(dall’Argentina Grazia ci invia un interessantissimo articolo su un suo passato viaggio/esplorazione a Napoli visto da un’angolatura particolare: l’arte urbana)
Napoli è un mondo, strati e strati di bellezze naturali e arte costruiscono l’immagine di questa città. Ci sono stata la prima volta da bambina, sedotta dal suo incanto e poi ancora da adulta ad assaporarne il fascino e la cordialità della sua gente. Ma quel fine settimana ci ero tornata per conoscerla attraverso la Street Art che impreziosisce i suoi muri. Il successo della Street Art in Italia è sotto gli occhi di tutti, non solo dal punto di vista estetico e della fruizione dell’opera d’arte in spazi aperti e quindi a disposizione di un vasto pubblico, ma anche nella sua funzione sociale, di ricostruzione d’identità positive in luoghi un tempo degradati fisicamente e socialmente.
La Street Art a Napoli si differenzia da quella di altre aree urbane. Spessissimo i suoi interventi non consistono nel coprire il grigiore e il vuoto dei muri, nel tentativo di cancellare le tracce del passato, con invenzioni pittoriche di straordinario effetto cromatico, come accade a Roma o Milano, ma tendono a integrare il nuovo con il vecchio, non nascondendo il degrado ma collocandolo in una dimensione altra che finisce per raccontare la storia segreta della città in un contesto nuovo.
Così- mi hanno raccontato gli amici napoletani- possiamo assistere a una epifania delle immagini che si nascondono e si rivelano senza invadenza, poco per volta, nelle crepe dei muri, nei vecchi androni, sui parapetti di scale dissestate, nelle case fatiscenti dove di colpo scopriamo la bellezza, laddove la fusione di tradizione e modernità ci restituisce la storia e la leggenda di un popolo.
E i napoletani, proverbialmente così estroversi, si sono riconosciuti in questa discrezione che ne racconta la natura più intima. Camminando per i vicoli cerco queste immagini di una città capace di rinventarsi ad ogni angolo.
Davanti alla Madonna del Riciclo, seminascosta in via san Biagio dei Librai, il cui volto mistico ci guarda da una lamiera incastonata nella pietra di una residenza antica, lascio che il mio stupore diventi emozione appena contenuta. Continuo nella mia scoperta contemplando i volti femminili che Alice Pasquini nasconde tra le pietre e il cemento, regalandoci una mappa di femminilità intensa, dolorosa e forte come quello che si trova in Calata Trinità Maggiore. Mi diverto poi davanti agli omini di Exit/Enter, piccoli abitanti di una città che li guarda e ne è guardata, disegnati con pochi tratti eppure espressivi e coinvolti nel tessuto urbano.
Ho con me una mappa dei murales della città fornitami gentilmente da un amico appassionato di quest’arte, tanto che va registrandola con le sue foto attraverso tutta la penisola. Ê lui ad avermi detto che sui muri napoletani le immagini hanno un impatto visivo e emozionale come il golfo sotto la luna o come il Cristo velato. So cosa voglia dire. Cerco i murales di Dooley, un artista che lavora sul degrado senza nasconderlo, inserendo nella dissoluzione dei materiali, negli interstizi delle facciate, nelle vecchie tracce del vissuto urbano i suoi interventi, traendo dalla realtà presente le forme del nuovo che le sovrappone e queste forme sono scheletri sottili e buffi che compiono azioni al limite del surreale. Per niente immagini di morte, si sposano con la passione della città per l’occulto e con l’ironia che serpeggia a Napoli in ogni tragedia.
A parte i piccoli intriganti dipinti che la città nasconde nei luoghi più impensati anche a Napoli come a Milano o a Roma scopro murales imponenti come nel quartiere di Materdei. Me ne resto a lungo ad ammirare Partenope, la sirena cantata da Virgilio che a Napoli è considerata come una divinità protettrice e che Francisco Bosoletti ha dipinto a piazza Sannazzaro, una figura imponente e mitica, creatura del mare che dispiega anche sulla terra la sua ala protettrice, nume tutelare della città, al cui finanziamento ha contribuito l’intero quartiere.
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Partenope
Una breve pausa per mangiarmi un succulento babà e gustarmi un caffè scuro e dolce e poi mi dirigo verso il quartiere Ponticelli, dove sulle facciate delle case popolari sono stati dipinti e progettati grandi murales, tra i primi eseguiti il soggetto scelto è stato quello di due ragazzini appassionati di calcio esibendo tutta la loro gioia; il volto di una bambina Rom con la scritta “Tutt’egual song’ e creature”, realizzato nella giornata internazionale dei Rom, con l’intento di superare qualsiasi tipo di pregiudizio; un pulcinella burattino per riaffermare il diritto dei bambini al gioco e all’infanzia protetta.
A sera con gli amici napoletani e una stanchezza buona mi rilasso in una pizzeria sul lungomare per gustarmi la classica pizza napoletana, un po’ più alta di quella romana a cui sono abituata, ma un piacere per il palato. Un ragazzo con occhi neri bellissimi gira tra i tavoli cantando Caruso di Lucio Dalla. Tutto è perfetto, il cibo, la notte, la compagnia, il ricordo di ciò che abbiamo visto.
Il giorno dopo mi portano ai Quartieri Spagnoli, mi pare di poter incontrare Eduardo o Totò da un momento all’altro, di vedere il passo sensuale della Loren attraversare la piazza.Un’incredibile esplosione di forme e colori ci riceve. Circa duecento murales sono stati realizzati negli ultimi anni dagli artisti napoletani Cyop e Kaf. Anche qui le leggende antiche, intrecciate indissolubilmente alla storia della città, prendono vita sulle pareti per raccontarci una Napoli dell’ieri e dell’oggi proiettata nel domani.
La nostra ultima tappa è in uno dei luoghi emblematici di Napoli, all’ingresso del Monastero di Santa Chiara, qui Ernest Pignon, un artista francese, ha attaccato una serigrafia rappresentante Pier Paolo Pasolini, interpretata subito da tutti come una potente Pietà laica. Pasolini tiene tra le braccia il suo stesso corpo straziato. Purtroppo l’opera è stata danneggiata eppure ancora oggi i suoi frammenti conservano una drammatica bellezza e il senso della sua denuncia.
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Pignon Ernest, Napoli -
Pasolini a Santa Chiara
Sul treno di ritorno a Roma cerco di comprendere il fascino speciale della Street Art napoletana. Credo che stia nella tecnica di racconto che vuole conservare tutte le complesse stratificazioni del tessuto urbano per quanto fatiscenti e dolorose, costruendo un mosaico di colori e emozioni dove possa trovare posto anche lo smarrimento, anche la degradazione, perché dimenticare non ha senso, mettere a tacere col trionfo di enormi murales il grido della città non ha senso, così il grido resta lì, serpeggia in mezzo alla bellezza, alla speranza, per dirci più forte che altrove che il vuoto, il grigio ci stanno attaccati alle spalle come inesorabile baratro e che ricordarlo può solo costruire una più forte volontà di riscatto e di rinascita.
È lo splendido “memento mori” di questa invitta città che continua ostinatamente a celebrare la vita.
Grazia Fresu
Dei graffiti molto belli in posti magici 😍😍😍
Che meraviglia!!!
[…] La Napoli della Street Art […]