Franz Kafka nel 1923 scrisse un racconto il cui protagonista, metà roditore metà architetto costruisce una dimora sotterranea dove poter vivere sicuro, lontano dal mondo esterno. L’animale costruisce meticolosamente la sua dimora, dedicandosi a scavare cunicoli, piazze e dispense. Esce dalla tana solo per procacciarsi il cibo, cercando di star fuori meno tempo possibile.
Nella mia tana per due mesi ho bivaccato beatamente, sono uscita solo per buttare la spazzatura e per comprare il minimo indispensabile, contando soprattutto sulla consegna a domicilio di cibo e prodotti per la casa.
La fase due è stata impegnativa, ho faticato all’idea di uscire di nuovo nel mondo, ho messo timidamente il naso fuori di casa, rassegnata a infilare di nuovo dei jeans, poi, via via ho allungato le mie camminate, decisa a vincere la paura della strada.
Stamattina le mie passeggiate mi hanno condotto di fronte ad un vivaio. Improvvisamente mi è venuto un impellente desiderio di sfatare il mito del mio pollice nero. Da qualche parte ho letto che anche un piccolo balcone fiorito può fare la differenza in una città piena di smog e macchine e mi sono chiesta perché non fare la mia parte. Detto fatto ho fatto le mie compere e, una volta a casa, mi sono impegnata a zappettare munita di argilla, terra e alcune piantine.
Ma la vera conquista per uscire dalla tana è stata prendere di nuovo la metropolitana, per la prima volta dopo il 9 marzo, mi sono sentita per la prima volta normale (quasi).
La stazione della metro era deserta, nei vagoni poche persone sedute distanziate, a terra dei cerchi azzurri per indicare dove posizionarsi per l’attesa, un’atmosfera post bellica, la fretta di uscire, risalire il tunnel e rientrare nella mia tana, fino a domani.
Raffaella