54 anni sposa Stewart Perowne, che ha 46 anni, è gay e condivide i suoi interessi nel mondo arabo.
Allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale viene impiegata dal Ministero dell’Informazione britannico come esperta del mondo arabo e inviata in missione per persuadere gli Arabi a sostenere gli Alleati. Al Cairo promuove l’idea di istituire una Fratellanza di Libertà sulla falsariga della Fratellanza musulmana (un’organizzazione pan-araba i cui membri sono fedeli all’Islam e si dedicano a sradicare la corruzione e la dominazione straniera), con lo scopo di includere tutti i gruppi religiosi e le classi sociali e promuovere un sistema politico secondo linee secolari e democratiche. Incontra ambasciatori, primi ministri, generali, gente comune e fellain dei villaggi. Esporta il progetto in Iraq, un paese di importanza strategica per Hitler e con forti sentimenti anti-britannici, dove arriva nel bel mezzo di un colpo di stato.
Continua a viaggiare, non solo in Medio Oriente, ma anche in India e negli USA, dove partecipa al dibattito sulla questione palestinese e discute contro la causa sionista. Il suo istinto artistico e umano corre nella direzione opposta alla sua adesione formale all’imperialismo britannico.
Dopo la guerra si stabilisce ad Asolo a “Villa Freya” ereditata nel 1941 da Herbert Young e da lì parte per altri viaggi. Fa visita ad amici, studia lingue e scrive, raccontando la sua incredibile vita in quattro volumi autobiografici, coprendo il periodo dal 1893 al 1946. La sua produzione letteraria è tuttavia molto più ampia e consta di trenta opere, a cui devono aggiungersi numerosi articoli e alcune raccolte di lettere.
Viaggia fino all’età di novant’anni; a ottantotto percorre l’Himalaya a dorso di mulo fino al confine tibetano.
Freya Stark visse sempre seguendo i propri sogni e le proprie passioni, oltrepassando gli steccati delle convenzioni sociali e degli stereotipi. Visitare nuove terre per lei non rappresentò solo un’esperienza da cui poter trarre benessere e piacere bensì un modo per acquisire saggezza e donare un po’ di se stessa. Freya Stark cercò sempre di immergersi nel viaggio, nell’ottica non di lasciarsi travolgere ma di determinarlo.
Freya scelse mete non usuali, poco o per niente conosciute, ma seppe essere una viaggiatrice consapevole e preparata: prima di intraprendere la rotta verso est, nel 1921 iniziò a studiare l’arabo. Prima di ogni partenza, per approcciarsi al territorio cui era diretta in modo il più autentico possibile e poterne comprendere appieno le tradizioni e la storia, studiava e imparava la lingua della popolazione che vi abitava “Anche il paese più spento – sosteneva – ha una sua anima, se sei in grado di capire cosa dicono le persone; e non solo le parole, ma i pensieri che le formano”.
Il viaggio accompagnò Freya per tutta la vita, entrò a far parte di lei, al punto che, nonostante l’età avanzata, a 84 anni ridiscese l’Eufrate su una zattera e a 88 anni scalò l’Himalaya sul dorso di un pony, mentre , novantenne, percorse il deserto ad Aleppo. Il viaggio fu per lei uno strumento di conoscenza fondamentale e imprescindibile: «Importante è conoscere e per conoscere bisogna andare nei luoghi, incontrare la gente, parlare con loro. Solo allora tutto il mondo ti viene incontro come un’onda», ebbe modo di sottolineare spesso.
La scrittura fu per lei conseguenza naturale del viaggiare, non solo per fissare la sua interpretazione di un mondo ancora quasi del tutto sconosciuto, ma anche per metterla a disposizione degli altri. Fu dunque una “viaggiatrice generosa” che, basandosi su esperienze dirette e personali, seppe selezionare e raccontare con passione, vivacità e senso dell’umorismo; riuscì a creare personaggi riconoscibili ma mai stereotipati, coinvolgendo e divertendo. Ad ogni suo viaggio negli anni tra le due guerre mondiali seguirono articoli e libri attraverso i quali condivideva con i lettori occidentali il suo sguardo su un mondo misterioso e affascinante: dai racconti sul Baghdad Sketches al primo volume, The Valleys of the Assassins nel 1934, passando per oltre venti opere e concludendo con il volume fotografico Rivers of Time nel 1982 (tutti pubblicati dall’editore londinese Jhon Murray, suo grande amico).
«Viaggiare, significa ignorare i fastidi esterni e lasciarsi andare interamente all’esperienza, fondersi con tutto quello che ci circonda, accettare tutto quello che succede e così, in questo modo, fare finalmente parte del paese che si attraversa. È questo il momento in cui si avverte che la ricompensa sta arrivando». Era questo l’approccio di Freya Stark ad ogni viaggio, compreso l’ultimo e definitivo, quello della sua dipartita, compiuto pochi mesi dopo aver festeggiato il centesimo compleanno. Anche a questo viaggio, nonostante l’età, seppe avvicinarsi con profondità e serenità, pronta a stupirsi e ad incantarsi di fronte all’Eternità.
Nel 2018 il Museo Civico di Asolo (Treviso) ha dedicato a Freya Stark una sezione permanente intitolata “La stanza di Freya”. “La stanza di Freya” si trova al secondo piano del Palazzo del Vescovado con l’annesso edificio della Loggia della Ragione, che ospita il Museo civico di Asolo. Si tratta di una stanza, uno spazio, in cui la viaggiatrice è presente attraverso i suoi disegni, i suoi oggetti, i suoi taccuini di viaggio che ne raccontano le sfaccettature della personalità, le passioni, la determinazione oscillando tra aspetti noti della sua vita e aspetti più intimi.
In uno spazio che suggerisce la circolarità dell’esistenza in un gioco di richiami, in un rimbalzare da oggetto ad oggetto, il racconto, come ideato dalla curatrice Annamaria Orsini – che già si è occupata della mostra “Vaghe stelle dell’Orsa… Il viaggio sentimentale di Freya Stark”, ad Asolo nel 2014 si snoda attorno a tre nuclei: l’armadio, la scrivania circolare, il baule da viaggio collocato accanto ad una porta , oggetti d’arredo che hanno fatto parte delle stanze più amate nella vita di Freya Stark. Essi sono stati ricostruiti in modo fedele e resi completamente bianchi, per sottolineare il processo di astrazione che li smaterializza consentendo al contenuto di prendere il sopravvento. L’assenza di colore, inoltre, permette l’immediata individuazione dei materiali originali rispetto a ciò che è pura rappresentazione.
Nei suoi libri, come ad esempio ne Le Valli degli Assassini, vi sono numerosi tratti caratteristici della scrittura femminile e del “diverso sguardo” delle viaggiatrici con un’attenzione privilegiata per i dettagli e per le donne, una forte compartecipazione emotiva agli eventi, la ricerca del consenso delle persone che la circondano.
Il viaggio di Freya ha un interesse scientifico (la cartografia), oltre che uno scopo romantico (la localizzazione del giardino degli Assassini); Freya Stark ha dovuto lottare duramente per ottenere quello che ha da sempre e con sacrificio inseguito: il riconoscimento pubblico (studia l’arabo perché convinta che le cose più interessanti del Novecento accadranno nelle vicinanze del petrolio e la rispettabilità che ne deriva (non è più una donna sola ed eccentrica da guardarsi con commiserazione, ma un esponente di primo piano dell’élite londinese).
Concludo la mia descrizione di questa fantastica viaggiatrice con una frase tratta da Le Valli degli Assassini
“Se mi si chiedesse di elencare i piaceri del viaggio, direi che questo è uno dei più importanti: che così spesso ed inaspettatamente si incontra il meglio della natura umana, e vederlo così, di sorpresa e spesso in situazioni talmente improbabili, si arriva, con un piacevole senso di gratitudine, a realizzare quanto ampiamente siano sparse nel mondo la bontà e la cortesia e l’amore per le cose immateriali, che fioriscono in ogni clima, su qualsiasi terreno”
R.

Ottimo artico,stupenda viaggiatrice
Che interessante la vita di questa donna! Quanta audacia si vede nel suo modo di vivere ed è stata veramente un gamba! Bello conoscerla, grazie!