CIRCO Marisa dal passato prossimo
Giugno è iniziato ed è anche passato, e i fiori dei tigli col loro profumo che, giorno e notte ci avvolge in una nuvola odorosa in un breve momento dell’anno sono ormai nel ricordo.
Non mi bastano le parole per descrivere lo spettacolo Dall’Inferno al Paradiso, della No Gravity Dance School alla Fenice, posso solo consigliare tutti i miei amici di non perdere l’opportunità di andarci se ne hanno l’occasione, e intanto di cercare di vederne qualche spezzone su youtube, anche se non potranno che riceverne un’idea parzialissima. Sono degli artisti-acrobati che lavorano con i teli verticali, ma con una scenografia di luci tale da dare l’illusione di movimenti nell’acqua o nell’aria. I ballerini – come chiamarli? – sono sei, e si muovono su e giù per lo spazio scenico come se davvero non fossero soggetti alla forza di gravità. Hanno un perfetto controllo del corpo e una sincronizzazione assoluta. Lo spettatore ha a volte l’impressione di vedere delle combinazioni attraverso un caleidoscopio, o dei microrganismi unirsi e separarsi sotto la lente di un microscopio. Gli attori sembrano a volte creature acquatiche, o dell’aria, per la loro leggerezza e fluidità. Sono corpi nudi, o apparentemente tali, e solo di tanto in tanto una luce colorata sottolinea un gesto. Ci sono anche musiche e voci recitanti, ma la magia sta soprattutto nei loro movimenti.
Luglio è cominciato col viaggio a Salonicco: Antonietta ed io abbiamo suddiviso i dieci giorni di viaggio in soft e hard: soft quelli in cui si restava a Salonicco, girellando qua e là, visitando qualche chiesa, andando al cinema o a cena fuori.
Con Antonietta mi sono goduta la Agios Nikolaos Orphanos, minuscola, una segreta oasi di pace, bella fuori e con splendidi affreschi abbastanza ben conservati.
Ho potuto finalmente visitare la Dodeka Apostoloi, quella dei Dodici Apostoli, dove avevo già provato a penetrare lo scorso anno, e anche una volta con Antonietta il mio primo giorno questa volta: orario alla mano, ci sono arrivata subito dopo l’apertura. Dopo un primo giro, ho chiesto alla signora all’ingresso se potevo fare qualche foto e, col suo consenso, avevo cominciato a farne quando un’altra signora ha attirato la mia attenzione sul Pappas che era nel frattempo arrivato, tutto nero nel suo palandrone, il tocco e il barbone. Mi ci sono avvicinata e lui mi ha chiesto “helleniki?”; quando gli ho risposto “Italian”, mi ha detto “Out, no shorts here.” Io, che non avevo shorts, ma pantaloni sotto il ginocchio, solo un po’ rimboccati, ho obbedito, ma uscendo li ho riallungati e ho chiesto alla prima signora se così andasse bene, ma lei – evidentemente ormai vincolata dalla presenza del prete – mi ha detto che non sono consentiti i pantaloni nella chiesa.
Mi sono allora diretta a Agià Ekaterina, dove pure, per questioni di orario, l’anno scorso non ero potuta entrare. L’esterno di questa piccola costruzione bizantina è bellissimo; l’interno, invece, struttura a parte, deludente: sommariamente imbiancato e con le solite decorazioni eccessive.
Per completare quello che avevo lasciato in sospeso lo scorso anno, sono riuscita finalmente a entrare nella piccola e centralissima Panaghia tou Chalkeu o chiesa dei Calderai, che a me è sembrata, da vicino, molto rifatta, anche se la sua struttura che risale all’undicesimo secolo è bellissima.
Nelle nostre giornate più intense, siamo state agli scavi di Òlinthos, dove ci sono i mosaici più antichi, ed è un luogo di gran pace, poco visitato, con molti ulivi e alberi di pere – carichi di frutti invitanti ma quasi tutti ancora acerbi.
Quello stesso giorno abbiamo poi proseguito per la graziosa Kavàla, pranzato in un paesetto, Nikiti, e trascorso qualche oretta in un beach bar, dove non si pagano i lettini e l’ombrellone, ma le consumazioni, e ci siamo godute un mare dai colori favolosi, dal blu scuro intenso all’orizzonte, al turchese e acquamarina vicino alla riva: l’acqua, dalla temperatura perfetta, limpidissima, prende ovviamente colore in rapporto alla profondità e al tipo di fondale, lì sassolini minuscoli e chiari.
Per raggiungere le terre dei Pomàk abbiamo invece usato due giorni: a Xanthi ci siamo comprate delle gustosissime ciliegie; arrivate quasi in Bulgaria, all’ultimo Thermes (lasciandoci alle spalle Thermes di Sotto, Thermes di Mezzo e Thermes di Sopra) ho voluto lavarle alla prima fontana, ma il sacchetto si è riempito di acqua bollente, e ho dovuto vuotarlo in fretta perché non avevo previsto di fare una composta di frutta. Infatti, come suggerisce il nome, siamo in zona termale, e TUTTE le fontane del paesetto gettano acqua calda.
Antonietta voleva da tempo visitare questi luoghi, aveva letto che i Pomak sono una popolazione musulmana che vive ancora in modo tradizionale e parla una lingua diversa dal greco.
Prima di tutto abbiamo cercato una sistemazione per la notte: ci è sembrata abbastanza accogliente una pensione con una decina di stanzette molto spartane, ma ciascuna col suo bagno, cui si accede da un porticato che dà su un prato-giardino-frutteto. C’è anche un ristorante piuttosto capace, e una piccola costruzione con una minuscola piscina termale, che noi però non abbiamo usato, visto che, comunque, l’acqua termale veniva fuori anche dalla doccia.
L’abitato sembra di poche case, una vecchia stazione termale in restauro e una moschea. Antonietta usa la sua conoscenza della lingua per ottenere un po’ di informazioni dal giovane proprietario durante la cena, che consiste di un’abbondantissimo piatto di capretto arrosto.
La colazione, servita dalla cuoca che non parla altro che Pomàk, mi delude perché consiste solo di pane, miele, margarina (!!!), oltre al latte e al caffè greco.
Decidiamo di ripartire dopo colazione, perché non c’è molto da vedere in paese; ripassiamo per gli altri Thermes, dove ci fermiamo e Antonietta attacca bottone con le donne sedute sulle soglie, ricamando o lavorando all’uncinetto: qualcuna parla greco, altre solo Pomàk (che è uno slavo meridionale, simile al bulgaro: i Pomàk sono insediati in un’area transnazionale, tra Bulgaria, Grecia e Turchia). Sono vestite (nonostante il caldo) con lunghi pantaloni che spuntano da una veste che arriva alla caviglia, e una specie di giacca senza maniche, tutte di colore scuro e fatte di stoffe moderne, sintetiche, come i foulard che lasciano liberi solo i visi, sormontati da fazzoletti bianchi acconciati in varie fogge. I bei vestiti tipici, di seta lavorata al telaio e impreziositi da pizzi e ricami fatti a mano devono starsene ben riposti negli armadi, tirati fuori solo per le feste importanti.
Le donne sono abbastanza loquaci, i bambini curiosi; pochi gli uomini, che ci guardano come se fossimo marziane. Probabilmente la maggior parte sono nei campi.
Sono paesi piccoli, evidentemente piuttosto poveri, con due o tre moschee i cui rispettivi minareti si vedono da lontano.
La seconda escursione lunga ci ha portate al Lago Plastira.
È un lago artificiale, formatosi quando, negli anni ’30 del secolo scorso, venne costruita una diga in una zona montuosa vicino a Karditza. È un posto molto gradevole, verdissimo, poco popolato, e poco turistico. Non ci sono strutture balneari.
Noi abbiamo trovato stanze presso una famiglia che si è costruita una seconda casa accanto a quella che già avevano, con cinque stanze con bagno, molto confortevoli – al confronto con quelle di Thermes, lussuosissime! e con vista sul lago. Di notte, lucciole, di giorno, cicale e i bellissimi fiori di cicoria.
Colazione sontuosa: succo d’arancia, latte, marmellata di more, torta variegata al cioccolato, torte salate di ricotta e di spinaci, caffè, il tutto confezionato dalla padrona, incomparabile rispetto a quella di Thermes, tanto più che ci è stata servita sotto il gazebo in giardino con vista sul lago.
Una pensione piena di vita, umana e animale: rondini sfreccianti all’alba e al tramonto, merli saltellanti, un cucciolo vivacissimo di nome Poppy, dello stesso colore dei tre gatti adulti e del micetto rossi che girellavano, si facevano coccoli, dormivano, giocavano tra loro vicino ai grandi cespi di ortensie rosa. Gatti senza nomi, ma assoluti padroni del giardino. Un privilegio non condiviso dagli altri sei gatti di cui abbiamo sentito parlare ma che non abbiamo mai visto.
Sulla strada del ritorno, circumnavigando il lago, abbiamo incontrato un branco di cinghialetti che si abbeveravano a una fontana: purtroppo nei pressi c’erano anche babbo e mamma, perciò non siamo scese dalla macchina, e abbiamo scattato qualche guardinga foto dal finestrino, ahimé controluce.
E poi le Meteore! Uno spettacolo grandioso. Abbiamo percorso su e giù la strada godendo la vista di quelle rocce gigantesche, sormontate qua e là da monasteri, e poi abbiamo scelto di visitarne uno. Naturalmente l’ideale sarebbe stato fermarsi un paio di giorni per percorrere a piedi strade e sentieri, e fermarsi a tutti i punti panoramici, magari in diversi momenti della giornata, anche quando ci sino pochi turisti in giro.
I miei giorni greci sono stati scanditi da voli di rondini dovunque, e non solo. Nidi quasi a portata di mano a Òlinthos, a Kavala, a Nikiti, e pieni di rondinotti che hanno avuto la gentilezza di lasciarsi fotografare.
Ma abbiamo visto anche cicogne – abbiamo scoperto che i locali, in alcuni casi, piazzano delle piattaforme tonde in cima ai pali della luce, per invitarle a nidificare. Uno spazio così si presta ad essere usato da più di un tipo di pennuti. E quindi, mentre i cicognoni – e i cicognini – si sistemano al di sopra, al di sotto certi uccellini aggiungono i loro ramoscelli e si approntano dei monolocali piuttosto comodi.
1 settembre 2014
Marisa