Per chi ama l’archeologia industriale la visita al Museo della Centrale Montemartini a Roma è un’esperienza imperdibile. Se poi si ama anche l’archeologia classica, questo è il luogo nel quale il sodalizio antico/moderno è più che riuscito. L’ex-centrale elettrica infatti custodisce un’importante collezione che completa quella conservata nei Musei Capitolini. È anche il luogo dove si è realizzata una vera sinergia d’intenti tra la società elettrica ACEA che restauro’ lo spazio e le macchine della centrale ed i Musei Capitolini che vi allestirono opere in cerca di uno spazio espositivo adeguato, rimaste chiuse nei depositi per anni. Da questa felice collaborazione è nato, nel 1997 con la mostra Le macchine e gli dei, uno dei gioielli museali della capitale.
Mentre si ammirano i busti, i sarcofagi e le statue della collezione, ci si ferma incuriositi ad osservare i macchinari di questo primo impianto pubblico di produzione dell’energia elettrica che riforniva la capitale. Foto e documenti d’epoca rispondono alla curiosità del visitatore che, tra la statua della Musa Polimnia e la sala macchine con le gigantesche turbine e i pistoni, come in un contrappunto temporale, può saltare dall’immagine della costruzione della centrale ad opera dell’ing. Franco Tosi negli anni Trenta all’acconciatura marmorea di una giovane in età severiana nel II secolo d.C.
In un caldissimo pomeriggio visitiamo il museo con i nostri giovani studenti stranieri, principianti assoluti nella lingua e cultura italiana che ammirano i mosaici: –Mi ricordano quelli in Tunisia– dice Alì in un italiano stentato mostrandomi con il cellulare l’immagine trovata su Internet di un sito archeologico vicino Tunisi.
In questi giorni c’è la mostra Colori dei Romani. I mosaici dalle Collezioni Capitoline che espone una bella varietà di mosaici spiegandone le tecniche, l’uso decorativo sui pavimenti e sulle pareti nelle dimore di lusso, in ordine cronologico. Ci sono anche i mosaici ad uso funerario tra i quali l’ottogonale pavone trovato in una ricca tomba di famiglia lungo la via Appia. Impariamo così che questo vanitoso uccello dalle piume della coda che ricrescono, sacro a Dionisio, rappresentava la rinascita. Ci sono inoltre i mosaici sacri dai ritrovamenti della basilica Hilariana dedicata al culto di Cibele e Attis, trovati durante gli scavi per la costruzione dell’ospedale militare del Celio. Tra questi il volto di Manius Poblicius Hilarus, il ricco mercante di perle che ne finanziò la costruzione.
Per completare la visita si passa in una nuova sala dove sono esposte le famose carrozze del Treno di Pio IX.
Petit en plus: dopo la visita ci si può dissetare al bar di fianco all’ingresso del museo dove si gusta ancora un genuino tè freddo artigianale come non se ne trovano ormai quasi più. Pas mal, n’est pas?
La Centrale è raggiungibile con la metro B; dalla fermata Garbatella si passa per l’imponente ponte dedicato alla memoria di Settimia Spizzichino, unica sopravvissuta fra le donne deportate ad Auschwitz nella retata del 16 ottobre del ’43. Il ponte ad arco, a struttura reticolare (che richiama il vicino Gazometro), è frutto di un design realizzato con tecniche grafiche di modellazione 3D. L’ingegnere progettista si è ispirato a diversi ponti spagnoli: il Ponte de la Barqueta e quello dell’Alamillo a Siviglia o il ponte di Santiago Calatrava e richiama la struttura del DNA. Di notte il bianco scintillante delle strutture si illuminano sapientemente per far risaltare il reticolato. Diverse buone ragioni per visitare questo museo davvero speciale…
P.
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Grazie mille Patrizia!Lo scriverò per un altro giorno