Scrive Ana Maria Valdivieso da Santiago:
Come vivo la quarantena?
Non è facile definire la mia vita in quarantena perché va cambiando, perché la vivo da diversi angoli, perché non so che fine avrà, perché mi crea ansia la poca definizione da parte delle autorità. Insomma, non avrei mai pensato che avremmo vissuto una cosa del genere!
Questo coronavirus ha invaso la mia vita: mi metto la mascherina, mi lavo cento volte le mani, uso l’alcol gel, lascio le scarpe fuori dalla porta, ascolto le notizie: gli infettati, i morti, la povertà, gli sfrattati, uffa, che terrore! C’è chi rompe la quarantena per cibarsi dalle immondizie! Che tristezza! E c’è chi la rompe per fare la festa o per fare una vacanza al mare!!! Disgraziati!
Ormai la mia città è in quarantena totale, siamo confinati, restiamo a casa, soltanto possiamo uscire con un permesso speciale due volte alla settimana. Non ho visto miei figli nè la mia nipotina da due mesi e fino a quando, nemmeno lo so! Tra pochi giorni sarà il mio compleanno e di sicuro lo festeggieremo “online”. Nessun abbraccio da parte loro, nemmeno un bacio, soltanto tele-auguri attraverso lo schermo e gli auguri di mio marito.
Guardo la quarantena dalla finestra: le luci delle case accese, qualche risata, c’è chi canta, alcuni urli dei genitori disperati facendo i compiti con i figli, i padroni portando a spasso i loro cani nel periodo permesso, le gru della costruzione ferme, il camion della spazzatura, i delivery nei motorini e la vecchietta che passeggia insieme alla sua badante. La città è un deserto.
E io, che sono in movimento costante, che sono molto attiva, mi domando: Come ho potuto sopportarla? Come non sono diventata matta rinchiusa in casa? E qui viene la risposta: Innanzitutto perché sono in compagnia di mio marito e, vivendo ognuno il proprio quotidiano, condividiamo tanti momenti: la chiacchiera, il caffè , qualche commento, un film e poi, torniamo da noi stessi; e questo è un plus! E io, nel mio personale, in realtà mi sono divertita! Oltre a un panorama nazionale durissimo che mi causa un dolore tremendo, nelle mie giornate ho potuto godere questo periodo. Il silenzio totale mi permette dormire come una bebè e mi sveglio con il canto degli uccelli. Arrivano i colibrì a succhiare il nettare dei fiori del mio terrazzo. Aggiusto qualche piantina, ammorbidisco la terra dei vasi e innaffio le piante. Abbiamo costruito un orticello in scatole di verdure e gli abbiamo messo uno spaventapasseri. Aspettiamo con ansia le notizie di un caro amico che ha avuto un incidente a Roma e incrociamo le dita perché lui torni. Partecipo con grande entusiasmo alle mie lezioni di ceramica online fatte dal professore Giorgio di Torino. E, tra un’ attività e l’altra, cucino, leggo e guardo qualche serie su Netflix.
Però, man mano che trascorrono le giornate, mi accompagna sempre il mio dubbio: quanto durerà questa pandemia? Quanto danno farà? Mi contagierò? E i miei? Come sarà la nostra vita dopo il coronavirus?
Mio figlio Benjamin oggi è andato in giro nei dintorni di Santiago, lì dove c’è più Povertà. C’è ancora più desolazione adesso.
Ana Maria Valdivieso