La Turchia di Erdogan ha deciso di ritirare l’adesione alla Convenzione di Istanbul del 2011, firmata con il Consiglio d’Europa per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne.
Le donne turche con coraggio e determinazione scendono in piazza contro questa decisione che si rivela come una palese negazione dei loro più fondamentali diritti. Tra i ritratti che esibiscono nella marcia si distingue quello di una delle loro martiri, Ebru Timtik, avvocata di diritti umani, di origine kurda, che morì il 28 agosto del 2020 dopo uno sciopero della fame durato 238 giorni, messo in atto contro il giudizio ingiusto che la rinchiuse in carcere insieme ad altri 17 avvocati.
L’accusa, senza prove, era quella di terrorismo, montata dal governo turco per opprimere e condannare i suoi oppositori. Tutti gli avvocati appartenevano all’Associazione di Avvocati Progressisti, conosciuti per la loro attività di difensori dei diritti civili di persone imprigionate dal governo turco nel settembre del 2017. Essi stessi divennero, da difensori, vittime del sistema giudiziario turco per aver lottato per la Giustizia e il Diritto, difendendo gli accusati di opposizione al governo, le famiglie dei minatori massacrati a Soma e Ermenek, le persone cacciate dalle loro case per ristrutturazione forzata del tessuto urbano, famiglie di uccisi sotto tortura in commissariati e prigioni, insieme a uomini e donne processati per delitto d’opinione, inclusi funzionari, lavoratori e difensori dei diritti umani.
Ai funerali di Ebru, nonostante il pericolo di repressione e arresto, migliaia di cittadini con un’alta componente di donne le ha reso omaggio e la sua bara, sulle spalle di donne, ha attraversato la città nella commozione generale.
A lei, alla lotta delle donne turche, a tutti i difensori della giustizia e della libertà dedico questi versi.
A Ebru Timtik, martire turca
Ebru, non ti sono bastate
le bellezze del Bosforo
né la millenaria storia
della tua terra turca
né le cupole azzurre e oro
né i versi di Hikmet
per startene tranquilla
a prendere il tè in un bar di Ankara,
non ti è bastato niente
per dimenticare perché ti ergevi
davanti al bancone degli imputati
a difenderli dalle false accuse
e dai soprusi.
Sei finita in carcere come loro
giovinezza inascoltata e ferita,
238 giorni di calvario per morire
in un pomeriggio indifferente ai più
di ingiustizia e di fame.
Che bandiera potevi mai alzare
-nessun altro dissenso era possibile-
se non quella del tuo corpo in digiuno?
Gli sparvieri neri di Erdogan
guardiani delle tue grate
non possono più niente ora
contro la tua voce
ormai libera di cantare
l’invincibile destino degli eroi.
Grazia Fresu
Ogni volta che guardo la sua foto (ce l’ho in memoria) ho un brivido. Ed è come se la conoscessi, non so, forse lo sguardo diretto e onesto, sereno e calmo … Gratitudine. Persone mitiche che riscattano la bassezza degli altri. Un mito.
Hai ragione Alessandra, una foto che ci fa sembrare impossibile quello che è successo. Sembra ancora viva con le sue lotte, le sue azioni, le sue parole
Onore a Ebru. Viva Ebru.