Da una lingua all’altra

La vita è bella perché non si finisce mai di imparare. Per esempio, chi di voi saprebbe dire cosa significa “Toot sweet” in un testo di Margaret Atwood in lingua originale? Difficile, così, di punto in bianco. Avendo però un contesto a disposizione, ho capito che significa “immediatamente, subito”. Ma solo nell’inglese canadese, che dev’essere infarcito di interferenze linguistiche col francese (e lo stesso deve succedere nel francese locale). Perché così immagino si pronunci da quelle parti “tout de suite”.

Leggere la letteratura contemporanea tiene al corrente dei cambiamenti linguistici. In testi americani (Grace Paley, Louise Glűck, Margaret Atwood) mi sono imbattuta in “I didn’t used to”, che, da insegnante di inglese avrei segnato come errore; ma non mi sembrava possibile che autrici tanto brillanti facessero errori! E infatti, ho scoperto che questo è un uso (ausiliare seguito da passato anziché dall’infinito, come di regola) che ormai viene ammesso, anche se didn’t use to rimane sempre corretto. Diciamo che la differenza si nota solo nello scritto, perché parlando la d di used e la t di to si fondono in un unico suono.

Ma i passaggi da una lingua all’altra producono sempre strani effetti, come il beignet francese che in Italia diventa bignè (e in Piemonte, bignola), mentre la niña zangolotina (bambina birichina) spagnola viene nientepopodimeno che da sansculottes, sanculotti, la plebe arrabbiata e violenta della Rivoluzione Francese.

L’altro giorno ha telefonato a Prima Pagina una signora che lavora in un centro vaccinazioni nel Veneto. Si è presentata dicendo:”Sono un dipendente …”. E mi sono per l’ennesima volta stupita della stupidità di chi, pensando di “mettere finalmente le cose a posto e dare alle donne quel che è delle donne”, precludono loro persino quel che la nostra complicata lingua sancisce come corretto: la maggior parte dei sostantivi che finiscono per -e, può essere declinata nei due generi. In particolare quelli in -ente/-ante, che sono in effetti dei participi presenti sostantivati, come ben sanno le insegnanti/docenti.

Adesso che la polizia e gli altri corpi militari hanno personale femminile, possiamo (e dobbiamo, a mio avviso) usare la davanti a vigilante, per esempio, come abbiamo sempre fatto con la supplente; dobbiamo però ammettere per equità che esista anche il supplente e, perché no, il badante. Non mancano (anche se meno numerose dei loro colleghi maschi) le delinquenti. Nei paesi con leva militare obbligatoria, suppongo esistano le renitenti. Numerose sono le praticanti negli studi notarili e le viandanti, anche se poco citate in letteratura, hanno la loro parte nel consesso umano. Non mi risulta che negli studi di Carlo Ginzburg compaiano delle benandanti, ma chi può escluderne l’esistenza?

Meglio non negare ai maschi la possibilità di essere dei penitenti o dei supplicanti, (mentre è del tutto surreale che possano essere dei partorienti!) ma certamente mi sembra provocatorio non ammettere che una signora possa essere una dipendente, o addirittura una dirigente o una sovrintendente!

Nessuno ha mai negato che esistano, oltre ai portieri, anche le portiere (auto a parte, persino sui campi di calcio); e le cavadenti? Certo, questi esempi non rientrano nella fattispecie del participio presente, ma si tratta pur di sostantivi con terminazioni che potrebbero indurre in tentazione: qualche produttrice di pane, seguendo l’esempio della signora del centro vaccinazioni potrebbe pretendere di essere un panettiere!

E come la mettiamo con la terminazione -mante? La rabdomante può certamente essere il corrispettivo femminile di quel signore che trova l’acqua con l’ausilio di una bacchetta; e quanti cartomanti esistono che non pensano minimamente di rispondere “Faccio la cartomante” a chi ne chiede la professione?

Mi meraviglia anche molto l’uso (che fortunatamente si sta pian piano dileguando) di incinta come se fosse una parola invariabile. Fino a qualche anno fa le gestanti erano anche dette incinte. Il termine, aggettivo o sostantivo, come di regola nell’italiano, è declinabile, quindi ha un plurale e ammette, anche se per assurdo, il maschile (“Non è mio marito ad essere incinto!”). Invece si sente ancora, di tanto in tanto, citare le donne incinta, e per fortuna succede poco, perché mi viene sempre l’orticaria. Non lo sanno, gli allergologi, ma anche un certo abuso della lingua può provocare fastidiose eruzioni.

Ma poi ci sono dei doni inaspettati, come quello della mia amica Luciana; mentre passeggiamo immerse nella natura, mi addita degli asparagi selvatici e, quando ammiro la sua acutezza di vista, mi offre una felicissima frase:”Ah, ma io ho l’occhio di falce”, inconsciamente abbinando la capacità del falco di individuare la preda dall’alto, e quella della lince che la scorge anche se mimetizzata nella vegetazione.

Marisa

Author: ragaraffa

Blogger per passione e per impegno, ama conoscere e diffondere le voci delle donne che cambiano.  

One Reply to “Da una lingua all’altra”

  1. Annapiccardo says: 29/05/2021 at 12:58 pm

    Brava la nostra Marisa: sempre dotta! 👏👏

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